Gli errori del C14 secondo Marco Tosatti
Gian Marco Rinaldi
(genn 2011)
Anche Marco Tosatti, nel suo libro Inchiesta sulla Sindone (Piemme, 2009), cerca di screditare il metodo di datazione al radiocarbonio fornendo alcuni esempi di presunti errori. Tralascia certi casi ripetuti da altri sindonologi, come la foca o il mammut, e introduce casi che sono nuovi nel contesto della sindonologia ma
sono vecchi perché già da tempo usati dai creazionisti. Passiamo in rassegna i suoi esempi, tutti quelli forniti
da Tosatti alle pagine 18-21 del libro. Per due soli di questi esempi, Tosatti indica una fonte, e in entrambi i
casi la fonte è un sito religioso fondamentalista americano.
La citazione da Robert Lee
Tosatti scrive (p. 18-19):
«A ulteriore conferma (e ce ne potrebbero essere moltissime) riportiamo quello che ha scritto il Dr. Robert Lee nel 1981 nell' Anthropological Journal of Canada: “I problemi con il metodo di datazione al radiocarbonio sono innegabilmente profondi e seri. A dispetto di trentacinque anni di miglior comprensione e di perfezionamento tecnologico, sono state messe in causa fortemente le dichiarazioni [gli assunti] di base, e ci sono segnali secondo cui il radiocarbonio potrebbe trovarsi presto in una situazione di crisi. L'uso del metodo così come avviene dipende da un approccio tipo 'navighiamo a vista', concedendo contaminazione qui, frazionamento là, e calibrature tutte le volte che è possibile. Non dovrebbe sorprendere nessuno quindi il fatto che più della metà delle date viene respinta. La meraviglia è, certamente, che l'altra metà venga accettata... Non importa quanto sia utile, tuttavia il metodo al radiocarbonio non è ancora in grado di offrire risultati accurati e affidabili. Ci sono grosse discrepanze, la cronologia è relativa e ineguale, e le date accettate sono date scelte [selezionate]»
Era davvero profetico quel Robert Lee: nel 1981 prevedeva che il metodo del C14 sarebbe andato in crisi, e invece il suo impiego in archeologia è diventato sempre più diffuso e importante. In un altro punto dello stesso articolo, non citato da Tosatti, Lee si chiede: “Perché geologi e archeologi continuano a spendere il loro scarso denaro in costose misurazioni radiocarboniche?” Già, perché?
Tosatti cita come sua fonte, per il reperimento del citato passaggio di Lee, un sito religioso cristiano americano ultrafondamentalista:
http://contenderministries.org/evolution/carbon14.php
In questa pagina del sito si critica il radiocarbonio dal punto di vista dei creazionisti che credono alla cronologia biblica e quindi non ammettono che il test possa fornire date più vecchie di qualche migliaio di anni. Per spiegare come sia possibile che il test dia età più antiche, quindi con poco C14 nei reperti, sono capaci di inventarsi teorie come questa che riporto. Il flood di cui si parla è il diluvio universale del racconto biblico, racconto che questi fondamentalisti ritengono vero parola per parola, come tutto quanto è scritto nella Bibbia.
«The great flood which Noah and family survived would have uprooted and/or buried entire forests. This would decrease the release of carbon-12 to the atmosphere through the decay of vegetation.
Third, for carbon-14 dating to be accurate, the concentrations of carbon-14 and carbon-12 must have remained constant in the atmosphere. In addition to the reasons mentioned in the previous paragraph, the flood provides another evidence that this is a faulty assumption. During the flood, subterranean water chambers that were under great pressure would have been breached. This would have resulted in an enormous amount of carbon-12 being released into the oceans and atmosphere. The effect would be not unlike opening a can of soda and having the carbon dioxide fizzing out. The water in these subterranean chambers would not have contained carbon-14, as the water was shielded from cosmic radiation. This would have upset the ratio of carbon-14 to carbon-12.»
Poi verso la fine della pagina viene riportata la citazione della frase di Lee. Infine la pagina si conclude così:
«At best, radiocarbon dating is only accurate for the past few thousand years. As we’ve seen though, even relatively youthful samples are often dated incorrectly. The Biblical record gives us an indication of an earth that is relatively young. The most reliable use of radiocarbon dating supports that position. This method of dating, overall, tends to be as faulty and ill conceived as the evolutionary model that it was designed to support.»
Si suppone che Tosatti abbia visto questa pagina, di cui riporta il link, e che si sia trovato a suo agio in quel contesto. Nel sito ci sono molte altre pagine dello stesso tenore.
L'articolo originale di Lee ("Radiocarbon: Ages in Error". Anthropological Journal of Canada, 19(3), 1981, 9-29) sarebbe rimasto ignorato, perché come vedremo apparve in una rivista sconosciuta, se non fosse che l'anno dopo fu ristampato su una delle più note riviste creazioniste (Creation Research Society Quarterly, 19(2), 1982, 117-127). Da allora, i creazionisti non hanno mai smesso di citare innumerevoli volte l'articolo di Lee, riprendendo in particolare la stessa frase riportata da Tosatti. Quindi sono stati i creazionisti che hanno reso Robert Lee a suo modo famoso.
Impiegheremo altre due sezioni per esaminare questo caso.
Chi era Robert Lee
Tosatti avrebbe potuto chiedersi chi sia quel Robert Lee che piace tanto ai creazionisti. Lee viene presentato da Tosatti col sottinteso che sia uno scienziato autorevole. Inoltre viene indicato il nome di una rivista, Anthropological Journal of Canada, che già dal titolo sembra importante. Vediamo quali sono in realtà le credenziali dell'autore e della rivista.
Quel Robert Lee non era nessuno, in campo scientifico. L'unico motivo per cui potrebbe essere ricordato è che era figlio di Thomas Lee, un archeologo canadese che ebbe un ruolo controverso e fu aspramente contestato nell'ambiente degli studiosi dei primitivi insediamenti umani in Nord America.
Thomas Lee, il padre, negli anni 1950 si era dedicato allo studio del sito di Sheguiandah (Ontario, Canada). In base a considerazioni sugli strati geologici, era convinto che l'insediamento risalisse a diverse decine di migliaia di anni fa, contrariamente all'opinione dei colleghi che lo collocavano a circa diecimila anni fa o poco più. Ne seguì un aspro dibattito. Thomas fu emarginato e osteggiato dagli altri studiosi. Non riuscendo più a pubblicare nelle riviste del settore, fondò una nuova rivista di cui era lui stesso il direttore. Era quell' Anthropological Journal of Canada che ospitò anche l'articolo citato da Tosatti. Robert Lee, il figlio, nel 1981 era vicedirettore della rivista, insomma si trattava di una rivista di famiglia che era fatta con fogli graffettati. L'anno dopo, nel 1982, Thomas morì e Robert continuò per qualche tempo a dirigere la rivista che poi si estinse.
Non c'era bisogno che Tosatti cercasse, nei siti dei creazionisti, quella frase di un autore ignoto presa da una rivista fatta in casa. I problemi di cui i Lee discutevano erano relativi ai primi insediamenti umani in Nord America, ed è vero che durante i primi anni di applicazione del C14 ci furono difficoltà nell'usare il test per cercare di stabilire una cronologia precisa per quegli insediamenti. Gli archeologi studiavano insediamenti risalenti a diecimila o più anni fa. Per date così antiche, e per i tipi di reperti di cui si disponeva, il metodo non era ancora abbastanza evoluto per risolvere tutti i problemi. Vediamo quali potevano essere le difficoltà.
