La truffa dei pollini. Il dossier completo
di Gaetano Ciccone (22 giugno 2011)
[Avvertenza. I riferimenti bibliografici sono indicati nel testo tra parentesi quadre in forma abbreviata. Le note bibliografiche complete sono riportate in ordine alfabetico dopo il Cap.26 e prima della Appendice. Le traduzioni dei brani citati in lingua straniera sono riportate tra parentesi tonde e sono tutti responsabilità dell’Autore, ove non diversamente indicato.]
Sommario
1.La prova principe dell’autenticità della Sindone
2.Le scoperte di Frei
3.Si possono identificare i granuli di polline a livello di specie?
4.La modalità di identificazione dei pollini
5.Possono esistere pollini di 2000 anni sulla Sindone?
6.L’equivoco dello spettro pollinico
7.I pollini sindonici possono provenire da inquinamento?
8.False analogie tra pollini sindonici e pollini fossili di 2000 anni fa
9.L’arrivo di Frei nel mondo della Sindone e il prelievo del 1973
10.Il clamoroso annuncio del 1976
11.I viaggi di Frei e il documentario “The silent witness”
a.Formazione del trio Rolfe – Wilson – Frei
b.Il viaggio di ricognizione e di studio
c.La relazione di Frei per Rolfe
d.Il viaggio per registrare il documentario
e.Conclusione
12.Il convegno del 1978, il trionfo di Frei e i nuovi prelievi
13.La presentazione scritta dei risultati nel 1979 e nel 1983
a.La presentazione scritta dei risultati nel 1979
b.La presentazione scritta dei risultati nel 1983
14.Altri articoli di Frei
15.La morte di Frei e il destino dei suoi materiali e appunti
16.Provenienza delle foto al SEM
a.Le prove dell’imbroglio
b.Wilson, l’ultimo difensore di Frei
17.Sconfessione dei risultati di Frei
18.Il caso del polline americano
19.I mancati risultati dei prelievi di altri ricercatori
20.Le ricerche di Gerard Lucotte
21.Il caso dei pollini sul Santo Sudario di Oviedo
22.Conclusione di superficialità e scorrettezza nei lavori di Frei
23.Da dove provengono i pollini sindonici?
24.Quanti sono i pollini sui nastri di Frei?
25.Sospetta concentrazione di pollini nel tratto iniziale dei nastri di Frei
26. È compatibile un’accusa di superficialità e scorrettezza con la grande fama di Frei?
Bibliografia
Appendice 1. Elenco dei pollini sindonici di Frei
01. La prova principe dell’autenticità della Sindone
Nel corso del 2010 il direttore della rivista MicroMega mi ha chiesto di preparare un articolo relativo a un aspetto degli studi sindonici, che da tempo Gian Marco Rinaldi e io stavamo portando avanti: l’affaire dei pollini “ritrovati” sulla Sindone di Torino, che erano stati considerati la prova principe dell’autenticità di quel telo. Purtroppo, dato il contesto, l’articolo non avrebbe dovuto superare le 20.000 battute. Con piacere ho acconsentito alla richiesta, mentre Gian Marco si dedicava ad altro, e con enorme fatica ho sfrondato dal testo per MicroMega quasi tutto il materiale raccolto, limitandomi a enunciare alcuni punti principali della mia analisi, sufficienti comunque per evidenziare la prova certa dell’incompetenza e della scorrettezza del grande criminologo, palinologo e sindonista Max Frei [Ciccone 2010].
Ora i responsabili del sito http://sindone.weebly.com mi chiedono di pubblicare tutti i dati e le prove che Gian Marco Rinaldi e io andiamo raccogliendo da anni, sull’argomento ‘pollini sindonici’. Nuovamente accetto con piacere, riordinando e presentando qui il materiale da tempo in nostro possesso. Nessuno si meravigli se mi dilungo tanto su un argomento al quale i testi di sindonologia dedicano poche righe o poche pagine. Infatti è compito facile e sbrigativo presentare una ‘prova scientifica’ senza soffermarsi sulle tecniche usate e gli esperimenti condotti, dando per scontate tante affermazioni che scontate non sono per niente.
Per chi si è schierato nel campo della razionalità è necessario sostenere con dati e prove le proprie affermazioni; in particolare negare la validità di una ‘prova’ addotta dai Sindonisti non è affatto facile e sbrigativo: non è consentito l’accesso alla Sindone e a quanto da essa è stato ricavato, occorre documentarsi su tutto, analizzare tutti i dati esistenti e ricostruire un quadro alternativo credibile. Per un oppositore dell’autenticità della Sindone di Torino sarebbe impossibile presentare un libro del tipo ‘Cento prove contro la Sindone’, dato che ognuna di queste richiederebbe di per sé una lunga disamina. Risulta infatti necessario approfondire e dilungarsi su ognuna delle ‘cento prove’.
Inoltre a che serve dimostrare falsa una ‘prova’? Da quando sono cominciati gli studi ‘scientifici’ sulla Sindone di Torino nel 1902 [Vignon], le cento prove, dimostrate false, sono state più volte abbandonate nel dimenticatoio e sostituite con nuove. È stato detto che l’immagine sindonica è un negativo, che è stata prodotta dai raggi X, da vapori di urea e così via fino a una delle ultime prove abbandonate: la mancanza dei pollici nella raffigurazione delle mani avrebbe attestato che il chiodo della crocifissione era stato inserito nel polso, nello spazio di Destot [Ciccone 2009]. Era tutto falso, ma ciononostante per i Sindonisti la Sindone rimane autentica.
Secondo me la dimostrazione della falsità di una delle ‘cento prove’ serve ugualmente. Non tanto per convertire i Sindonisti; infatti la fede, anche la fede in un lenzuolo, difficilmente è scalfibile con la razionalità. Serve piuttosto a rinforzare lo spirito critico di chi ha già, nel suo animo, una scintilla dello scetticismo che è alla base della scienza moderna, quella da Galileo in poi.
Delle prove che ultimamente vengono portate a sostegno dell’autenticità, un posto preminente spetta allo studio dei pollini sindonici, che ormai da 35 anni viene accettato e riproposto in quasi tutti i trattati sulla Sindone. I pollini non sono mai stati definiti la prova principe dell’autenticità della Sindone, ma di fatto per molti hanno rivestito questo ruolo.
Così si esprime in proposito Baima Bollone nel 1990:
«Il leggendario percorso della Sindone da Gerusalemme a Edessa, poi a Costantinopoli e infine in
Europa trova un formidabile supporto scientifico in una particolarissima indagine botanica basata
sulla identificazione dei pollini estratti dalle maglie del lenzuolo» [Baima Bollone, p.211].
Pertanto qui di seguito verrà fatta una disamina su quanto è stato scritto e pubblicato sull’argomento ‘pollini sindonici’, tenendo conto sempre che agli oppositori dell’autenticità è precluso l’accesso alla fonte della documentazione: la Sindone di Torino stessa e il materiale da essa derivato. Quindi qui non ci si propone affatto di studiare i pollini sindonici, ma di studiare ‘lo studio dei pollini sindonici’. È, in sostanza, un lavoro di ‘storia della scienza’ o, come sarebbe preferibile esprimersi, ‘storia della pseudoscienza’. In ultima analisi, si tratta di una ricerca storica.
Sono stati quattro gli studiosi che hanno effettuato prelievi di polvere con pollini dalla Sindone di Torino: Max Frei nel 1973 e nel 1978, Giovanni Riggi nel 1978 e nel 1988, Raymond Rogers nel 1978 e infine Pier Luigi Baima Bollone nel 1978 e nel 2002. Di questi ricercatori, soltanto il primo ha annunciato risultati clamorosi e risolutivi. Gli altri non hanno riferito nulla sui loro studi, a parte pochi cenni deludenti.
Nella considerazione dei Sindonisti, Frei è di gran lunga il più importante degli studiosi di palinologia sindonica. Giovanni Riggi nel 1982 lo definisce: «il grande Frei» [Riggi 1982, p.105], «l’illustre uomo» [Riggi 1982, p.119], precisando che «fui molto onorato di conoscere questo piccolo grande uomo» [Riggi 1982, p.140].
Ancora oggi la figura di Frei è osannata e il suo lavoro accettato acriticamente da alcuni Sindonisti, quali Emanuela Marinelli, Marco Tosatti, Barbara Frale, Bruno Barberis:
«Il prezioso lavoro di questo pioniere segna comunque una pietra miliare nel cammino dell’indagine
scientifica sulla reliquia» [Marinelli, p.65].
«Dobbiamo parlare di una persona fuori dall’ordinario, scomparsa anni fa, ma che ha dato un
contributo eccezionale per leggere la storia del telo» [Tosatti, p.126].
«Nel 1973 uno studio condotto dal criminologo Max Frei con le tecniche in uso presso la squadra
scientifica della Polizia svizzera identificò tracce di pollini appartenuti a 58 specie vegetali diverse
originarie del Medio Oriente, di cui alcune diffuse nei dintorni del Mar Morto e a Gerusalemme»
[Frale 2009, p.132].
«Nel 1973 e nel 1978 sono stati effettuati sulla Sindone, mediante l’applicazione di nastri adesivi,
alcuni prelievi di microtracce, rinvenendo granuli di polline provenienti da 58 piante fiorifere. Poiché
alcuni di essi provengono da piante che crescono solo in Palestina e in Anatolia, si può concludere
che è altamente probabile la permanenza prolungata della Sindone, oltre che in Europa, anche in
tali regioni» [Barberis 2009, pp.20-21]
«Gli scienziati hanno stabilito con certezza che … i pollini ritrovati sulla Sindone consentono di
ritenere molto probabile un suo soggiorno in Palestina e in Anatolia prima del XIV secolo»
[Barberis 2010, p.92].
Perciò è con il lavoro di Frei che inizia il nostro esame e su di esso si focalizza.
02. Le scoperte di Frei
Rimandiamo ai successivi capitoli i particolari su come Frei entrò nel mondo della Sindone di Torino, su come presentò nel tempo i risultati delle sue ricerche e sulle valutazioni di questi risultati. Qui entriamo subito nel vivo del problema, presentando il succo delle ricerche di Frei.
Frei eseguì prelievi di materiale aderente alla superficie della Sindone di Torino, utilizzando dei pezzi di nastro adesivo, una prima volta la notte tra il 23 e 24 novembre 1973 e una seconda volta la notte tra l’8 e il 9 settembre 1978. Rese pubblici i risultati dei suoi studi su tali reperti con comunicati stampa, relazioni private, esposizioni a convegni, articoli su riviste e raccolte di atti, interviste radio e anche un documentario televisivo. Vedremo in seguito alcuni particolari aspetti delle sue affermazioni. Qui ci limitiamo a riportare il succo essenziale dei suoi studi, così come è stato pubblicato postumo nel suo ultimo articolo apparso nel 1983.