Il C14 dei paleoindiani
I reperti che gli archeologi possono trovare scavando in un sito di un primitivo insediamento umano in Nord America, sono principalmente di tre tipi. Ci sono le punte di giavellotto, che però sono in pietra e non possono essere datate col C14. Poi ci sono gli ossi, di solito gli ossi dei grossi animali che venivano cacciati e uccisi per il cibo e le pelli. Infine ci sono piccoli frammenti di carbone di legna, cioè di legna bruciacchiata ma non completamente incenerita.
I reperti, in origine, erano rimasti sparsi sul terreno. Col passare di secoli e millenni, venivano avvolti dalla vegetazione, poi venivano sommersi via via da successivi strati di terreno che si depositavano al di sopra. Per molti millenni, i reperti potevano essere esposti all'azione dell'acqua di varia provenienza, e l'acqua, a seconda delle situazioni, poteva portare carbonati minerali, privi dell'isotopo 14, di età radiocarbonica infinita, oppure l'acido umico prodotto dalla vegetazione in epoche successive, quindi con carbonio più recente. I reperti potevano essere compenetrati dalle radici della vegetazione soprastante e si trovavano immersi nei resti vegetali in putrefazione. Se i sindonologi credono che la Sindone sia un oggetto inquinato, dovrebbero fare il confronto con i reperti estratti dagli scavi.
L'osso estratto da scavi, come è ben noto, presenta seri problemi per la datazione. È un materiale ad alto rischio di inquinamento quando è rimasto per lungo tempo nel terreno. L'osso è costituito da una componente minerale, per la maggior parte, e da una componente organica. Il carbonio della componente minerale è in forma di carbonato di calcio (assieme a una prevalente parte di fosfati di calcio). Se l'acqua porta inquinamento di calcio, questo si inserisce nella struttura dell'osso e si confonde col carbonato originario, quindi non si può dare affidamento alla datazione della parte minerale.
Nella componente organica, il carbonio è contenuto nelle proteine, principalmente nel collagene. Per la componente organica il rischio di inquinamento è minore e quindi si cerca di separarla dalla componente minerale per poi eseguirne la datazione. Il collagene è meno esposto all'inquinamento, ma esso pure può essere inquinato se l'osso è particolarmente degradato. Per ossi molto vecchi, la parte di collagene originale si riduce, fino quasi a scomparire, mentre può essere introdotto carbonio organico da inquinamento.
Durante i primi anni dall'introduzione del metodo del C14, e prima dell'introduzione del metodo spettrometrico (metodo AMS, i cui primi laboratori entrarono in funzione attorno al 1982-83), era necessario disporre di una notevole quantità di materiale e diventava problematico estrarre una quantità sufficiente di collagene da un osso se l'osso era molto vecchio ed era stato esposto a condizioni di degrado.
Solo dopo l'introduzione del metodo AMS, col quale sono sufficienti campioni mille volte più piccoli, è diventato possibile estrarre dall'osso e purificare quantità molto piccole di proteine da utilizzare per la datazione. Nel corso degli anni sono stati studiati metodi per migliorare l'estrazione del carbonio organico. A volte si è arrivati a purificare singole proteine. Sono stati fatti molti progressi ma, anche così, l'osso (s'intende sempre l'osso molto vecchio ed estratto da scavi nel terreno) rimane un materiale non facile per la datazione.
È inutile dire che la Sindone non è fatta di osso e non è rimasta sepolta per millenni sotto terra. Confrontare la situazione per la datazione della Sindone con la situazione per la datazione di ossi estratti da scavi, significa confondere le idee al lettore.
Passiamo all'altro tipo di reperto, il carbone di legna. Qui il rischio di inquinamento è minore ma non nullo e c'era il problema, prima dell'AMS, che la quantità di materiale reperibile poteva essere piccola e non sufficiente per una datazione precisa. Occorreva raccogliere numerosi piccoli frammenti. Con l'avvento dell'AMS, diventò possibile datare anche un singolo frammento e il carbone diventò un utile reperto ai fini della datazione.
Per il carbone c'è comunque da considerare che potrebbe provenire da un albero abbastanza grosso, che negli anelli interni ha un legno più vecchio, e inoltre l'albero poteva essere caduto e morto già molto tempo prima che venisse bruciato.
Finora non abbiamo parlato del problema della calibrazione. Per molto tempo, gli studiosi dei primi insediamenti nordamericani, quando ricorrevano al radiocarbonio, dovevano accontentarsi di una datazione relativa basata sugli anni BP (anni radiocarbonici non calibrati), rinunciando a una datazione assoluta,. Infatti erano soliti dare i risultati in anni BP senza riferimento a date di calendario. La curva di calibrazione, che veniva man mano costruita ed estesa a date sempre più antiche, non arrivava a coprire date così antiche come diecimila e più anni fa.
Dapprima, quando si cominciò a costruire la curva di calibrazione in base allo studio degli anelli degli alberi, si vide che per gli ultimi duemila anni la calibrazione non comportava grosse correzioni. Poi, andando ai primi millenni avanti Cristo, si trovarono discrepanze maggiori ma si trattava pur sempre di pochi secoli. Quando infine si arrivò a risalire oltre i diecimila anni, si trovò che la calibrazione comportava correzioni molto rilevanti. Per il periodo di interesse nel nostro caso, fra dieci e dodicimila anni BP, gli scarti arrivavano anche a duemila anni da spostare all'indietro. Quindi una datazione a undicimila anni BP si trasformava in una data calibrata di tredicimila anni fa. Con scarti così grandi, se in precedenza fossero stati fatti tentativi di datazione assoluta, sarebbero stati destinati a fallire. Anche per le datazioni relative, bisogna tener conto che la curva di calibrazione non ha un andamento lineare ma può avere oscillazioni che non erano note.
Infine, durante il primo periodo di applicazione del radiocarbonio, non era usuale misurare anche il rapporto C13/C12 per rendere precisa la correzione di frazionamento isotopico, benché questa comporti spostamenti di minore entità.
Per tutti questi motivi, non meraviglia che inizialmente gli studiosi dei primi insediamenti nordamericani rimanessero talvolta delusi dalle datazioni al radiocarbonio. In un campo di studi dove non ci sono documenti scritti né monumenti né opere d'arte, se non manufatti primitivi, su cui basarsi per una cronologia, gli studiosi riposero inizialmente le loro speranze sul radiocarbonio aspettandosi forse che permettesse da subito di arrivare a datazioni precise. Quando trovarono qualche incongruenza, poterono restare talvolta delusi rispetto alle aspettative. Solo dagli anni 1980, con l'introduzione del metodo AMS e poi con l'estensione della curva di calibrazione e con l'affinamento di metodi di purificazione del carbonio dell'osso, si arrivò a datazioni più affidabili. Ma Tosatti fa riferimento a una citazione, come quella di Lee, che risale al 1981.
Va comunque detto che anche prima del metodo AMS, nell'insieme e a parte singole discrepanze, il radiocarbonio permise di dare un quadro abbastanza soddisfacente per le datazioni dei primitivi insediamenti americani, almeno relative e non assolute. Con l'introduzione del metodo AMS, le datazioni diventarono più precise ma non fu pesantemente alterato il quadro che già si aveva.