Fra tutto il materiale sindonico che Frei trovò inserito nei suoi nastri, egli dedicò le sue ricerche solo allo studio dei pollini. Non disse mai quanti ne trovò; si è invece limitato a elencarne 60 diversi tipi, cioè appartenenti a 60 diverse specie vegetali, fra cui due identificati solo a livello di genere e un altro “molto bello” non identificato affatto. Si fornisce in Appendice 1 l’elenco di queste specie, perché sui numeri delle specie vegetali interessate ci sono dati diversi forniti dallo stesso Frei e da altri che hanno ripreso i risultati di Frei.
In conclusione Frei dichiara di aver trovato pollini di specie vegetali che divide nelle seguenti categorie, a seconda della loro area di distribuzione geografica:
21 specie tipiche della Palestina;
15 specie mediterranee;
6 specie tipiche dell’Anatolia;
9 specie diffuse sia nella Palestina sia nell’Anatolia;
1 specie tipica di Costantinopoli;
10 specie tipiche di Italia e Francia;
1 specie dell’Africa settentrionale;
1 specie americana;
1 specie sconosciuta.
Non ci preoccupiamo del fatto che la somma di tali numeri dia come risultato 65, perché diamo per scontato che alcune di esse sono state contate in più gruppi. Non ci metteremo qui ad analizzare se le distribuzioni assegnate da Frei a ogni specie fossero esatte o meno. Sicuramente sono discutibili, ma non abbiamo la competenza per farlo. Ci occuperemo qui esclusivamente di alcuni punti basilari nella metodica e nel ragionamento, che a nostro avviso sono errati.
Come conclusione del suo lavoro, Frei ha affermato che la presenza di pollini tipici di una determinata area geografica, dimostra che il telo è stato esposto all’aria in quella zona in qualche momento della sua storia. Non è possibile, egli dice, che i pollini siano stati trasportati dai venti dalla Palestina e dalla Turchia in Italia o Francia, perché nella stragrande maggioranza dei casi i pollini si depositano entro un raggio di 100 metri dal punto di produzione e in più i venti nel Mediterraneo non hanno un andamento tale da poter giustificare un simile viaggio dei pollini. Forse ignora o comunque non rileva il fatto che la maggior parte dei pollini da lui elencati (32 su 57) siano entomofili, cioè trasportati da insetti e non dal vento [A. Orville Dahl in Maloney 1990, p.5]. Pertanto egli conclude che la Sindone di Torino è stata esposta all’aria in Palestina, nella Turchia centrale e a Costantinopoli. Dato che la storia della Sindone di Torino è sufficientemente nota dal 1355 in poi da poter escludere che tali esposizioni siano avvenute dopo quella data, ne deduce che la Sindone è stata in Palestina e Turchia prima del 1355. Questa è, secondo lui, una prova inoppugnabile che la Sindone non può essere un falso eseguito in Francia attorno al 1355 e un forte indizio della veridicità dei viaggi a essa attribuiti: in ultima analisi lo studio dei pollini fornisce secondo Frei un buon indizio che la Sindone di Torino sia quella autentica di Gesù [Frei 1983].
Le affermazioni e le conclusioni di Frei sono insostenibili da diversi punti di vista. Le osservazioni principali sono le seguenti:
- impossibilità teorica di risalire dall’esame di un granulo di polline alla specie vegetale che l’ha prodotto;
- metodica carente di Frei per classificare i singoli granuli di polline;
- falsità dell’affermazione di Frei di essere arrivato al riconoscimento delle specie dei vari granuli tramite la microscopia elettronica;
- incertezza sulla possibilità che i granuli pollinici si conservino per millenni in ambiente con ossigeno;
- esistenza di spiegazioni alternative, non accettate da Frei, che potrebbero giustificare la presenza dei pollini.
- falsità nel confronto tra pollini sindonici e pollini fossili di 2000 anni fa.
03. Si possono identificare i granuli di polline a livello di specie?
Secondo l’opinione di Frei, espressa nel 1978, la risposta è assolutamente affermativa:
«Ogni specie di piante produce un polline singolare che si può distinguere dal polline di tutte le altre
varietà, sia sotto il microscopio ottico, sia sotto il microscopio elettronico a scansione» [Frei 1979, p.192].
Anche nel 1981, Frei esprime la stessa opinione, ma ha cambiato radicalmente idea sulle modalità per arrivare al riconoscimento di specie:
«Per riconoscere la struttura completa non basta il microscopio normale ottico, ma bisogna ricorrere
all’aiuto del microscopio elettronico a scansione … Unicamente il microscopio a scansione
permette di distinguere, con assoluta sicurezza, due specie dello stesso genere, anche se la parentela
è molto stretta» [Frei 1983, p.277].
Per tutti gli altri studiosi, invece, la situazione è ben diversa e fino a oggi non ci sarebbe possibilità di risalire dai pollini a una determinata specie, almeno per la grande maggioranza delle specie vegetali. Solo per alcune specie questo è possibile; per le altre la determinazione di appartenenza si deve fermare a livello di gruppi di specie o al genere e in qualche caso addirittura nella classificazione non si può scendere sotto il livello di famiglia.
Fin dai tempi degli studi effettuati da Frei, questa nozione era comunemente accettata dai palinologi, come vediamo nel manuale di palinologia del 1969 citato da Frei stesso:
«The outer layer of the spore wall or sporoderm is called the exine. It is often ornamented with
processes, reticulately branched and anastomosing ridges, etc., by which it can be possible to identify
the family or genus of the spore, sometimes even the species or smaller taxonomic unit» [Erdtmann, p.21].
(Lo strato esterno della parete della spora o sporoderma è chiamato exina. Esso spesso
presenta ornamentazioni, come prolungamenti, creste che si suddividono o si anastomizzano etc.,
per mezzo dei quali può essere identificata la famiglia o il genere della spora, talvolta perfino la
specie o unità tassonomiche inferiori).
Vediamo quali sono, secondo Silvano Scannerini, uno specialista palinologo molto apprezzato dai Sindonisti, le procedure e gli accorgimenti per risalire da un polline ignoto al nome della specie che lo ha prodotto:
«Per compilare una scheda pollinica che consenta di attribuire con rigore scientifico un polline a una
ben precisa specie sono necessarie misurazioni su molti granuli (anche 100 e a volte di più) con
valutazioni di parametri diversi a seconda del tipo pollinico e certamente comprendenti i valori dei
diametri polari ed equatoriali, il numero, la posizione e le caratteristiche dei pori e/o dei colpi,
lo spessore dell’esina e le caratteristiche delle sue ornamentazioni, che talvolta appaiono molto diverse,
anche nello stesso polline, a seconda che sia stato o no sottoposto all’acetolisi» [Scannerini 1989, pp.108-109].
In un testo dello stesso Autore di qualche anno successivo, i criteri richiesti per l’identificazione a livello di specie di un tipo di polline risultano ancora più complicati, esigendo lo studio di un numero minimo di almeno 200 granuli per ogni tipo di polline e inoltre diverse complicate procedure:
«1) il trattamento di acetolisi per la ripulitura da microdetriti e l’allontanamento di prodotti diversi
dalle sporopollenine adesi sulla superficie;
2) la metallizzazione sotto vuoto con oro del campione da esaminare;
3) la ricostruzione tridimensionale precisa del granulo osservandolo e documentandolo sotto diversi
angoli di osservazione. Questa tecnica di fotografia sotto diversi angoli in tutti e tre gli assi lungo cui può
essere spostato il preparato è fondamentale specie in microscopia a scansione dato che con questa
tecnica le deformazioni per “proiezione” della forma possono essere tali da rendere irriconoscibile il
campione;
4) la rilevazione delle particolarità morfologiche sia al microscopio ottico sia al microscopio elettronico
a scansione;
5) la preparazione di schede separate per microscopia ottica e microscopia elettronica a scansione, in
modo da ricostruire le strutture ai diversi ordini di grandezza quindi con diversa risolvenza» [Scannerini
1996, pp.80-81].
Nonostante questo dettagliato lavoro preliminare, spesso non si arriva a poter riconoscere la specie vegetale precisa che ha prodotto un tipo di polline:
«Purtroppo il livello tassonomico discriminato dalle schede polliniche varia in funzione dei raggrupamenti
di piante considerati (in termini tecnici in funzione dei taxa cui ci si riferisce). In qualche caso si
distinguono agevolmente specie da specie, in molti casi si distinguono tra loro solo generi diversi
(ossia raggruppamenti di specie simili tra loro) non raramente si arriva a discriminare solo famiglie
(ossia insiemi di generi somigliantisi)» [Scannerini 1996, p.82].
In questo senso una revisione completa delle determinazioni stabilite da Frei è stata effettuata nel 1998 da Uri Baruch e poi pubblicata nel 1999. Avinoam Danin, docente di Botanica all’Università di Gerusalemme, aveva concordato di effettuare una valutazione botanica dei pollini di Frei e delle immagini di piante, riconosciute sulla Sindone dallo psichiatra americano Alan Whanger e da sua moglie Mary, allora detentori del materiale di Frei per conto della associazione di sindonologi ASSIST. Il Prof. Danin incaricò del lavoro sui pollini il dottor Uri Baruch, palinologo presso la Israel Antiquity Authority. Dei 47 vetrini (con un solo granulo per vetrino) allestiti da Frei a partire dal materiale prelevato nel 1973, Baruch ne riesaminò 31 e fra questi confermò soltanto quattro delle determinazioni fatte da Frei (Gundelia tournefortii, Prosopis farcta, Scabiosa prolifera e Ricinus communis) [Danin 1999, p.12]. Invece in 26 dei nastri, rimasti intatti, del prelievo del 1978, riconobbe e confermò una sola specie di granuli (Gundelia tournefortii), della quale contò fra tutti i nastri studiati, un totale di 90 granuli [Danin 1999, p.14]. Tutti gli altri granuli pollinici trovati da Baruch sui 26 nastri di Frei furono identificati soltanto a livello di raggruppamenti di specie, di genere o di famiglia.
Con questa revisione Baruch ha dimostrato che il lavoro di Frei era stato assolutamente inattendibile per la stragrande maggioranza delle specie, i cui pollini Frei dichiarava di aver identificato [Danin 1999, pp.12,14].
La revisione operata da Baruch è apparsa, agli occhi di altri palinologi, ancora eccessivamente ottimistica. Vaughn M. Bryant, nel 2000, pubblicò un articolo in cui dichiarava inaccettabili anche le poche identificazioni a livello di specie confermate da Baruch nel 1998 per tre motivi:
1. Baruch aveva operato solo con l’ausilio del microscopio ottico senza usare il microscopio elettronico (non poteva dato che non era autorizzato a manomettere i preparati di Frei);
2. i pollini immersi nella colla del nastro adesivo non sono adeguatamente osservabili e molti di essi, non essendo preparati, presentano detriti e sostanze all’intorno, che rendono difficile o impossibile a riconoscere le strutture dell’esina;
3. l’identificazione dei granuli di Gundelia tournefortii, l’unico elemento di rilievo per collocare l’oggetto in ambiente mediorientale, era inaccettabile [Bryant].