Oggi il C14 è di primaria importanza nello studio dei primitivi insediamenti umani in America e nessun archeologo si chiede, come si chiedeva Robert Lee, se valga la pena di spendere soldi per le datazioni.
Citazione da Marie Wormington
Alla pagina seguente (p. 20) Tosatti ha un'altra citazione:
«Riportiamo qui il parere – che riflette quello di moltissimi archeologi, le persone che ovviamente hanno più interesse diretto a utilizzare gli esami di datazione – di H. Marie Wormington, una grande archeologa americana: “Col passare degli anni abbiamo imparato che la datazione con il radiocarbonio non è affatto la pietra filosofale che una volta speravamo potesse essere.”»
Hannah Marie Wormington (1914-1994) era una distinta archeologa che si era sempre dedicata allo studio appunto dei primi umani in America. Tosatti non fornisce la fonte. La frase citata è presa da un libro del 1983, Early Man in the New World. Come dice il titolo, si tratta dello studio dei primi uomini in America. La data di pubblicazione, 1983, indica che il libro si riferisce a studi condotti prima dell'introduzione del metodo AMS. Quindi ci troviamo con gli stessi problemi di cui abbiamo già parlato.
Tosatti dice che la frase della Wormington esprime un parere che “riflette quello di moltissimi archeologi”. Se non precisa la situazione particolare a cui si riferisce la Wormington, fa credere che gli archeologi, in generale, non si fidino del radiocarbonio.
I pesci di Hong Kong
Poi Tosatti dice (p. 21):
«Ossa di pesce provenienti da Hong Kong, e sicuramente appartenenti al neolitico (almeno 3000 anni fa) sono state trovate vecchie di appena 280 anni, mentre resti umani dello stesso periodo hanno fornito date oscillanti fra 135 e 800 anni di anzianità.»
Tosatti non cita una fonte ma con tutta probabilità ha attinto a un articolo del 1986 di William Meacham, un archeologo americano che da quaranta anni vive a Hong Kong. L'articolo si può leggere qui:
http://www.shroud.com/meacham.htm
Meacham è anche un sindonologo e ancora oggi è convinto che la radiodatazione della Sindone abbia dato un risultato sbagliato.
Quelli citati da Tosatti erano reperti estratti da scavi nella località di Sham Wan sull'isola di Lamma, Hong Kong. In quel sito si trovano sovrapposizioni di strati con resti di successivi insediamenti umani sull'arco di diverse migliaia di anni. Gli strati più antichi sono a oltre un metro di profondità. Gli scavi furono condotti nella prima metà degli anni 1970, quando non esisteva il metodo AMS. Per entrambi i casi citati da Tosatti, furono datati separatamente sia la parte minerale che il collagene degli ossi. Quindi i reperti subirono un trattamento per la separazione. Forse le tecniche di separazione non erano abbastanza evolute, oppure il lavoro non fu condotto in modo appropriato, perché gli scarti nella datazione sembrano troppo grossi per essere attribuibili solo a inquinamenti preesistenti. C'è anche da considerare il rischio di una assegnazione sbagliata a un particolare strato al momento del prelievo.
Nel citato articolo del 1986, Meacham cercava di convincere i colleghi sindonologi che il radiocarbonio non è affidabile e che non era opportuno datare la Sindone. Cercava quindi di mettere il radiocarbonio nella peggior luce e citava esempi di errori occorsi nelle datazioni. Tutti gli esempi da lui riportati riguardano reperti estratti da scavi. Quando arriva a considerare i problemi per i reperti tessili e in particolare per la Sindone, elenca alcuni motivi che in teoria potrebbero portare a errori, ma non cita alcun esempio concreto di errori compiuti su reperti tessili.
Si può aggiungere che recentemente, nel 2008, Meacham ha pubblicato un libro, The Archaeology of Hong Kong, in cui passa in rassegna le ricerche archeologiche condotte a Hong Kong, incluse quelle nel sito di Sham Wan. Il libro è disponibile (parzialmente) su Google Libri. Da una scorsa che ho dato, si vede che, in generale, Meacham si riferisce ripetutamente alle datazioni che sono state eseguite e non sembra metterle in dubbio.
Non sto a ripetere che è fuorviante invocare, per la datazione della Sindone, i problemi che venivano incontrati in origine con gli ossi estratti da scavi.
Gli oggetti “scavati di fresco”
Riferendosi ancora a reperti citati da Meacham, per i quali la datazione sarebbe risultata sbagliata, Tosatti dice (p. 18):
«E si trattava di oggetti scavati di fresco, cioè che erano rimasti per lungo tempo in situazioni e ambienti stabili, esenti da contaminazioni.»
Infatti, come si legge in una citazione da Meacham alla pagina precedente, Meacham parla di “esemplari provenienti da scavi”, cioè estratti dal terreno.
Quindi secondo Tosatti i reperti “freschi”, da poco dissotterrati, sono puliti e incontaminati, a differenza della Sindone che sarebbe sporca. È vero il contrario. I reperti rimasti per millenni nel terreno, come abbiamo già detto, possono essere stati inquinati per varie cause. L'acqua può portare carbonio che può essere minerale e privo di isotopo 14, quindi di apparente età infinita alla datazione. Una piccola percentuale di carbonio inerte può provocare un notevole spostamento all'indietro nella datazione. Poi il reperto può essere stato inquinato dall'acido umico prodotto dalla fermentazione di resti vegetali, con carbonio che può essere più giovane. Ecco, queste secondo Tosatti sono le “situazioni e ambienti stabili, esenti da contaminazioni”. Niente di paragonabile per la Sindone, che non proviene da uno scavo, è rimasta chiusa in uno scrigno per pochi secoli ed è un oggetto così pulito da fare invidia agli archeologi costretti a lavorare su reperti usciti dagli scavi. Se saltuariamente il telo fu toccato con le mani o esposto al fumo delle candele, si tratta di contaminazioni che, a peso, sono irrilevanti e inoltre possono essere rimosse con le procedure di pulizia attuate dai laboratori. Quindi non ha senso attribuire al tessuto della Sindone i problemi che possono esserci per reperti molto più antichi usciti dagli scavi.
Inoltre Tosatti farebbe bene a consultare un esperto o un matematico per farsi dire quanto deve essere, a peso, il carbonio contaminante per spostare la datazione dal 30 d.C. al 1300. Quando lo avrà fatto, ci dirà quante cisterne di sudore sono necessarie. Il calcolo è molto facile e potrebbe essere fatto da uno studente di liceo. Ma i sindonologi si guardano bene dal farlo. Si accorgerebbero che tutto l'inquinamento che riescono a immaginare come provocato dal sudore delle mani, dalle lacrime dei fedeli e dal fumo delle candele, dopo la pulizia dei campioni sposterebbe la data non di secoli ma di quarti d'ora.
Inquinamenti pre-1300?
Forse Tosatti si rende conto che durante gli ultimi secoli il telo è stato tenuto con riguardo e non è stato sporcato. Quindi si rifugia nella eventualità che sia stato sporcato nei secoli precedenti alla sua storia conosciuta (cioè quando il telo non esisteva). A p. 19-20 dice:
«Va da sé che l'esame è “sicuro” quando l'oggetto è rimasto buono buono, chiuso per secoli e magari millenni in una bella tomba sigillata. Non lo è più, o lo è molto meno, se non si sa dove è stato, chi l'ha toccato, che peripezie ha subito per varie centinaia di anni (nell'ipotesi che la Sindone di Torino sia il lenzuolo sepolcrale del Cristo, tredici secoli circa).»
Dunque Tosatti si appella alla sporcizia accumulata durante i primi tredici secoli dell'era volgare. Non si rende conto che una contaminazione anteriore al 1300 non avrebbe mai potuto arricchire di C14 in modo tale da portare la datazione, come è risultato, al 1300. Se prendo un telo del primo secolo e lo sporco con carbonio, poniamo, dell'ottavo secolo, potrò avere una datazione che va dal primo all'ottavo secolo, a seconda delle proporzioni in cui il carbonio è mescolato (all'ottavo secolo con cento per cento di contaminazione di quel secolo e zero di tessuto originario), ma non potrò mai arrivare al 1300. Maggiore è la quantità di inquinante accumulata prima del 1300, maggiore sarà la quantità di inquinante posteriore al 1300 che si dovrà aggiungere. Quindi a Tosatti converrebbe pensare che il telo è rimasto al riparo da inquinamenti per i primi tredici secoli. Anzi, la quantità di inquinante necessaria diventa tanto minore (ma resta pur sempre ingente) quanto più l'inquinamento è moderno. Eppure Tosatti torna a ripetere lo stesso concetto a p. 21:
«Insomma, è evidente che il C14 può ed è certamente utile, come strumento fra gli altri, ma non può essere utilizzato da solo per determinare l'età di un oggetto, in particolare di un tessuto di cui si ignora – se realmente la sua origine è nel I secolo della nostra era – dove è stato, che contatti ha subito e in che condizioni si è conservato per oltre un millennio.»
Basterebbe questo per dedurre quanto Tosatti ha ancora da imparare su che cosa sia la datazione al radiocarbonio. Dovunque il telo sia stato, Tosatti dovrebbe capire che nel primo millennio non poteva inquinarsi in modo da datare al futuro rispetto a quel millennio. Le esplosioni nucleari nell'atmosfera non erano ancora state inventate.
La mummia dell'ibis
Tosatti scrive a p. 20:
«Fu chiesto di datare una mummia di Ibis sacro egiziano, in base al lino del rivestimento, a materiale organico (ossa) dell'uccello e a del tessuto rimasto attaccato alle ossa. I risultati, in breve: le ossa furono datate fra il 900 e il 770 a.C.; le bende fra il 400 e il 170 a.C.»
Questo naturalmente è l'ibis di Leoncio Garza-Valdes che fu datato nel 1996 in Arizona. Ne ho già parlato in un paio di articoli. La differenza in anni radiocarbonici fra corpo e bende era di 400 anni. Garza-Valdes aveva visto, sulle bende del suo ibis come sui fili della Sindone e su un'altra mummia, la 1770 del Museo di Manchester, un “rivestimento bioplastico” prodotto da microrganismi e non eliminabile con i normali procedimenti di pulizia dei laboratori del radiocarbonio. Secondo lui, quel “bioplastic coating” era responsabile di un apparente ringiovanimento dell'età al test del radiocarbonio.
Tosatti continua:
«Esclusa la possibilità che sia stato rifasciato qualche secolo dopo la sua imbalsamatura, gli specialisti stanno ancora discutendo su come sia possibile ottenere risultati così ampiamente divergenti: fra le altre ipotesi si pensa che la dieta alimentare dell'Ibis abbia potuto influire sulla quantità di C14 presente nel suo corpo... Oppure, e forse è più probabile, che la contaminazione delle bende dovuta a batteri ed altre sostanze non identificate abbia “ringiovanito” le bende stesse: un'ipotesi che, come vedremo, tornerà anche per la Sindone e che ha tutte le caratteristiche della verosimiglianza.»
I sindonologi volevano interpretare la discrepanza fra bende e corpo dell'ibis ritenendo che le bende siano risultate più giovani del reale, ma ci sono due buoni motivi per pensare invece che sia stato il corpo dell'ibis a dare un risultato più vecchio del reale. Primo, si tratta di un uccello acquatico che quindi può essersi nutrito con carbonio povero di C14. Secondo, un animale imbalsamato può essere contaminato con carbonio inerte. Un modo per imbalsamare un uccello era immergerlo in un liquido bituminoso riscaldato. Così l'animale si impregnava di bitume o pece che hanno un carbonio privo dell'isotopo 14. Pochi percento di tale carbonio bastano per spostare la data all'indietro di qualche secolo. Va aggiunto che in base a considerazioni stilistiche è stata stimata un'epoca, per l'imbalsamazione dell'ibis, che è in accordo col risultato della datazione delle bende, non del corpo.
Tosatti indica come verosimile che le bende, come la Sindone, fossero contaminate con “batteri ed altre sostanze non identificate”. Anche se in questa pagina non nomina Garza-Valdes, si riferisce chiaramente alla sua teoria del “rivestimento bioplastico” da lui avanzata nel 1993 come spiegazione per il risultato della datazione della Sindone. In altra parte del libro (p. 159-160) Tosatti presenta come valida la teoria di Garza-Valdes in relazione alla Sindone.
I sindonologi sostennero quella teoria solo per pochi anni, poi dovettero accorgersi perfino loro di quanto fosse inverosimile. Inoltre Garza-Valdes distrusse per sua imperizia un cospicuo quantitativo di tessuto sindonico fornitogli clandestinamente da Giovanni Riggi, ciò che non contribuì a fargli riscuotere la simpatia dei sindonologi. Per giunta la curia di Torino non fu contenta che Garza-Valdes usasse materiale sindonico senza il suo consenso. Infine Garza-Valdes colmò la misura quando si mise a parlare del “DNA di Dio”.
Gradualmente la teoria del “rivestimento bioplastico” sta sparendo dai testi dei sindonologi. Fra i più noti sindonologi italiani, attualmente sembra esserci solo Emanuela Marinelli che continua a propagandarla. Per molti anni la Marinelli ha addirittura scritto che Garza-Valdes aveva condotto un certo esperimento, con risultati probanti per la sua teoria, mentre invece l'esperimento non era mai stato condotto né da lui né da altri. Dopo che nel 2009 ho dedicato un articolo alla vicenda, finalmente la Marinelli, nel suo ultimo libro del 2010 (La Sindone: Testimone di una presenza), ha rinunciato a citare l'esperimento fantasma. Staremo a vedere chi sarà, fra Tosatti e la Marinelli, l'ultimo ad accorgersi di quanto credito vada dato a Garza-Valdes.
Con riferimento alla datazione dell'ibis, e con implicito riferimento alla teoria del rivestimento bioplastico, Tosatti dice che “gli specialisti stanno ancora discutendo”. Vediamo quanto discutono.
Dove sono gli specialisti?
Proviamo a cercarli.
Se ci fosse anche solo il sospetto che ci sia qualcosa di vero nella teoria di Garza-Valdes, allora gli specialisti del radiocarbonio sarebbero interessatissimi a studiare un fenomeno che potrebbe mettere a rischio tutte le datazioni. Lo hanno mai fatto? No. Tutte le annate di Radiocarbon, la principale rivista del settore, sono liberamente accessibili online assieme al loro motore di ricerca interno. Tosatti può provare a cercare e ci dirà se è riuscito a trovare un solo articolo che discuta il rivestimento bioplastico, vuoi nel caso dell'ibis o in qualsiasi altra situazione.