Un ultimo esame dei vetrini di Frei fu affrontato nel giugno 2001 dal palinologo Thomas Litt, nel suo laboratorio presso l’Istituto di Paleontologia dell’Università di Bonn. Il professor Litt acconsentì, per intercessione del Prof. Danin, a esaminare i preparati di Frei, che gli furono momentaneamente consegnati dai coniugi Whanger, e poi inviò il suo rapporto scritto sia a Danin sia ai Whanger. L’esito di tale esame non fu mai reso pubblico, lasciando allignare il sospetto che fosse particolarmente negativo per i Sindonisti. Però Danin ne ha pubblicato un brevissimo stralcio. L’esame di Litt era concentrato soprattutto sulla supposta identificazione del polline di Gundelia tournefortii, in merito alla quale Litt espresse la seguente conclusione:
«Con alta probabilità posso comunque escludere che il polline che ho visto sui nastri adesivi appartenga
alla Gundelia …» [Danin 2008, p.52].
Secondo il professor Litt i granuli classificati prima da Baruch come Gundelia tournefortii potevano essere assegnati a una pianta di un genere simile a Carduus [Danin 2008, p.46].
A conclusione di questa esposizione si può affermare che è assolutamente impossibile determinare la specie di appartenenza di un granulo pollinico incluso in un nastro adesivo, come avrebbe fatto Frei per i tipi di polline presente nei campioni del 1978. Anche per i granuli liberi e puliti, senza arrivare a dover studiare 200 granuli omogenei come richiesto da Scannerini, si perviene a una identificazione solo dopo accurate analisi e il livello di determinazione che si riesce a raggiungere solo in qualche caso ci consente di precisare la specie di appartenenza dei granuli; molto spesso è determinabile soltanto il genere della pianta e non raramente è precisabile solo la famiglia cui il dato tipo di polline appartiene.
Appare quindi assolutamente irrealistica l’affermazione di Frei del 1979:
«È quindi possibile determinare in base ad un singolo grano di polline da che pianta proviene» [Frei
1979, p.192].
Pure tale affermazione viene ripetuta tale e quale ancora oggi da parte dei Sindonisti:
«Analizzando un solo granello è quindi possibile stabilire da che specie di pianta proviene»
[Marinelli, p.64].
04. La modalità di identificazione dei pollini
Come abbiamo detto nel precedente capitolo, ma qui vale la pena di ripetere, secondo le stessse parole di Frei nella sua relazione a un convegno del 1981 (stampata nel 1983), l’appartenenza di un granulo di polline a una data specie si può stabilire con sicurezza soltanto tramite un accurato studio al microscopio elettronico a scansione (SEM):
«Unicamente il microscopio a scansione permette di distinguere, con assoluta certezza, due specie
dello stesso genere, anche se la parentela è molto stretta» [Frei 1983, p.277].
Con questa premessa, ci immagineremmo che Frei, partendo dal materiale prelevato sulla Sindone di Torino nel 1978, abbia messo a punto una serie di preparati, che poi ha studiato con il SEM. Niente affatto. Il materiale prelevato da Frei nel 1978 consisteva in 27 pezzi di nastro adesivo, sempre conservati applicati ai vetrini da laboratorio e mai aperti per accedere al materiale in essi contenuto.
Frei, riferendo i risultati del suo prelievo del 1978, non dice una parola su come i reperti siano stati conservati, ma altre fonti ci fanno sapere che i suoi nastri, ancora nel 1999, erano conservati così come approntati al momento del prelievo. Probabilmente ancora oggi questi nastri sono intatti. Danin e collaboratori infatti precisano più volte, nel corso del lavoro pubblicato nel 1999, che i campioni di Frei risalenti al 1978, da loro esaminati nel 1998, erano ancora ricoperti dal nastro adesivo, il che rendeva difficoltoso il riconoscimento dei granuli:
«It should be noted that poor optical quality of most samples (caused by covering sticky tapes) and pollen
grain deterioration prevented in many cases positive identification of the grains» [Danin 1999, p.10].
(Occorre precisare che la bassa qualità ottica della maggior parte dei campioni (causata dal nastro adesivo che li ricopre) e il deterioramento dei granuli di polline hanno impedito in molti casi una identificazione sicura dei granuli).
L’anno successivo Avinoam Danin ci ha fornito qualche particolare in più sulle modalità di prelievo e di conservazione dei reperti:
«The 12 microscope slides prepared by Frei in 1973 and the 27 of 1978 were obtained by pressing
and massaging transparent sticky tape onto material surfaces to sample pollen grains and other debris
for microscopic examination. He then attached the tape to microscope glass and sealed in in-situ. All the
slides remained sealed since then. Of his 1973 slides Frei removed individual pollen grains by
microdissection, remounting them and dissolving the remainders of the primary sticky tapes. This
complicated procedure was done for examination of the pollen by light and SEM microscopy» [
Danin 2000, p.496].
(I 12 vetrini da microscopio preparati da Frei nel 1973 e i 27 del 1978 furono ottenuti premendo e strofinando dei nastri adesivi trasparenti sulla superficie dell’oggetto per campionare i granuli di polline e altri detriti per l’esame al microscopio. Poi egli applicò i nastri su vetrini da microscopio e li sigillò sul posto. Tutti i vetrini da allora rimasero sigillati. Dai vetrini del 1973 Frei rimosse singoli granuli pollinici usando la microdissezione, ottenendo dei preparati e buttando via il rimanente dei primitivi nastri. Questa procedura complicata fu eseguita per l’esame del polline al microscopio ottico e al SEM).
Gli autori citati, che descrivono i nastri del 1978 come ancora integri e non manipolati da Frei, hanno in realtà uno scopo preciso: sottolineare che i reperti di Frei 1978 sono stati conservati così come egli li aveva prelevati e quindi non sono pensabili manipolazioni successive dei reperti. Vediamo la frase che in proposito ci ha lasciato Ian Wilson in un suo volume dell’anno 2000:
«At the original sampling each tape had been carefully folded back on itself to hermetically seal in its
contents, and it was quite obvious which section Frei had handled as ‘lead’ tape and which he had
pressed directly against the Shroud, thus confounding claims that the pollen was just modern
contamination» [Wilson 2000, pp.87-88].
(Al momento della campionatura originale ogni nastro era stato accuratamente ripiegato su se stesso per sigillare ermeticamente al suo interno il contenuto, e risultava evidente quale settore Frei aveva maneggiato come ‘guida’ del nastro e quale aveva premuto direttamente sulla Sindone, contraddicendo così tutte le affermazioni che il polline fosse solo contaminazione moderna).
di Gaetano Ciccone (22 giugno 2011)
[Avvertenza. I riferimenti bibliografici sono indicati nel testo tra parentesi quadre in forma abbreviata. Le note bibliografiche complete sono riportate in ordine alfabetico dopo il Cap.26 e prima della Appendice. Le traduzioni dei brani citati in lingua straniera sono riportate tra parentesi tonde e sono tutti responsabilità dell’Autore, ove non diversamente indicato.]
Sommario
1.La prova principe dell’autenticità della Sindone
2.Le scoperte di Frei
3.Si possono identificare i granuli di polline a livello di specie?
4.La modalità di identificazione dei pollini
5.Possono esistere pollini di 2000 anni sulla Sindone?
6.L’equivoco dello spettro pollinico
7.I pollini sindonici possono provenire da inquinamento?
8.False analogie tra pollini sindonici e pollini fossili di 2000 anni fa
9.L’arrivo di Frei nel mondo della Sindone e il prelievo del 1973
10.Il clamoroso annuncio del 1976
11.I viaggi di Frei e il documentario “The silent witness”
a.Formazione del trio Rolfe – Wilson – Frei
b.Il viaggio di ricognizione e di studio
c.La relazione di Frei per Rolfe
d.Il viaggio per registrare il documentario
e.Conclusione
12.Il convegno del 1978, il trionfo di Frei e i nuovi prelievi
13.La presentazione scritta dei risultati nel 1979 e nel 1983
a.La presentazione scritta dei risultati nel 1979
b.La presentazione scritta dei risultati nel 1983
14.Altri articoli di Frei
15.La morte di Frei e il destino dei suoi materiali e appunti
16.Provenienza delle foto al SEM
a.Le prove dell’imbroglio
b.Wilson, l’ultimo difensore di Frei
17.Sconfessione dei risultati di Frei
18.Il caso del polline americano
19.I mancati risultati dei prelievi di altri ricercatori
20.Le ricerche di Gerard Lucotte
21.Il caso dei pollini sul Santo Sudario di Oviedo
22.Conclusione di superficialità e scorrettezza nei lavori di Frei
23.Da dove provengono i pollini sindonici?
24.Quanti sono i pollini sui nastri di Frei?
25.Sospetta concentrazione di pollini nel tratto iniziale dei nastri di Frei
26. È compatibile un’accusa di superficialità e scorrettezza con la grande fama di Frei?
Bibliografia
Appendice 1. Elenco dei pollini sindonici di Frei
01. La prova principe dell’autenticità della Sindone
Nel corso del 2010 il direttore della rivista MicroMega mi ha chiesto di preparare un articolo relativo a un aspetto degli studi sindonici, che da tempo Gian Marco Rinaldi e io stavamo portando avanti: l’affaire dei pollini “ritrovati” sulla Sindone di Torino, che erano stati considerati la prova principe dell’autenticità di quel telo. Purtroppo, dato il contesto, l’articolo non avrebbe dovuto superare le 20.000 battute. Con piacere ho acconsentito alla richiesta, mentre Gian Marco si dedicava ad altro, e con enorme fatica ho sfrondato dal testo per MicroMega quasi tutto il materiale raccolto, limitandomi a enunciare alcuni punti principali della mia analisi, sufficienti comunque per evidenziare la prova certa dell’incompetenza e della scorrettezza del grande criminologo, palinologo e sindonista Max Frei [Ciccone 2010].
Ora i responsabili del sito http://sindone.weebly.com mi chiedono di pubblicare tutti i dati e le prove che Gian Marco Rinaldi e io andiamo raccogliendo da anni, sull’argomento ‘pollini sindonici’. Nuovamente accetto con piacere, riordinando e presentando qui il materiale da tempo in nostro possesso. Nessuno si meravigli se mi dilungo tanto su un argomento al quale i testi di sindonologia dedicano poche righe o poche pagine. Infatti è compito facile e sbrigativo presentare una ‘prova scientifica’ senza soffermarsi sulle tecniche usate e gli esperimenti condotti, dando per scontate tante affermazioni che scontate non sono per niente.
Per chi si è schierato nel campo della razionalità è necessario sostenere con dati e prove le proprie affermazioni; in particolare negare la validità di una ‘prova’ addotta dai Sindonisti non è affatto facile e sbrigativo: non è consentito l’accesso alla Sindone e a quanto da essa è stato ricavato, occorre documentarsi su tutto, analizzare tutti i dati esistenti e ricostruire un quadro alternativo credibile. Per un oppositore dell’autenticità della Sindone di Torino sarebbe impossibile presentare un libro del tipo ‘Cento prove contro la Sindone’, dato che ognuna di queste richiederebbe di per sé una lunga disamina. Risulta infatti necessario approfondire e dilungarsi su ognuna delle ‘cento prove’.
Inoltre a che serve dimostrare falsa una ‘prova’? Da quando sono cominciati gli studi ‘scientifici’ sulla Sindone di Torino nel 1902 [Vignon], le cento prove, dimostrate false, sono state più volte abbandonate nel dimenticatoio e sostituite con nuove. È stato detto che l’immagine sindonica è un negativo, che è stata prodotta dai raggi X, da vapori di urea e così via fino a una delle ultime prove abbandonate: la mancanza dei pollici nella raffigurazione delle mani avrebbe attestato che il chiodo della crocifissione era stato inserito nel polso, nello spazio di Destot [Ciccone 2009]. Era tutto falso, ma ciononostante per i Sindonisti la Sindone rimane autentica.
Secondo me la dimostrazione della falsità di una delle ‘cento prove’ serve ugualmente. Non tanto per convertire i Sindonisti; infatti la fede, anche la fede in un lenzuolo, difficilmente è scalfibile con la razionalità. Serve piuttosto a rinforzare lo spirito critico di chi ha già, nel suo animo, una scintilla dello scetticismo che è alla base della scienza moderna, quella da Galileo in poi.
Delle prove che ultimamente vengono portate a sostegno dell’autenticità, un posto preminente spetta allo studio dei pollini sindonici, che ormai da 35 anni viene accettato e riproposto in quasi tutti i trattati sulla Sindone. I pollini non sono mai stati definiti la prova principe dell’autenticità della Sindone, ma di fatto per molti hanno rivestito questo ruolo.
Così si esprime in proposito Baima Bollone nel 1990:
«Il leggendario percorso della Sindone da Gerusalemme a Edessa, poi a Costantinopoli e infine in
Europa trova un formidabile supporto scientifico in una particolarissima indagine botanica basata
sulla identificazione dei pollini estratti dalle maglie del lenzuolo» [Baima Bollone, p.211].
Pertanto qui di seguito verrà fatta una disamina su quanto è stato scritto e pubblicato sull’argomento ‘pollini sindonici’, tenendo conto sempre che agli oppositori dell’autenticità è precluso l’accesso alla fonte della documentazione: la Sindone di Torino stessa e il materiale da essa derivato. Quindi qui non ci si propone affatto di studiare i pollini sindonici, ma di studiare ‘lo studio dei pollini sindonici’. È, in sostanza, un lavoro di ‘storia della scienza’ o, come sarebbe preferibile esprimersi, ‘storia della pseudoscienza’. In ultima analisi, si tratta di una ricerca storica.
Sono stati quattro gli studiosi che hanno effettuato prelievi di polvere con pollini dalla Sindone di Torino: Max Frei nel 1973 e nel 1978, Giovanni Riggi nel 1978 e nel 1988, Raymond Rogers nel 1978 e infine Pier Luigi Baima Bollone nel 1978 e nel 2002. Di questi ricercatori, soltanto il primo ha annunciato risultati clamorosi e risolutivi. Gli altri non hanno riferito nulla sui loro studi, a parte pochi cenni deludenti.
Nella considerazione dei Sindonisti, Frei è di gran lunga il più importante degli studiosi di palinologia sindonica. Giovanni Riggi nel 1982 lo definisce: «il grande Frei» [Riggi 1982, p.105], «l’illustre uomo» [Riggi 1982, p.119], precisando che «fui molto onorato di conoscere questo piccolo grande uomo» [Riggi 1982, p.140].
Ancora oggi la figura di Frei è osannata e il suo lavoro accettato acriticamente da alcuni Sindonisti, quali Emanuela Marinelli, Marco Tosatti, Barbara Frale, Bruno Barberis:
«Il prezioso lavoro di questo pioniere segna comunque una pietra miliare nel cammino dell’indagine
scientifica sulla reliquia» [Marinelli, p.65].
«Dobbiamo parlare di una persona fuori dall’ordinario, scomparsa anni fa, ma che ha dato un
contributo eccezionale per leggere la storia del telo» [Tosatti, p.126].
«Nel 1973 uno studio condotto dal criminologo Max Frei con le tecniche in uso presso la squadra
scientifica della Polizia svizzera identificò tracce di pollini appartenuti a 58 specie vegetali diverse
originarie del Medio Oriente, di cui alcune diffuse nei dintorni del Mar Morto e a Gerusalemme»
[Frale 2009, p.132].
«Nel 1973 e nel 1978 sono stati effettuati sulla Sindone, mediante l’applicazione di nastri adesivi,
alcuni prelievi di microtracce, rinvenendo granuli di polline provenienti da 58 piante fiorifere. Poiché
alcuni di essi provengono da piante che crescono solo in Palestina e in Anatolia, si può concludere
che è altamente probabile la permanenza prolungata della Sindone, oltre che in Europa, anche in
tali regioni» [Barberis 2009, pp.20-21]
«Gli scienziati hanno stabilito con certezza che … i pollini ritrovati sulla Sindone consentono di
ritenere molto probabile un suo soggiorno in Palestina e in Anatolia prima del XIV secolo»
[Barberis 2010, p.92].
Perciò è con il lavoro di Frei che inizia il nostro esame e su di esso si focalizza.
02. Le scoperte di Frei
Rimandiamo ai successivi capitoli i particolari su come Frei entrò nel mondo della Sindone di Torino, su come presentò nel tempo i risultati delle sue ricerche e sulle valutazioni di questi risultati. Qui entriamo subito nel vivo del problema, presentando il succo delle ricerche di Frei.
Frei eseguì prelievi di materiale aderente alla superficie della Sindone di Torino, utilizzando dei pezzi di nastro adesivo, una prima volta la notte tra il 23 e 24 novembre 1973 e una seconda volta la notte tra l’8 e il 9 settembre 1978. Rese pubblici i risultati dei suoi studi su tali reperti con comunicati stampa, relazioni private, esposizioni a convegni, articoli su riviste e raccolte di atti, interviste radio e anche un documentario televisivo. Vedremo in seguito alcuni particolari aspetti delle sue affermazioni. Qui ci limitiamo a riportare il succo essenziale dei suoi studi, così come è stato pubblicato postumo nel suo ultimo articolo apparso nel 1983.
Fra tutto il materiale sindonico che Frei trovò inserito nei suoi nastri, egli dedicò le sue ricerche solo allo studio dei pollini. Non disse mai quanti ne trovò; si è invece limitato a elencarne 60 diversi tipi, cioè appartenenti a 60 diverse specie vegetali, fra cui due identificati solo a livello di genere e un altro “molto bello” non identificato affatto. Si fornisce in Appendice 1 l’elenco di queste specie, perché sui numeri delle specie vegetali interessate ci sono dati diversi forniti dallo stesso Frei e da altri che hanno ripreso i risultati di Frei.
In conclusione Frei dichiara di aver trovato pollini di specie vegetali che divide nelle seguenti categorie, a seconda della loro area di distribuzione geografica:
21 specie tipiche della Palestina;
15 specie mediterranee;
6 specie tipiche dell’Anatolia;
9 specie diffuse sia nella Palestina sia nell’Anatolia;
1 specie tipica di Costantinopoli;
10 specie tipiche di Italia e Francia;
1 specie dell’Africa settentrionale;
1 specie americana;
1 specie sconosciuta.
Non ci preoccupiamo del fatto che la somma di tali numeri dia come risultato 65, perché diamo per scontato che alcune di esse sono state contate in più gruppi. Non ci metteremo qui ad analizzare se le distribuzioni assegnate da Frei a ogni specie fossero esatte o meno. Sicuramente sono discutibili, ma non abbiamo la competenza per farlo. Ci occuperemo qui esclusivamente di alcuni punti basilari nella metodica e nel ragionamento, che a nostro avviso sono errati.
Come conclusione del suo lavoro, Frei ha affermato che la presenza di pollini tipici di una determinata area geografica, dimostra che il telo è stato esposto all’aria in quella zona in qualche momento della sua storia. Non è possibile, egli dice, che i pollini siano stati trasportati dai venti dalla Palestina e dalla Turchia in Italia o Francia, perché nella stragrande maggioranza dei casi i pollini si depositano entro un raggio di 100 metri dal punto di produzione e in più i venti nel Mediterraneo non hanno un andamento tale da poter giustificare un simile viaggio dei pollini. Forse ignora o comunque non rileva il fatto che la maggior parte dei pollini da lui elencati (32 su 57) siano entomofili, cioè trasportati da insetti e non dal vento [A. Orville Dahl in Maloney 1990, p.5]. Pertanto egli conclude che la Sindone di Torino è stata esposta all’aria in Palestina, nella Turchia centrale e a Costantinopoli. Dato che la storia della Sindone di Torino è sufficientemente nota dal 1355 in poi da poter escludere che tali esposizioni siano avvenute dopo quella data, ne deduce che la Sindone è stata in Palestina e Turchia prima del 1355. Questa è, secondo lui, una prova inoppugnabile che la Sindone non può essere un falso eseguito in Francia attorno al 1355 e un forte indizio della veridicità dei viaggi a essa attribuiti: in ultima analisi lo studio dei pollini fornisce secondo Frei un buon indizio che la Sindone di Torino sia quella autentica di Gesù [Frei 1983].
Le affermazioni e le conclusioni di Frei sono insostenibili da diversi punti di vista. Le osservazioni principali sono le seguenti:
- impossibilità teorica di risalire dall’esame di un granulo di polline alla specie vegetale che l’ha prodotto;
- metodica carente di Frei per classificare i singoli granuli di polline;
- falsità dell’affermazione di Frei di essere arrivato al riconoscimento delle specie dei vari granuli tramite la microscopia elettronica;
- incertezza sulla possibilità che i granuli pollinici si conservino per millenni in ambiente con ossigeno;
- esistenza di spiegazioni alternative, non accettate da Frei, che potrebbero giustificare la presenza dei pollini.
- falsità nel confronto tra pollini sindonici e pollini fossili di 2000 anni fa.
03. Si possono identificare i granuli di polline a livello di specie?
Secondo l’opinione di Frei, espressa nel 1978, la risposta è assolutamente affermativa:
«Ogni specie di piante produce un polline singolare che si può distinguere dal polline di tutte le altre
varietà, sia sotto il microscopio ottico, sia sotto il microscopio elettronico a scansione» [Frei 1979, p.192].
Anche nel 1981, Frei esprime la stessa opinione, ma ha cambiato radicalmente idea sulle modalità per arrivare al riconoscimento di specie:
«Per riconoscere la struttura completa non basta il microscopio normale ottico, ma bisogna ricorrere
all’aiuto del microscopio elettronico a scansione … Unicamente il microscopio a scansione
permette di distinguere, con assoluta sicurezza, due specie dello stesso genere, anche se la parentela
è molto stretta» [Frei 1983, p.277].