Garza-Valdes si è inventato un batterio a tutti sconosciuto che ha chiamato Leobacillus rubrus (nuovo genere e nuova specie, con il “Leo” in onore del proprio nome Leoncio), e sarebbe quello che produce il rivestimento bioplastico. Questo batterio avrebbe capacità portentose. Infatti dovrebbe essere in grado di prendere il carbonio dall'anidride carbonica dell'aria e usarlo per fabbricare la plastica. Ma questo è un processo che richiede energia. Quale sarebbe la fonte di energia utilizzata dal Leobacillo? Nessuno lo sa. Per quanto riguarda la Sindone, nessuno ha mai spalmato quotidianamente il telo con glucosio per nutrire il batterio e inoltre il telo è stato tenuto quasi sempre al buio dentro a uno scrigno, quindi il batterio non poteva nemmeno sfruttare l'energia della luce. Se fosse immaginabile che davvero esiste un microrganismo che sa fare quello che dovrebbe fare il Leobacillo, allora gli specialisti di svariate discipline, dalla biologia alla chimica industriale, si sarebbero precipitati a studiarlo. Tosatti può provare a mettere le parole “Leobacillus rubrus” in ricerca su Google, o meglio su Google Scholar dove sono archiviati gli articoli delle riviste scientifiche, e non troverà nessun sito (a parte, s'intende, qualche sito dei sindonologi) che ne parli.
Forse Tosatti si riferiva a quella categoria molto speciale di “specialisti” che sono i sindonologi? Ma i sindonologi sembrano essere gli ultimi a prendere sul serio la patina bioplastica. Infatti, a partire dal 1973, a più riprese sono stati staccati dal telo della Sindone lembi di tessuto o frammenti di filo che nel corso degli anni sono passati di mano in mano in giro per il mondo e sono stati studiati da numerosi sindonologi che li hanno osservati in tutte le luci e a tutti gli ingrandimenti, oltre a sottoporli quando possibile ad analisi chimiche. Ebbene, nessun sindonologo ha mai detto di aver visto la patina di Garza-Valdes. Per contro, qualche sindonologo ha decisamente negato che ci sia.
Forse Tosatti si limita a riferirsi ai quattro autori dell'articolo del 1997 sulla datazione dell'ibis? Almeno loro dovrebbero essere fieri della loro scoperta e dovrebbero essere interessati a continuare gli studi, anche perché uno di loro, appunto Garza-Valdes, possedeva la mummia dell'ibis con le sue bende e un'altra, Rosalie David, aveva disponibile la famosa mummia 1770 del museo di Manchester per la quale era già stata invocata una analoga situazione. Ma nemmeno loro sembrano crederci. Dei quattro autori, uno è morto nel 2009 e gli altri dovrebbero essere ancora vivi, ma nessuno di loro ha mai più pubblicato niente sul rivestimento bioplastico, non almeno in pubblicazioni scientifiche. Va anche detto che in quell'articolo sulla datazione dell'ibis non veniva portata alcuna prova dell'esistenza della patina bioplastica né se ne discutevano le presunte caratteristiche.
La tomba di Tutankhamon
Poi Tosatti scrive (p. 20-21)
«Restiamo in Egitto, per parlare della tomba di Tutankhamen, che si presume sia morto nel 1350 a.C. Alcuni frammenti di legno (cedro del Libano e Spina Christi) furono esaminati con il C14, a cura del British Museum, insieme a noccioli di palma e frammenti di stuoia, e diedero una data vicina all'830 a.C., quindi in totale discrepanza con le date storiche. I risultati non furono mai pubblicati.»
Qui in nota mette il link alla sua fonte:
http://specialtyinterests.net/carbon14.html
È una pagina di un vasto sito fondamentalista americano che si dedica fra l'altro a riscrivere, alterandola, la cronologia dell'antico Egitto e di altre antiche civiltà del Medio Oriente per metterla d'accordo con la cronologia biblica. La pagina cerca di screditare il metodo del radiocarbonio presentando in modo confuso affermazioni prive di fondamento o assurde.
Nella pagina sono riportati alcuni passaggi da testi di Immanuel Velikovsky ed è appunto da un paio di sue frasi che trae spunto Tosatti. Non c'è bisogno di ricordare che Velikovsky (1895-1979) proponeva teorie che sarebbero considerate eccessive anche in un romanzo di fantascienza.
Anche Velikovsky, fra altre cose, voleva riscrivere a suo modo la cronologia dell'antico Egitto e zone circostanti per metterla d'accordo con la successione delle sue catastrofi planetarie.
Per inquadrare i casi citati da Tosatti, può essere utile vedere questo sito dell'Archivio Velikovsky:
http://www.varchive.org/
Il sito contiene molti testi di Velikovsky, inclusi quelli riportati nella pagina che è la fonte di Tosatti, oltre a maggiori informazioni sui casi in esame.
Vediamo come stanno le cose. Tosatti riunisce insieme due distinti episodi. Il primo riguarda la datazione di tre frammenti di legno dalla tomba di Tutankhamon. Due frammenti erano di Ziziphus spina-christi, un piccolo albero. Un terzo era da un albero a lunga vita, un cedro del Libano, ma il prelievo era stato fatto in una zona esterna del tronco. Per i tre frammenti, si stimava che avessero un'età, alla morte dei rispettivi alberi, di non più di 30 anni. I tre frammenti furono uniti in un unico campione per la datazione.
La datazione dei frammenti di legno fu eseguita nel laboratorio del radiocarbonio della University of Pennsylvania, non al British Museum di Londra. I reperti di legno si trovavano al Museo del Cairo. I prelievi erano stati eseguiti da Zaki Iskander, direttore del laboratorio di chimica del dipartimento delle Antichità del Cairo.
Tosatti non dice quando fu eseguito il test. L'omissione è rilevante perché il test fu eseguito all'inizio del 1964, quando non si era ancora in grado di apportare la correzione di calibrazione per reperti di tremila o più anni di età.
Non è vero che il risultato non fu pubblicato. Tosatti può cercare sulla rivista Radiocarbon (le cui annate sono disponibili in rete), e troverà il risultato pubblicato a p. 196 del volume 7 (1965), all'interno di un articolo con i risultati delle datazioni effettuate in Pennsylvania nel 1963-64.
Il risultato pubblicato fu di 2980 ± 50 anni BP, corrispondente alla data non calibrata del 1030 a.C. Tosatti invece parla di una data “vicina all'830 a.C.” e non si capisce dove abbia trovato quel numero. Nell'articolo viene anche specificato che secondo Iskander la tomba risale al 1343 a.C. In realtà la data esatta della morte di Tutankhamon non è nota ma attualmente sembra essere stimata ai decenni attorno al 1330 a.C.
Applicando la calibrazione, la data del 1030 a.C. viene spostata indietro di circa due secoli e quindi va a cadere in buona prossimità rispetto alla data stimata dagli storici. Con i mezzi di allora, non si poteva pretendere molto di più. Va anche considerato che non fu misurato il delta-C13 e quindi la correzione di frazionamento isotopico potrebbe non essere precisa, ma si tratterebbe di uno scarto di non molto anni.
Insomma il risultato fu soddisfacente e non, come dice Tosatti, “in totale discrepanza con le date storiche”.