Per tutti gli altri studiosi, invece, la situazione è ben diversa e fino a oggi non ci sarebbe possibilità di risalire dai pollini a una determinata specie, almeno per la grande maggioranza delle specie vegetali. Solo per alcune specie questo è possibile; per le altre la determinazione di appartenenza si deve fermare a livello di gruppi di specie o al genere e in qualche caso addirittura nella classificazione non si può scendere sotto il livello di famiglia.
Fin dai tempi degli studi effettuati da Frei, questa nozione era comunemente accettata dai palinologi, come vediamo nel manuale di palinologia del 1969 citato da Frei stesso:
«The outer layer of the spore wall or sporoderm is called the exine. It is often ornamented with
processes, reticulately branched and anastomosing ridges, etc., by which it can be possible to identify
the family or genus of the spore, sometimes even the species or smaller taxonomic unit» [Erdtmann, p.21].
(Lo strato esterno della parete della spora o sporoderma è chiamato exina. Esso spesso
presenta ornamentazioni, come prolungamenti, creste che si suddividono o si anastomizzano etc.,
per mezzo dei quali può essere identificata la famiglia o il genere della spora, talvolta perfino la
specie o unità tassonomiche inferiori).
Vediamo quali sono, secondo Silvano Scannerini, uno specialista palinologo molto apprezzato dai Sindonisti, le procedure e gli accorgimenti per risalire da un polline ignoto al nome della specie che lo ha prodotto:
«Per compilare una scheda pollinica che consenta di attribuire con rigore scientifico un polline a una
ben precisa specie sono necessarie misurazioni su molti granuli (anche 100 e a volte di più) con
valutazioni di parametri diversi a seconda del tipo pollinico e certamente comprendenti i valori dei
diametri polari ed equatoriali, il numero, la posizione e le caratteristiche dei pori e/o dei colpi,
lo spessore dell’esina e le caratteristiche delle sue ornamentazioni, che talvolta appaiono molto diverse,
anche nello stesso polline, a seconda che sia stato o no sottoposto all’acetolisi» [Scannerini 1989, pp.108-109].
In un testo dello stesso Autore di qualche anno successivo, i criteri richiesti per l’identificazione a livello di specie di un tipo di polline risultano ancora più complicati, esigendo lo studio di un numero minimo di almeno 200 granuli per ogni tipo di polline e inoltre diverse complicate procedure:
«1) il trattamento di acetolisi per la ripulitura da microdetriti e l’allontanamento di prodotti diversi
dalle sporopollenine adesi sulla superficie;
2) la metallizzazione sotto vuoto con oro del campione da esaminare;
3) la ricostruzione tridimensionale precisa del granulo osservandolo e documentandolo sotto diversi
angoli di osservazione. Questa tecnica di fotografia sotto diversi angoli in tutti e tre gli assi lungo cui può
essere spostato il preparato è fondamentale specie in microscopia a scansione dato che con questa
tecnica le deformazioni per “proiezione” della forma possono essere tali da rendere irriconoscibile il
campione;
4) la rilevazione delle particolarità morfologiche sia al microscopio ottico sia al microscopio elettronico
a scansione;
5) la preparazione di schede separate per microscopia ottica e microscopia elettronica a scansione, in
modo da ricostruire le strutture ai diversi ordini di grandezza quindi con diversa risolvenza» [Scannerini
1996, pp.80-81].
Nonostante questo dettagliato lavoro preliminare, spesso non si arriva a poter riconoscere la specie vegetale precisa che ha prodotto un tipo di polline:
«Purtroppo il livello tassonomico discriminato dalle schede polliniche varia in funzione dei raggrupamenti
di piante considerati (in termini tecnici in funzione dei taxa cui ci si riferisce). In qualche caso si
distinguono agevolmente specie da specie, in molti casi si distinguono tra loro solo generi diversi
(ossia raggruppamenti di specie simili tra loro) non raramente si arriva a discriminare solo famiglie
(ossia insiemi di generi somigliantisi)» [Scannerini 1996, p.82].
In questo senso una revisione completa delle determinazioni stabilite da Frei è stata effettuata nel 1998 da Uri Baruch e poi pubblicata nel 1999. Avinoam Danin, docente di Botanica all’Università di Gerusalemme, aveva concordato di effettuare una valutazione botanica dei pollini di Frei e delle immagini di piante, riconosciute sulla Sindone dallo psichiatra americano Alan Whanger e da sua moglie Mary, allora detentori del materiale di Frei per conto della associazione di sindonologi ASSIST. Il Prof. Danin incaricò del lavoro sui pollini il dottor Uri Baruch, palinologo presso la Israel Antiquity Authority. Dei 47 vetrini (con un solo granulo per vetrino) allestiti da Frei a partire dal materiale prelevato nel 1973, Baruch ne riesaminò 31 e fra questi confermò soltanto quattro delle determinazioni fatte da Frei (Gundelia tournefortii, Prosopis farcta, Scabiosa prolifera e Ricinus communis) [Danin 1999, p.12]. Invece in 26 dei nastri, rimasti intatti, del prelievo del 1978, riconobbe e confermò una sola specie di granuli (Gundelia tournefortii), della quale contò fra tutti i nastri studiati, un totale di 90 granuli [Danin 1999, p.14]. Tutti gli altri granuli pollinici trovati da Baruch sui 26 nastri di Frei furono identificati soltanto a livello di raggruppamenti di specie, di genere o di famiglia.
Con questa revisione Baruch ha dimostrato che il lavoro di Frei era stato assolutamente inattendibile per la stragrande maggioranza delle specie, i cui pollini Frei dichiarava di aver identificato [Danin 1999, pp.12,14].
La revisione operata da Baruch è apparsa, agli occhi di altri palinologi, ancora eccessivamente ottimistica. Vaughn M. Bryant, nel 2000, pubblicò un articolo in cui dichiarava inaccettabili anche le poche identificazioni a livello di specie confermate da Baruch nel 1998 per tre motivi:
1. Baruch aveva operato solo con l’ausilio del microscopio ottico senza usare il microscopio elettronico (non poteva dato che non era autorizzato a manomettere i preparati di Frei);
2. i pollini immersi nella colla del nastro adesivo non sono adeguatamente osservabili e molti di essi, non essendo preparati, presentano detriti e sostanze all’intorno, che rendono difficile o impossibile a riconoscere le strutture dell’esina;
3. l’identificazione dei granuli di Gundelia tournefortii, l’unico elemento di rilievo per collocare l’oggetto in ambiente mediorientale, era inaccettabile [Bryant].
Un ultimo esame dei vetrini di Frei fu affrontato nel giugno 2001 dal palinologo Thomas Litt, nel suo laboratorio presso l’Istituto di Paleontologia dell’Università di Bonn. Il professor Litt acconsentì, per intercessione del Prof. Danin, a esaminare i preparati di Frei, che gli furono momentaneamente consegnati dai coniugi Whanger, e poi inviò il suo rapporto scritto sia a Danin sia ai Whanger. L’esito di tale esame non fu mai reso pubblico, lasciando allignare il sospetto che fosse particolarmente negativo per i Sindonisti. Però Danin ne ha pubblicato un brevissimo stralcio. L’esame di Litt era concentrato soprattutto sulla supposta identificazione del polline di Gundelia tournefortii, in merito alla quale Litt espresse la seguente conclusione:
«Con alta probabilità posso comunque escludere che il polline che ho visto sui nastri adesivi appartenga
alla Gundelia …» [Danin 2008, p.52].
Secondo il professor Litt i granuli classificati prima da Baruch come Gundelia tournefortii potevano essere assegnati a una pianta di un genere simile a Carduus [Danin 2008, p.46].
A conclusione di questa esposizione si può affermare che è assolutamente impossibile determinare la specie di appartenenza di un granulo pollinico incluso in un nastro adesivo, come avrebbe fatto Frei per i tipi di polline presente nei campioni del 1978. Anche per i granuli liberi e puliti, senza arrivare a dover studiare 200 granuli omogenei come richiesto da Scannerini, si perviene a una identificazione solo dopo accurate analisi e il livello di determinazione che si riesce a raggiungere solo in qualche caso ci consente di precisare la specie di appartenenza dei granuli; molto spesso è determinabile soltanto il genere della pianta e non raramente è precisabile solo la famiglia cui il dato tipo di polline appartiene.
Appare quindi assolutamente irrealistica l’affermazione di Frei del 1979:
«È quindi possibile determinare in base ad un singolo grano di polline da che pianta proviene» [Frei
1979, p.192].
Pure tale affermazione viene ripetuta tale e quale ancora oggi da parte dei Sindonisti:
«Analizzando un solo granello è quindi possibile stabilire da che specie di pianta proviene»
[Marinelli, p.64].
04. La modalità di identificazione dei pollini
Come abbiamo detto nel precedente capitolo, ma qui vale la pena di ripetere, secondo le stessse parole di Frei nella sua relazione a un convegno del 1981 (stampata nel 1983), l’appartenenza di un granulo di polline a una data specie si può stabilire con sicurezza soltanto tramite un accurato studio al microscopio elettronico a scansione (SEM):
«Unicamente il microscopio a scansione permette di distinguere, con assoluta certezza, due specie
dello stesso genere, anche se la parentela è molto stretta» [Frei 1983, p.277].
Con questa premessa, ci immagineremmo che Frei, partendo dal materiale prelevato sulla Sindone di Torino nel 1978, abbia messo a punto una serie di preparati, che poi ha studiato con il SEM. Niente affatto. Il materiale prelevato da Frei nel 1978 consisteva in 27 pezzi di nastro adesivo, sempre conservati applicati ai vetrini da laboratorio e mai aperti per accedere al materiale in essi contenuto.
Frei, riferendo i risultati del suo prelievo del 1978, non dice una parola su come i reperti siano stati conservati, ma altre fonti ci fanno sapere che i suoi nastri, ancora nel 1999, erano conservati così come approntati al momento del prelievo. Probabilmente ancora oggi questi nastri sono intatti. Danin e collaboratori infatti precisano più volte, nel corso del lavoro pubblicato nel 1999, che i campioni di Frei risalenti al 1978, da loro esaminati nel 1998, erano ancora ricoperti dal nastro adesivo, il che rendeva difficoltoso il riconoscimento dei granuli:
«It should be noted that poor optical quality of most samples (caused by covering sticky tapes) and pollen
grain deterioration prevented in many cases positive identification of the grains» [Danin 1999, p.10].
(Occorre precisare che la bassa qualità ottica della maggior parte dei campioni (causata dal nastro adesivo che li ricopre) e il deterioramento dei granuli di polline hanno impedito in molti casi una identificazione sicura dei granuli).
L’anno successivo Avinoam Danin ci ha fornito qualche particolare in più sulle modalità di prelievo e di conservazione dei reperti:
«The 12 microscope slides prepared by Frei in 1973 and the 27 of 1978 were obtained by pressing
and massaging transparent sticky tape onto material surfaces to sample pollen grains and other debris
for microscopic examination. He then attached the tape to microscope glass and sealed in in-situ. All the
slides remained sealed since then. Of his 1973 slides Frei removed individual pollen grains by
microdissection, remounting them and dissolving the remainders of the primary sticky tapes. This
complicated procedure was done for examination of the pollen by light and SEM microscopy» [
Danin 2000, p.496].
(I 12 vetrini da microscopio preparati da Frei nel 1973 e i 27 del 1978 furono ottenuti premendo e strofinando dei nastri adesivi trasparenti sulla superficie dell’oggetto per campionare i granuli di polline e altri detriti per l’esame al microscopio. Poi egli applicò i nastri su vetrini da microscopio e li sigillò sul posto. Tutti i vetrini da allora rimasero sigillati. Dai vetrini del 1973 Frei rimosse singoli granuli pollinici usando la microdissezione, ottenendo dei preparati e buttando via il rimanente dei primitivi nastri. Questa procedura complicata fu eseguita per l’esame del polline al microscopio ottico e al SEM).
Gli autori citati, che descrivono i nastri del 1978 come ancora integri e non manipolati da Frei, hanno in realtà uno scopo preciso: sottolineare che i reperti di Frei 1978 sono stati conservati così come egli li aveva prelevati e quindi non sono pensabili manipolazioni successive dei reperti. Vediamo la frase che in proposito ci ha lasciato Ian Wilson in un suo volume dell’anno 2000:
«At the original sampling each tape had been carefully folded back on itself to hermetically seal in its
contents, and it was quite obvious which section Frei had handled as ‘lead’ tape and which he had
pressed directly against the Shroud, thus confounding claims that the pollen was just modern
contamination» [Wilson 2000, pp.87-88].
(Al momento della campionatura originale ogni nastro era stato accuratamente ripiegato su se stesso per sigillare ermeticamente al suo interno il contenuto, e risultava evidente quale settore Frei aveva maneggiato come ‘guida’ del nastro e quale aveva premuto direttamente sulla Sindone, contraddicendo così tutte le affermazioni che il polline fosse solo contaminazione moderna).
Fig.1
Frei al lavoro con i suoi nastri sulla Sindone nel 1978, sorvegliato da un corrucciato Ray Rogers, uno scienziato americano dello STURP. La estremità del nastro, tenuta con le dita della mano destra di Frei, è stata definita ‘lied’ o guida del nastro (foto di Barrie Schwortz in Wilson,2000 p.80).
È doveroso a questo punto precisare, per chi è digiuno di SEM, che i campioni da sottoporre a questo tipo di microscopia devono essere isolati, puliti e infine ricoperti da una sottile patina d’oro: solo con questa preparazione è ipotizzabile uno studio al SEM. La procedura per preparare i granuli pollinici in modo tale da poter essere esaminati al SEM è complicata e prevede numerosi passaggi. Si è già accennato a essa nel capitolo precedente, nella citazione di Scannerini; riportiamo qui i vari passaggi richiesti, tratti da un manuale di palinologia, solo per sommi capi, omettendo particolari e cautele necessarie e dettagliatamente descritte nel testo consultato:
1.isolare il campione che si vuole sottoporre al SEM;
2.immergere il campione in una soluzione di fucsina in modo da colorarlo e non rischiare di perderlo;
3.lavare il campione per eliminare tutti i detriti;
4.preparare il supporto apponendovi sopra una sottile patina adesiva;
5.prelevare il polline campione in una goccia d’acqua e sistemare la goccia sul supporto già predisposto;
6.congelare velocemente il preparato e inserirlo in un contenitore per fare il vuoto;
7.abbassare progressivamente la pressione dell’aria all’interno del contenitore, mantenendo sempre il preparato allo stato di congelamento, fino a che il campione rimane completamente asciutto;
8.trasferire il supporto con il campione in un apparecchio per la verniciatura spray e spruzzarvi sopra uno strato di materiale adatto a prevenire il manifestarsi di scariche elettrostatiche al momento della foto (il materiale potrebbe essere carbonio, oro, palladio o una combinazione di questi elementi) [Fægri, p.87].
È teoricamente possibile usare polvere con pollini, predisposta su appositi supporti, senza passare attraverso la fase dell’acetolisi, che pulisce i granuli pollinici e distrugge tutto il resto, ma i risultati sono veramente deludenti, perché non solo non si riesce a classificare i pollini, ma neanche a distinguere se i singoli granuli siano pollini o altro, come si vedrà nel Cap.20 dedicato agli studi di Gerard Lucotte.
Dato che Frei non ha fatto nulla di tutto ciò per i prelievi del 1978, è falsa la sua affermazione di aver compiuto studi al SEM con il materiale del 1978. Dato inoltre che, secondo il lavoro di Frei stampato nel 1983, solo con lo studio al SEM si può effettuare il riconoscimento della specie a cui appartiene un granulo, come può egli affermare di aver effettuato questi riconoscimenti di specie, senza lo studio al SEM dei granuli del 1978? Su questo punto non si può sostenere che Frei si è confuso, si è sbagliato, che il suo lavoro è incompleto a causa della sua prematura dipartita. Si deve ammettere semplicemente che Frei ha mentito, cioè ha dichiarato di aver effettuato degli studi che non ha mai compiuto e che non poteva compiere.
Infatti Frei ha dichiarato espressamente di aver attuato lo studio al SEM sul materiale del 1978:
«Risultati ottenuti sul nuovo materiale. L’analisi al microscopio ottico ed il controllo al microscopio
elettronico a scansione hanno dato i seguenti risultati» [Frei 1983, p.281].
05. Possono esistere pollini di 2000 anni sulla Sindone?
Le considerazioni effettuate finora sui pollini della Sindone di Torino prescindono da un dubbio fondamentale: i pollini possono mantenersi integri per migliaia di anni su un tessuto tenuto esposto all’aria? Infatti se la risposta a questa domanda fosse ‘No’, ci troveremmo di fronte a una soluzione drastica di tutti i problemi.
Se come dicono i Sindonisti i pollini si conservano inalterati in ambiente secco per migliaia e per milioni di anni, su innumerevoli oggetti e superfici ci dovrebbero essere strati giganteschi di pollini, cosa che non corrisponde alla realtà. La realtà è ben diversa.
Una nozione basilare, che si impara già nel corso degli studi elementari e medi, è la seguente:
«I pollini sono costituiti da una sostanza quasi indistruttibile, la Sporopollenina, inattaccabile persino
dagli acidi più forti esistenti in natura; essa però è molto sensibile all'Ossigeno, che rapidamente la corrode.
Se un polline cade al suolo e resta esposto all'aria, nel giro di pochi giorni, viene distrutto… infine se cade
in uno specchio d'acqua (lago, fiume, mare, palude ecc.) ha buone probabilità di conservarsi, sepolto
sul fondo, per lungo tempo, anche milioni di anni. Infatti le condizioni anossiche (in assenza di ossigeno)
presenti sul fondo preservano l'involucro dei granuli» [Introduzione all’archeologia].
La stessa nozione si ritrova in testi di livello universitario:
«L'interesse del polline come fossile risiede nel suo involucro, poiché solo questo si conserva nei
sedimenti. L'esina è molto resistente in quanto costituita da un complesso di sostanze (polimeri di
carotenoidi) chiamate "sporopollenine", che sono fra le sostanze più resistenti nel mondo organico;
questo spiega la conservazione del polline fossile anche per milioni di anni. L'unico "nemico" delle
sporopollenine è l'ossigeno, che ne provoca l'immediata corrosione e distruzione» [Palinologia].
E ci è confermata da uno dei maggiori esperti di palinologia, Ian D. Campbell, del Canadian Forest Service:
«… most pollen is destroyed either prior to or soon after its final incorporation in a sediment,
yet there have been relatively few systematic studies of the processes of pollen destruction» [Campbell, p.246].
(… la maggior parte del polline è distrutta, prima o dopo il suo inglobamente definitivo nel sedimento, eppure finora ci sono stati relativamente pochi studi riguardanti i processi di distruzione del polline).
Poco oltre lo stesso Autore indica quello che, secondo le ricerche conosciute, è uno dei maggiori fattori di distruzione dei pollini dopo che si sono depositati:
«… subaerial exposure likely means an opportunity of oxidation, known to degrade pollen grains, and
possibly further degradation by bacteria or fungi» [Campbell, p.250].
(… l’esposizione in ambiente aerato comporta la possibilità della ossidazione, che, come è risaputo,
degrada i granuli pollinici e comporta anche la possibilità di una ulteriore degradazione da parte di
batteri e funghi).
Il processo di corrosione della membrana esterna del polline (sporopollenina) e della sua distruzione ha comunque una sua durata, dando luogo, quando si esaminano i pollini di un sedimento, alla scoperta di granuli con differenti stadi di corrosione e distruzione. Così si esprime un altro specialista di palinologia sulle condizioni del rivestimento dei pollini aggrediti da funghi:
«The smoothness of the pollen wall in the region immediately surrounding the penetrating rhizoids and
discharge tubes of the organisms [fungi] suggests that they digest rather than puncture the
wall … such penetrations undoubtedly weaken the walls and pave the way for the decomposition of the
grain by other biological agents and physical factors» [Goldstein].
(L’assottigliamento della parete del polline nella regione immediatamente circostante il punto di penetrazione dei
rizoidi e dei tubuli escretori degli organismi [funghi] suggerisce che essi digeriscano piuttosto che perforare la parete
… simili penetrazioni indubbiamente indeboliscono le pareti e spianano la strada alla decomposizione del granulo
a opera di altri agenti biologici e fattori fisici).
Nel 2001 un altro studioso ha riassunto così il problema relativo alla rapida distruzione dei granuli pollinici:
«Pollen is subject to deterioration during the interval between its liberation from the stamen and its
incorporation into sediment or soil. The most common processes are corrosion, degradation, and
mechanical damage. Pollen corrosion is caused by microbial attack, by fungi and bacteria, which
results in perforation of the exine. Degradation is caused by chemical oxidation, which leads to
thinning rather than perforation. Both corrosion and degradation are promoted by drainage and
aeration of the enclosing sediment. Mechanical damage is caused by physical agents, like
shrinkage and swelling of soil, which result in crumpling or rupturing of the exine. Damage also
occurs during transport by wind and insects, and as a result of consumption and
redistribution by soil invertebrates. Last but not least, the metods used to extract pollen and
spores for study also contribute to their deterioration» [Van Mourik, p.315].
(Il polline è soggetto a deteriorarsi durante l’intervallo di tempo tra la liberazione dallo stame e l’inglobamento nel sedimento o nel suolo. I processi più comuni sono la corrosione, la degradazione e i danni meccanici. La corrosione del polline è causata dagli attacchi dei microbi, cioè funghi e batteri, che si risolvono in perforazioni della exina. La degradazione è causata dalla ossidazione chimica, che porta all’assottigliamento più che alla perforazione. Sia la corrosione che la degradazione sono favorite dal drenaggio e dalla aerazione del sedimento che include il polline. Il danneggiamento meccanico è causato da agenti fisici, quali il compattamento e il rotolamendo del sedimento, che dà come esito piegature e rotture della exina. Si verificano danneggiamenti anche durante il trasporto da parte del vento o di insetti, o come risultato del logoramento e degli spostamenti causati dagli invertebrati che vivono nel suolo. Infine anche i metodi usati per estrarre i pollini e le spore a fine di studio contribuiscono al loro deterioramento).