Questo per i tre pezzi di legno. Veniamo agli altri due campioni di cui parla Tosatti, i noccioli di palma e i frammenti di stuoia. Non furono datati assieme ai pezzi di legno, come lascia intendere Tosatti, ma sette anni più tardi, nel 1971, nel laboratorio del British Museum. I reperti appartenevano allo stesso museo. È vero che il laboratorio non pubblicò i risultati. Per i retroscena della vicenda, ci affidiamo ad alcune lettere che furono allora scambiate e sono reperibili in questa pagina dell'Archivio Velikovsky (ultimi link in basso, quelli relativi alla corrispondenza del 1973 e del 1975):
http://www.varchive.org/cor/ash/index.htm
Il laboratorio del British Museum stava collaborando con quello della University of Pennsylvania nella datazione di reperti egizi e i due laboratori si scambiavano informazioni sui rispettivi risultati. In una lettera spedita da Londra a Filadelfia erano indicati, fra gli altri, i risultati per i noccioli e la stuoia. La notizia dovette circolare perché poco dopo i risultati furono divulgati sul primo numero (maggio 1972) di una rivista pubblicata negli Stati Uniti da seguaci di Velikovsky: Pensée: Immanuel Velikovsky Reconsidered. Come dice il titolo, si trattava di una rivista che propagandava le tesi di Velikovsky ed è probabile che lui stesso partecipasse alla redazione. I risultati, quali pubblicati sulla rivista, erano 899 a.C per i noccioli e 846 a.C. per la stuoia. Si suppone che le date siano non calibrate.
Si può ritenere che fosse stato lo stesso Velikovsky ad aver visto la lettera spedita da Londra e a volerla pubblicata. Infatti Velikovsky era in contatto con qualcuno dei responsabili del laboratorio di Pennsylvania ed era interessato a far conoscere quei risultati perché nella sua versione della storia dell'antico Egitto la morte di Tutankhamon era collocata a circa l'830 a.C., quindi riteneva che i risultati confermassero le sue teorie.
Nel 1975 ci fu uno scambio di lettere fra un seguace di Velikovsky, John Iles, e l'allora segretario del British Museum. Iles chiedeva perché quei risultati non fossero stati pubblicati dal museo. Il segretario rispondeva che per i due campioni, appartenenti al museo stesso, c'era incertezza sull'origine, cioè non si era sicuri che provenissero dalla tomba di Tutankhamon. Il risultato della datazione fece propendere per campioni non provenienti dalla tomba o non contemporanei alla sua costruzione. I risultati non furono pubblicati perché considerati privi di interesse se non era nota la provenienza dei campioni.
Non posso dire se quanto affermato dal segretario corrisponda a verità o sia una giustificazione diplomatica. Comunque va considerato che lo scarto per noccioli e stuoia, rispetto al risultato di Pennsylvania per i frammenti di legno, non è grande (131 e 184 anni rispettivamente). Non sappiamo in quali condizioni si trovassero i campioni e a quali trattamenti venissero sottoposti. Non sappiamo se altri frammenti degli stessi reperti venissero datati in seguito. Tutto considerato, la situazione non è drammatica.
Va notato che Tosatti ha letto male la sua fonte, cioè i passi di Velikovsky riportati nella pagina del sito da lui citato. Infatti in quel testo Velikovsky dice chiaramente che i frammenti di legno furono datati alla università della Pennsylvania, mentre i noccioli e la stuoia furono datati sette anni dopo al British Museum. Inoltre per i risultati fornisce le stesse date che abbiamo indicato qui, tutte diverse da quell'“attorno all'830 a.C.” fornito da Tosatti. Velikovsky indica anche le date, 1964 e 1971, alle quali i test, furono eseguiti, mentre Tosatti le omette.
È inutile dire che il problema della calibrazione per date molto antiche è stato poi affrontato e risolto. Quanto alla Sindone, la sua età è molto più giovane rispetto alla tomba di Tutankhamon e quando fu datata, nel 1988, si conosceva molto bene la correzione da apportare per la calibrazione, che del resto per l'ultimo millennio comporta solo spostamenti molto lievi.
Le conchiglie di 400 anni
A p. 21 Tosatti scrive:
«Ci sono casi in cui a conchiglie moderne è stata attribuita un'età di quattrocento anni...»
(I puntini di sospensione, alla fine della frase, starebbero a indicare la sorpresa per un errore così evidente.) Come esempio di quanto Tosatti sia bene informato a proposito di radiocarbonio, questo sarebbe il massimo se non fosse superato dal caso delle foglie di platano che vedremo subito. Tosatti non sa che con le conchiglie può succedere di tutto a seconda dell'acqua in cui sono cresciute e della provenienza del carbonio che hanno assorbito. Altri sindonologi (riprendendo a loro volta dai creazionisti) hanno citato esempi di conchiglie moderne con una età apparente di molte migliaia di anni.
Per fare eseguire una datazione occorre spendere una discreta somma. Tosatti potrebbe chiedersi perché mai qualcuno spenderebbe soldi per datare conchiglie appena raccolte di cui già conosce l'età. Il motivo per “datare” le conchiglie non è per conoscerne l'età, ma per studiare la provenienza del carbonio nelle acque dove le conchiglie sono cresciute e i processi di assorbimento del carbonio da parte delle conchiglie stesse.
I platani di Roma
Tosatti scrive (p. 21):
«Foglie di platano di un anno prima, raccolte a Roma, apparivano vecchie di 400 anni.»
Come dicevamo, fra tutti gli esempi di “errori” forniti da Tosatti, questo dimostra nel modo più lampante quale sia la sua familiarità con il radiocarbonio. Quella strada di Roma era inquinata dai gas di scarico delle automobili. Non è difficile immaginare che il carbonio del petrolio è privo di isotopo 14. Infatti il petrolio è tanto antico che quel C14 che in origine c'era è già decaduto da quel po'. Le foglie si formano prendendo il carbonio dall'aria. Se l'aria è inquinata da carbonio di origine fossile, il contenuto di isotopo 14 diventa minore rispetto all'aria non inquinata, con conseguente apparente invecchiamento dell'età. Il test non sbaglia affatto rilevando una diminuzione della quantità di C14. Al contrario, il test sbaglierebbe se non la rilevasse.
Il carbonio di origine fossile immesso nell'atmosfera dall'inizio dell'era industriale è così abbondante che anche misurando un albero cresciuto in mezzo a una foresta, lontano dalle città o dalle fabbriche, si rileva un effetto dell'inquinamento. Quindi qualsiasi albero cresciuto nella prima metà del Novecento appare un po' più vecchio del reale. Invece un albero cresciuto nella seconda metà del Novecento può avere una apparente età proiettata nel futuro anche di millenni in conseguenza del C14 prodotto dalle esplosioni nucleari. Lo stesso vale per qualsiasi vegetale e per gli animali che si nutrono di quei vegetali. Insomma, qualsiasi datazione eseguita su oggetti formatisi durante l'ultimo secolo è sempre sbagliata, secondo Tosatti.
Eseguire una datazione ha un costo. Anche in questo caso, Tosatti potrebbe chiedersi chi è mai che spende soldi per misurare l'età delle foglie di platano che ha appena raccolto. L'età la conosce già e non ha bisogno di fare il test. Ci saranno altri motivi. Per esempio, questo può essere un metodo per misurare l'inquinamento medio da carbonio fossile presente nell'aria, in quella zona, durante i mesi in cui le foglie si sono formate. Nel caso di quei platani, i 400 anni sono equivalenti a una presenza di carbonio fossile, nell'anidride carbonica dell'aria, nella proporzione di circa il cinque per cento rispetto al totale, una quantità non eccezionale in una strada con notevole traffico di veicoli.