Come è ovvio, tutti i lavori qui citati e molti altri che si potrebbero aggiungere hanno come scopo valutare la degradazione e distruzione dei pollini subito prima e subito dopo che essi si siano depositati nei sedimenti. A quanto mi risulta, esiste pubblicato a stampa un solo lavoro sperimentale che prenda in esame la conservazione dei pollini, dopo che si sono depositati su un tessuto lasciato esposto all’aria. La ricerca è stata effettuata proprio al fine di poter valutare il significato della presenza di pollini sulla Sindone di Torino. La ricercatrice era la dottoressa Marta Mariotti Lippi, docente presso il Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università di Firenze. La Mariotti Lippi si procurò due tipi di tessuto di lino, uno comune e uno tessuto a spina di pesce, come la Sindone di Torino, forniti espressamente dal noto sindonista Prof. Mario Moroni. Dopo aver osservato che sui tessuti prima dell’esperimento non si trovavano pollini, li ha tagliati in pezzi, alcuni dei quali sono stati imbevuti in una soluzione acquosa di aloe e mirra, poi li ha appesi tutti in varie posizioni in un oliveto, tenendoveli alcuni per 72 giorni altri per 43. Alla fine di questo periodo, ha contato il numero di granuli pollinici presenti sui vari campioni, ritagliando da ogni campione un piccolo quadratino, per eseguire il conteggio; poi ha messo i campioni appesi in un ambiente chiuso, senza correnti d’aria, lasciandoveli per 2 mesi. Alla fine ha ritagliato altri pezzetti per ripetere i conteggi.
La conclusione fu che, di tutti i granuli di polline presenti alla fine dell’esposizione nell’oliveto, dopo i due mesi ne restava il 46%, mentre il 54% era andato disperso. Analoga era la perdita percentuale di granuli, se si valutavano solo i campioni di tessuto di lino a spina di pesce, imbevuti con aloe e mirra, che erano risultati quelli con maggiore capacità di intrappolare i pollini [Mariotti Lippi].
In un altro articolo l’Autrice parla di un breve prolungamento di questo esperimento: i campioni di tessuto con i pollini furono ulteriormente lasciati appesi per qualche altro giorno e dopo venne misurato nuovamente il loro contenuto pollinico: il tessuto che aveva la maggior quantità di pollini, cioè quello imbevuto di aloe e mirra, aveva perduto un’altra rilevante percentuale dei pollini iniziali: dai 60 granuli per cm2 iniziali era passato dopo i primi due mesi a 26 e dopo questi ulteriori giorni era sceso a 13 granuli di polline per cm2 : cioè dopo due mesi e qualche giorno la percentuale dei granuli era scesa ulteriormente al 23% circa. [Mariotti Lippi2, p.238].
Dopo aver esposto il risultato dell’esperimento, l’Autrice si astiene da ulteriori considerazioni. Ma viene spontaneo domandarsi: se in poco più di due mesi la perdita di granuli di polline in un tessuto è stata del 77% , quanto potrebbe essere in un anno? E in 10 anni? E in un secolo? È ovvio che già dopo un anno ci aspettiamo di non trovare più pollini derivanti dalla esposizione iniziale. Alla luce di questo esperimento, parlare di pollini che si conservano per secoli o addirittura millenni su un tessuto esposto all’aria diventa un’affermazione risibile. Nonostante il suo rigore scientifico e la sua significatività, l’esperimento della professoressa Mariotti Lippi non è stato più ripetuto e non è stato mai preso in considerazione in tutti i testi di sindonologia che ho sfogliato.
Ad aggravare la situazione per i Sindonisti, dobbiamo ricordare che l’esperimento narrato vale per dei tessuti tenuti fermi per tutto il periodo esaminato; ma la storia della Sindone di Torino ci dice che essa è stata stesa e ripiegata, arrotolata e srotolata un numero incalcolabile di volte, che spesso veniva esposta all’aperto dove il vento poteva depositarvi nuovi pollini e soprattutto far cadere i vecchi ancora rimasti.
Fra gli oggetti che il dottor Giovanni Riggi nel 1982 ci descrive presenti nella teca della Sindone, vi era anche:
«una spazzola di fine setola bianca con supporto in argento … che certamente in passato fu utilizzata
sulla Sindone più volte» [Riggi 1982, p.84].
Lo stesso Autore ci fa sapere che nella teca erano presenti anche dei residui di polvere visibili a occhio nudo, a riprova che la caduta di polveri e detriti dal telo è stata sempre abbondante [Riggi 1982, pp.82,90].
Per concludere, se il tessuto tenuto fermo per due mesi o poco più perde il 77% dei suoi granuli pollinici, quanto può perdere il tessuto steso e ripiegato o arrotolato e anche spazzolato? Non abbiamo dati sperimentali, ma intuitivamente supponiamo che la percentuale di perdita di polline sia molto maggiore, nello stesso lasso di tempo.
06. L’equivoco dello spettro pollinico
Per Frei non vi sono dubbi sul fatto che i granuli di polline presenti sulla Sindone di Torino sono stati trasportati dal vento sul telo, quando la stessa Sindone si trovava esposta all’aria nelle diverse zone (Palestina, Edessa, Costantinopoli, Francia, Italia). Tale sicurezza gli deriva da considerazioni che egli fa sullo spettro pollinico dei pollini ritrovati sulla Sindone:
«Il Lenzuolo deve aver soggiornato in Palestina o in Turchia, poiché le piante che crescono in quelle
zone, comprese le specie mediterranee, sono dominanti nello spettro pollinico» [Frei 1983, p.279].
In realtà Frei, nonostante questa sua affermazione, non ha mai valutato lo ‘spettro pollinico’ dei granuli reperiti sulla Sindone. Per spettro pollinico infatti s’intende il complesso dei valori percentuali di ogni tipo di polline presente nel materiale esaminato, così come chiaramente precisato nel manuale di palinologia citato da Frei nel 1979:
«In pollen analysis the term “pollen spectrum” is used for percentage composition of the pollen
data of a particular sample» [Erdtmann, p.121].
(Nell’analisi dei pollini il termine ‘spettro pollinico’ è usato per indicare la composizione percentuale dei
pollini in un determinato campione).
Da allora a oggi il significato non è mai cambiato:
«Una volta che si dispone dei dati dell'analisi pollinica, questi possono essere espressi come valori di
presenza percentuale per ogni tipo, ottenendo il cosiddetto spettro pollinico» [Guido].
Così, ogni volta che in letteratura botanica troviamo citato uno spettro pollinico ci imbattiamo sempre in una tabella, in cui i tipi di polline sono indicati con il loro nome e con le percentuali di ciascun tipo. Anche in due articoli, citati da Frei nel suo scritto del 1979, riguardanti pollini recenti trovati nei sedimenti lacustri di Palestina, quando si parla di spectre pollinique o di pollen spectra si fornisce uno schema della frequenza di ciascun tipo di polline nel sedimento [Rossignol 1969, p.26; Horowitz 1969, p.371].
Frei invece si è limitato a produrre un elenco dei nomi dei vari tipi di polline, senza alcun accenno alle percentuali di ciascun tipo. Anzi, nell’articolo del 1979 Frei aveva auspicato che in futuro venissero svolti ulteriori studi sui pollini sindonici per valutare statisticamente la frequenza delle varie specie, a riprova del fatto che lui non l’aveva valutata [Frei 1979, p.199]; invece nell’articolo del 1983, egli escluse la prospettiva di ulteriori studi da parte sua sul polline sindonico e annunciò che ormai si stava dedicando ad altri temi:
«Per terminare, mi permetto di aggiungere che, secondo la mia opinione, lo studio palinologico della
Sindone non ci riserva più grandi sorprese … Per questa ragione il mio interesse è diretto verso altre due
reliquie importantissime» [Frei 1983, p.283].
Considerati il libro e gli articoli da lui citati, non possiamo pensare che Frei si sia confuso nell’usare il termine spettro pollinico, termine che come abbiamo visto è pressocché identico anche in altre lingue; ciononostante egli ha chiamato spettro pollinico il suo elenco di tipi di polline e ne ha tratto conclusioni che si potevano trarre solo dallo studio di un vero e completo spettro pollinico. Infatti i tipi di polline che Frei elenca, potrebbero essere rappresentati ognuno da un solo granulo, oppure da mille o più, ed evidentemente non avrebbero lo stesso valore: un singolo granulo può essere una contaminazione eccezionale dovuta a svariate cause, la presenza di mille granuli indica sicuramente che il telo è stato a contatto con la pianta in questione o è stato esposto nelle sue immediate vicinanze.
Frei, dopo aver chiamato spettro pollinico ciò che non lo è, lo considera alla stregua di un vero spettro pollinico e ne trae delle conseguenze assolutamente indebite.
07. I pollini sindonici possono provenire da inquinamento?
Un’altra frase di Frei è veramente rimarchevole per la più completa mancanza di corrispondenza con la realtà:
«Escludo una contaminazione con polvere portata da pellegrini o da uccelli migratori, poiché questi non
avevano occasione di entrare in contatto con la Sindone» [Frei 1983, p.279].
Passi per gli uccelli migratori, che difficilmente si potevano posare su di un telo circondato da folle acclamanti (però alcuni granelli di polline avrebbero potuto staccarsi da un uccello in volo e, portati dal vento, depositarsi non visti sulla Sindone). Passi per il fatto che Frei trascura la possibilità di trasporto di pollini da parte di insetti migranti. Ma sostenere che nel corso dei secoli nessun pellegrino ha mai potuto toccare di persona o toccare con un suo oggetto la Sindone, è una affermazione risibile. Bastano pochi esempi recenti per contraddirla clamorosamente.
La stessa notte in cui Frei prese per la seconda volta i campioni del materiale superficiale della Sindone, nell’ottobre 1978, si racconta sia successo un fatto interessante dal punto di vista della possibilità per i pellegrini e per i loro oggetti di toccare la Sindone:
«That evening, a few very tired researchers returned to the hotel, where they sat in the lobby, drinking
coffee. A lady approached them diffidently. She was from some English-speaking country, and she asked,
“May I talk to you?” … Would it be possible, she inquired, for her do send some flowers to the Shroud?