Non so quando venne effettuata la misurazione sulle foglie di platano. Qualche altro sindonologo cita il 1979. In quel torno di anni, il contenuto di C14 nell'atmosfera era circa il 30% più alto rispetto al livello base di prima delle esplosioni nucleari. Per quanto forte fosse l'inquinamento da carbonio fossile, probabilmente la misurazione del C14 ha dato una quantità sempre molto superiore allo standard del 1950, quindi con una apparente età nel lontano futuro se calcolata rispetto a quello standard. Per tenerne conto e per misurare, al netto, l'effetto dell'inquinamento urbano, il modo più semplice è fare il confronto con foglie di platano raccolte in aperta campagna o in un bosco lontano da fonti di inquinamento.
Tosatti non cita una fonte per le foglie di platano e non fornisce alcun dato che possa permettere di risalire all'articolo originale in cui il risultato fu comunicato. Ci si può chiedere quale sia la sua fonte secondaria. Questa volta non avrà copiato dai creazionisti americani, sia perché il caso è di ambientazione italiana, sia perché nemmeno i creazionisti cadrebbero nell'equivoco di credere che questo è un caso di errore del radiocarbonio. L'origine è probabilmente fra i sindonologi italiani. Infatti le foglie di platano comparvero in un articolo di Emanuela Marinelli sulla sua rivista Collegamento pro Sindone nel numero di settembre-ottobre 1988, quindi immediatamente dopo che divenne noto il risultato del test sulla Sindone. L'articolo è disponibile qui sul sito della stessa Marinelli:
http://www.shroud.it/DATA.HTM
Vi si legge:
«Nel caso di forte inquinamento atmosferico possono verificarsi casi eccezionali: foglie di platano raccolte a Roma un anno prima apparivano vecchie di 400 anni perché avevano assorbito dall'aria carbonio dovuto alla combustione di petrolio, idrocarburo antichissimo e quindi povero di 14C.»
Quindi la Marinelli indica correttamente il motivo dell'apparente invecchiamento, ma anche così considera questo un caso di errore del radiocarbonio. Infatti nell'articolo elenca diverse ipotesi con cui cerca di spiegare il risultato medievale del test sulla Sindone, che lei ovviamente non accetta. Una sezione ha il titolo: “Terza ipotesi: Il 14C ha sbagliato”. All'interno della sezione dice: “Esistono nella letteratura scientifica casi clamorosi di datazioni fasulle. Citiamo solo qualche esempio.” Segue un elenco di esempi di errori, e uno degli esempi è appunto la frase citata sopra per le foglie di platano. Quindi la Marinelli riesce a presentare le foglie di platano come un errore del radiocarbonio, anzi un errore “clamoroso”, pur spiegando contemporaneamente il motivo per cui non è un errore. Non conosco altri sindonologi che siano stati capaci di tanto.
Ancora venti anni dopo, in un suo libro del 2009 (La Sindone: Analisi di un mistero), a p. 236-238 la Marinelli colloca le foglie di platano in un elenco di errori del radiocarbonio, in una sezione col titolo “Casi clamorosi” che comincia così:
«Il metodo di datazione con il 14C può dunque considerarsi “infallibile”, la “prova del nove”, come è stato spesso propagandato? Pare proprio di no. Nella letteratura scientifica esistono casi clamorosi di datazioni radiocarboniche errate che invitano, invece, alla prudenza.»
Segue un lungo elenco con una ventina di presunti errori di datazione. Il secondo esempio è quello delle foglie di platano con una frase identica a quella del 1988 citata sopra.
I sindonologi continuano a citare sempre il solito vecchio caso delle foglie di platano di Roma come se proprio quella volta là si fosse verificato un errore nella datazione. Non capiscono che in qualsiasi momento una datazione di qualsiasi foglia in una strada inquinata, che sia di platano o di tiglio o di ippocastano, a Roma come in qualsiasi altra città, darà sempre un risultato analogamente “sbagliato”.
Posso fornire a Tosatti (e alla Marinelli) la possibilità di un aggiornamento, sempre per foglie di alberi di Roma. Si trova in un articolo pubblicato da sei autori italiani nel 2002 su Atmospheric Environment (Vol 36, N. 34, novembre 2002, pp. 5405-5416). Il titolo è “Radiocarbon as a biomarker of urban pollution in leaves of evergreen species sampled in Rome and in rural areas (Lazio—Central Italy)”. Si vede già dal titolo che lo scopo degli autori non è, ovviamente, quello di misurare l'età delle foglie ma di stimare l'entità dell'inquinamento urbano in quella zona.
Gli autori hanno misurato il radiocarbonio in foglie di leccio e aghi di pino domestico raccolti in vari punti dello spazio verde di Villa Ada a Roma. Hanno fatto il confronto con foglie raccolte da lecci e pini in aree non inquinate sul litorale tirrenico e alle pendici dell'Appennino. Villa Ada è uno spazio verde che si apre in piena città su dimensioni di parecchie centinaia di metri. È risultato che sul bordo del parco, presso una strada che scorre intorno, il carbonio delle foglie è per il 5,5% carbonio fossile causato dall'inquinamento. L'entità di questo inquinamento è analoga a quella vista per le foglie di platano. Se ci si sposta all'interno del parco, l'inquinamento scende. Verso il centro del parco, a poche centinaia di metri dalla strada, la percentuale di carbonio fossile si riduce all'1,7%.
Posso fornire anche un caso parigino con un articolo pubblicato nel 2005 col titolo “14C of grasses as an indicator of fossil fuel CO2 pollution” (Environmental Chemistry Letters, 3, 2005, 78-81)
Sono stati raccolti campioni di erba a lato di una trafficata strada di Parigi. Sono stati presi sedici campioni, partendo dal bordo della strada e spostandosi ogni volta di due o tre passi fino ad arrivare a una distanza di circa quaranta metri. Si è fatto il confronto con erba raccolta in varie zone della Francia lontano da fonti di inquinamento. Si è constatato un alto grado di inquinamento nell'immediata vicinanza alla strada, che arriva fino al 12% di carbonio fossile nel carbonio dell'erba (corrispondente a un inquinamento più che doppio rispetto a quello riscontrato a Roma per le foglie di platano). Man mano che ci si allontana di qualche metro dalla strada, la percentuale di carbonio fossile si riduce fino a scendere sotto il 4% a una distanza di poche decine di metri.
Tosatti sarà contento di trovare che qui ci sono ben sedici misurazioni del radiocarbonio, su campioni di erba presi a pochi passi di distanza l'uno dall'altro, e i risultati sono tutti e sedici diversi, con errori di età che vanno da tre a dieci secoli. Più sbagliati di così non potrebbero essere! Mi aspetto che nella prossima edizione del suo libro, al posto di un errore di quattro secoli per i platani di Roma, metterà i sedici errori da tre a dieci secoli dell'erba di Parigi.
Nell'articolo mai si parla di datazione o di anni di età, ovviamente. I risultati vengono forniti non come anni di età ma come quantità di C14 (in percentuale rispetto allo standard), da cui viene calcolata la percentuale di carbonio fossile rispetto al totale del carbonio nell'erba, ed è questa la grandezza che interessava stimare.
È inutile dire che il lino della Sindone non è cresciuto sotto le ciminiere delle fabbriche o in mezzo ai gas di scarico dell'odierno traffico cittadino. Il lino potrebbe ugualmente essere stato esposto a carbonio privo di isotopo 14 se è cresciuto presso un vulcano attivo. Ma i sindonologi si guarderebbero dal fare una simile ipotesi. Infatti qualsiasi carbonio inerte, proveniente dal petrolio come dal vulcano, darebbe una apparente data più vecchia del reale, mentre per i sindonologi la datazione della Sindone ha prodotto una data molto più giovane rispetto ai loro desideri.
Il corno di Waukegan
Tosatti riporta tutti di seguito tre esempi di errori per ciascuno dei tre laboratori che datarono la Sindone (p. 21):
«E, tornando sempre al laboratorio di Tucson, è capitato di datare al 2006 d.C. un corno vichingo (non più vecchio del 1000 d.C.), mentre Zurigo, un altro dei laboratori coinvolti nella datazione della Sindone, ha datato al 1600 la tovaglia di lino – moderna – della suocera del direttore del laboratorio. Oxford invece ha collocato all'800 d.C. dipinti sudafricani vecchi di undici anni...»
Li vediamo nell'ordine.
Quel corno è moderno e non vichingo. Il laboratorio di Arizona non si è sbagliato. A quel corno ho dedicato un intero articolo disponibile sul presente sito:
http://sindone.weebly.com/frale2.html
Tosatti potrà leggere l'articolo e troverà il racconto di tutta la vicenda del “corno di Waukegan”. Troverà anche già citata la sua frase sul corno perché l'articolo fu scritto nel 2009 poco dopo l'uscita del suo libro. Questo corno è un tipico esempio di come i sindonologi, quando una notizia è di loro gradimento, la ripetono copiando l'uno dall'altro senza alcuna verifica e senza che gli venga mai un dubbio. Di quel corno, i sindonologi non sanno assolutamente niente, se non che è stato datato alla nostra epoca. Dovrebbero però sapere che i “corni vichinghi” moderni sono molto più numerosi di quelli antichi. Se quindi di questo corno non sanno niente se non che è stato datato alla nostra epoca, non gli viene il dubbio che si tratti di una moderna imitazione e non di un autentico corno vichingo?
La tovaglia della suocera
I sindonologi ripetono spesso questa notizia senza quasi mai citare una fonte. Probabilmente la loro fonte fu, in origine, una frase in un libro di David Sox del 1988, The Shroud unmasked. Sox era stato a Zurigo a incontrare Willi Wölfli, il direttore del laboratorio del radiocarbonio, poco prima che venissero eseguite le misurazioni sui campioni della Sindone. Era poi uscito con questo libro, subito dopo l'annuncio dei risultati della datazione. Riferendo sui suoi colloqui con Wölfli, Sox scriveva (p. 138):
«Wölfli decided to halve each of his samples. This was in case he needed to do further testing. He said the condition he gave for being involved in the first place was having enough sample material with which to work. If anyrthing went wrong - as it had in the inter-lab comparison of 1982 - Wölfli wanted another try. He was also worried about the results with the linen tablecloth of his wife's mother. It was 50 years old, but carbon dating said it was 350 years old. There might have been a problem created by detergents which have been used on the cloth.»
Si tratta quindi di un aneddoto di seconda mano di cui non conosciamo le circostanze. Per quale motivo Wölfli aveva fatto il test su una tovaglia di cui conosceva che era moderna? Forse per mettere alla prova il funzionamento della macchina durante le prime fasi dall'entrata in funzione? Allora non erano state prese precauzioni per la pulizia del campione? Fu rifatta la prova sulla stessa tovaglia dopo avere applicato qualche procedimento per eliminare il supposto detergente? Non sappiamo niente. Comunque, per lo meno, sappiamo che Wölfli stava in guardia per non ripetere l'errore.
Il testo di Sox fa riferimento anche all'incidente occorso quando il laboratorio di Zurigo partecipò al confronto che diversi laboratori, proprio in vista della loro candidatura a datare la Sindone, avevano effettuato pochi anni prima. Era il 1983 (non 1982). Infatti per un tessuto egizio Zurigo aveva fornito una data di circa mille anni più giovane rispetto agli altri laboratori che partecipavano al confronto. Si era trattato di un errore durante la fase di pretrattamento del campione, che non era stata effettuata a Zurigo ma in un altro laboratorio svizzero. A quell'epoca il laboratorio di Zurigo aveva appena iniziato l'attività e non era ancora attrezzato per il pretrattamento. Poi la misurazione fu ripetuta con un altro campione dello stesso tessuto e questa volta il risultato fu concorde.
Le pitture rupestri di Pietermaritzburg
Anche questa è una notizia che è circolata sui siti dei creazionisti, a partire da un trafiletto del 1991 su un giornale locale di Oxford. In effetti nel 1991 il laboratorio di Oxford pubblicò il risultato di una datazione sul pigmento di una pittura proveniente da Pietermaritzburg nello stato sudafricano del Natal (Archaeometry, 33(2), 279-296). Il campione fu datato a circa 1200 anni fa.
Tosatti tralascia di fornire un dettaglio importante. Quei “dipinti” erano dipinti su pietra, ovvero pitture rupestri. Ciò è di regola specificato nei molti siti dove la notizia ha girato.
Il supporto di pietra non si può datare col radiocarbonio, a differenza dei supporti di legno o tela o pergamena degli usuali dipinti. Quindi occorre datare i pigmenti o materiali pittorici, ma allora i problemi diventano molto difficili. Naturalmente non si poteva pensare di datare i pigmenti di una pittura rupestre prima del metodo AMS perché le quantità disponibili sono molto piccole. Dopo l'introduzione del metodo AMS, sono stati fatti studi e tentativi per datare le pitture rupestri, che rivestono un grande interesse per gli archeologi della preistoria. Ma le difficoltà sono in genere molto serie. Infatti i pigmenti o altri materiali usati per le pitture possono contenere, mescolati in varie misure a seconda dei casi, sia carbonio organico proveniente da vegetali sia carbonio non organico. Inoltre il pigmento prelevato potrebbe contenere carbonati provenienti dalla stessa pietra. Solo con metodi ingegnosi e innovativi, cercando di isolare particolari componenti dai pigmenti, si è riusciti a fare progressi nella datazione delle pitture rupestri. Comunque il problema deve essere affrontato da chi effettua i prelievi, non dal laboratorio del radiocarbonio che si limita a misurare l'isotopo 14 nel campione che gli viene fornito.
Ma nel nostro caso il problema era un altro. Quella pittura datata a Oxford era moderna ed era stata eseguita pochi anni prima con pigmenti commerciali sintetici che contenevano anche carbonio di provenienza fossile, quindi con un impoverimento nel C14 e un apparente invecchiamento della data.
Secondo le versioni della vicenda, non sempre coincidenti, che si trovano in rete, era successo che una insegnante di disegno di Pietermaritzburg aveva eseguito, o fatto eseguire ai suoi allievi, alcuni dipinti su pietra nello stile di certe antiche pitture rupestri che si trovano nella regione. La donna aveva messo le pietre nel suo giardino. Poi qualcuno aveva rubato una pietra (o più di una) che in seguito era stata ritrovata in un campo. Fu avvisato il direttore del locale museo il quale, sperando forse di avere trovato un esemplare autentico, spedì a Oxford un campione di pigmento per la datazione. Infine la stessa artista che aveva eseguito i dipinti venne a conoscenza del caso e riconobbe la sua opera.
Il laboratorio di Oxford non ha colpe e l'interpretazione del risultato toccava al museo sudafricano.