It was an unusual request … One team member told the woman to bring the flowers to the outside guard
and be sure to ask for the STURP man, who would be on duty for the next thirty-six hours … Shortly
after, the bouquet arrived, and the roses were duly picked up by the scientist and placed in a breaker
of water next to the Shroud. Within a day, the roses began to wilt, and the investigator was about to
throw them out when he had a thought. He discarded all but one, which he touched to the cloth and
later brought back to the hotel. There he sought out the lady, told her what he had done, and
presented her with the rose. She became transformed. Her sorrow-etched face became radiant
with joy …
Not only this woman but all the clerics and Turinese university personnel who came into contact with
the Shroud invested with special meaning the act of touching it with some object – with an hand kerchief,
a card, or some postage stamps. It was as though they felt that something mystical might be transferred
from the cloth to the touched object. Or perhaps it was merely a souvenir. I would discover later that
this was more the rule than the exception. It was to have considerable significance» [Heller, pp.114-115].
(Quella sera dei ricercatori esausti ritornati in albergo, stavano bevendo un caffè nella hall. Una signora, proveniente da
chissà quale paese anglofono, si rivolse a loro con esitazione: “Posso parlarvi?” … Voleva sapere se era possibile
far pervenire dei fiori alla Sindone. Era una richiesta inaspettata … Un membro dell’équipe disse a quella signora di
consegnare i fiori al piantone di guardia all’esterno e chiedergli di chiamare uno degli scienziati che si sarebbero trovati
al lavoro per il prossimo periodo di 36 ore… Dopo poco il mazzo di fiori arrivò e delle rose furono sistemate dallo
scienziato vicino alla Sindone in un vaso con l’acqua. Il giorno dopo le rose erano appassite. Il ricercatore si
accingeva a buttarle via, ma, ripensandoci, ne conservò una con la quale toccò il sudario. Quando tornò all’albergo,
cercò la signora e le fece dono della rosa, raccontandole il suo gesto. Il viso di lei, prima triste, divenne raggiante.
Con gli occhi pieni di lacrime, ringraziò balbettando. Poco importa quali fossero le sue motivazioni, quella signora lasciò
Torino con il cuore pieno di allegrezza.
Non solo per quella signora, ma anche per gli ecclesiastici e per il personale dell’Università di Torino, il fatto di
toccare la Sindone con un oggetto qualunque, fazzoletto, carta, francobollo ecc., assumeva un significato tutto
particolare, come se un qualcosa di mistico venisse trasmesso dalla Sindone all’oggetto che l’aveva toccato.
O forse si trattava per loro soltanto di un souvenir. Questa abitudine, come scoprii in seguito, aveva delle conseguenze).
«There were brief closing ceremonies. A priest said a prayer, bent, and kissed the Shroud.
Brooks, a Presbyterian, waited till he was alone with the cloth, and he kissed it too» [Heller, p.118].
(Dopo una breve cerimonia di conclusione, un prete disse una preghiera, s’inchinò e baciò la Sindone. Brooks,
che era presbiteriano [uno scienziato dello STURP], attese di essere solo per fare lo stesso).
L’autore che racconta questi episodi è il biochimico John Heller, che ha avuto modo di parlare a lungo con tutti gli scienziati dello STURP, dopo che avevano lavorato a Torino nell’ottobre 1978. Egli insiste su questo punto, nel suo libro, in quanto vuole spiegare il ritrovamento tra i reperti sindonici del materiale più strano, anche moderno. Infatti sullo stesso libro, egli conclude l’argomento con le seguenti osservazioni:
«From history we knew that untold thousands of hands, both clean and grubby, had touched and fondled it.
It had been kissed by innumerable people, both clean-shaved and with beard and moustaches.
We had discovered that it was not unusual for over 90 percent of the people who have access to the
Shroud to touch something personal to its surface. STURP members knew of postage stamps and
pictures that had touched its surface. One cleric had taken out a stained cotton kerchief and
placed it on the Shroud. According to the cleric, he had kept the kerchief, unlaundered, in his pocket
since he had used it to touch the Holy Sepulcher in Jerusalem years before. Untold bizarre materials
must have had contact with the Shroud’s surface» [Heller, p.177].
(Sappiamo che nel corso della storia migliaia di mani, pulite o sporche, hanno toccato e accarezzato la Sindone.
Un numero incalcolabile di persone, visi rasati, barbuti o con baffi, l’hanno baciata. I membri dello STURP sono
venuti a sapere, inoltre, che più del 90 per cento di coloro che avevano accesso alla Sindone, la toccavano con
oggetti personali, quali francobolli e santini. Un ecclesiastico vi aveva depositato sopra un fazzoletto macchiato,
che egli non aveva più lavato e che aveva tenuto in tasca dopo che, negli anni passati, era stato a contatto con il Santo
Sepolcro di Gerusalemme. Quanti altri oggetti, più o meno bizzarri, sono stati a contatto con la Sindone?).
Anche altri autori hanno raccontato particolari degli avvenimenti verificatisi durante le giornate di lavoro degli scienziati sulla Sindone di Torino nell’ottobre 1978. Da questi racconti, riportiamo un episodio riferito da Giovanni Riggi, molto interessante ai fini delle considerazioni fatte finora:
«Sempre durante l’esecuzione dei tests, potei assistere alla sovrapposizione di un telo alla S. Sindone
eseguita da Mons. Cottino per conto di un a me ignoto Ente Religioso: infatti secondo una tradizione
centenaria, un telo dipinto a somiglianza del vero viene esattamente appoggiato per qualche istante sul
vero Lino per acquisirne in qualche modo sacralità e devozione. Ciò fu compiuto con cura dai membri
religiosi della Commissione di Vigilanza sotto l’occhio alquanto preoccupato dei visitatori presenti a
causa del possibile inquinamento che la sovrapposizione avrebbe indubbiamente potuto
successivamente dimostrare. Questa operazione può forse spiegare il ritrovamento nelle polveri
di piccole particelle di origine incerta e legate in qualche modo a pigmenti colorati per pittura»
[Riggi 1982, p.185].
Se ipotizziamo che i teli sovrapposti abbiano trasmesso alla Sindone di Torino delle particelle di pigmento colorante, a maggior ragione possiamo sospettare che abbiano trasmesso dei granuli di polline. Possiamo escludere a priori che una o più di queste tele sovrapposte siano state prodotte o comunque abbiano soggiornato in Palestina o in Turchia? Che abbiano accumulato su di sé dei pollini provenienti da chissà dove che poi hanno trasmesso alla Sindone? La domanda naturalmente è retorica: conosciamo alcuni episodi in cui una tela è stata sovrapposta alla Sindone, ma di nessuna di queste tele conosciamo l’esatta provenienza. Probabilmente di molti analoghi episodi non ci è stato trasmesso neanche il ricordo.
Addirittura non abbiamo modo di escludere che, nel corso dei secoli, dei fiori, carichi di polline e provenienti da Terra Santa o Turchia, siano venuti direttamente a contatto con la Sindone, potendo in questo caso aver determinato una contaminazione massiva. Possiamo ben immaginarci, anzi, che più volte sia capitato che la Sindone sia stata toccata con dei fiori provenienti dalla Palestina o da altre regioni. In fondo raccogliere fiori durante i viaggi, in particolare nei pellegrinaggi, e conservarli in vari modi è una pratica nota e frequente. Lo stesso Autore che ha raccontato l’episodio della rosa che ha toccato la Sindone, ci ha fatto sapere che sua moglie conservava un libretto in cui erano raccolti fiori provenienti dalla Terra Santa nel 1925 [Heller, p.131].
Io stesso ho trovato in vendita e acquistato su una bancarella in Livorno e nel sito internet di eBay alcuni santini composti da fiori della Terra Santa incollati su un pezzetto di carta, risalenti ai primi decenni del XX secolo. Uno di essi reca la scritta “Fiori di Terra Santa posati sul S. Presepio”; dato che tale scritta è in italiano, il più famoso ‘Santo Presepio’ esistente in Italia si trova nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Roma. Cioè fiori provenienti dalla Terra Santa sono stati messi a contatto con una reliquia conservata a Roma. Possiamo essere ragionevolmente sicuri che la stessa cosa si sia verificata per la Sindone di Torino.
L’affermazione di Frei pertanto risulta assolutamente infondata e rimane difficile credere che Frei non conoscesse queste usanze, ma quand’anche fosse, viene spontaneo porci una domanda (retorica): come può uno scienziato pronunciare affermazioni categoriche su un argomento che non conosce?
Anche un’altra affermazione di Frei a proposito dell’origine dei pollini è assolutamente illogica:
«Lascio aperta la possibilità che una parte del polline provenga dalla fabbricazione del tessuto e forse
pure dalle sostanze aromatiche come l’aloe usate per i procedimenti funerari o dalla pelle umida
del corpo avvolto. Ma sicuramente i pollini posteriori sono di origine eolica durante le ostensioni»
[Frei 1979, p.197].
Quanta parte del polline, secondo Frei, può derivare dalla fabbricazione del tessuto? L’uno per cento o il 99? Frei non precisa e ovviamente nessuno sarebbe in grado di rispondere a una simile domanda. Pertanto la presenza dei pollini mediorientali, qualora fosse realmente accertata, non ci potrebbe dire nulla in merito ai viaggi e alle ostensioni della Sindone di Torino dopo la formazione della figura: tali pollini potrebbero risalire alla fabbricazione e ai viaggi compiuti dalla Sindone prima del suo uso definitivo. Infatti si può ben immaginare un tessuto di lino fabbricato in Turchia e inviato a Gerusalemme per essere venduto e poi trasferito in Francia o viceversa fabbricato in Palestina, in viaggio attraverso la Turchia fino a Istanbul e da qui trasferito in Europa fino alle grandi fiere della Champagne dove, magari a Troyes, è stato acquistato dall’artista che ha prodotto l’immagine.
Se Frei parla di ‘pollini posteriori’ alla fabbricazione, come può essere in grado di distinguerli? Perché afferma che ‘sicuramente i pollini posteriori sono di origine eolica durante le ostensioni’? Secondo il parere recente di molti Sindonisti, i pollini sulla Sindone di Torino provengono da fiori che sono stati appoggiati, per devozione, direttamente sulla Sindone stessa [Maloney 1990, pp.5-6; Wilson 2000, p.84]. Non vi è modo di distinguere pollini trasportati dal vento da pollini caduti da fiori appoggiati. E se alcuni (o molti) pollini provengono da fiori appoggiati direttamente sopra la Sindone, non vi è alcun criterio per stabilire dove fosse la Sindone quando i fiori vi sono stati appoggiati. Raccogliere fiori in Medio Oriente e poi dedicarli alla Sindone di Torino è un’azione che potrebbe benissimo essere stata compiuta da qualcuno dei milioni di pellegrini che nel corso dei secoli hanno visitato i luoghi santi e le più famose reliquie.
Frei al lavoro con i suoi nastri sulla Sindone nel 1978, sorvegliato da un corrucciato Ray Rogers, uno scienziato americano dello STURP. La estremità del nastro, tenuta con le dita della mano destra di Frei, è stata definita ‘lied’ o guida del nastro (foto di Barrie Schwortz in Wilson,2000 p.80).
È doveroso a questo punto precisare, per chi è digiuno di SEM, che i campioni da sottoporre a questo tipo di microscopia devono essere isolati, puliti e infine ricoperti da una sottile patina d’oro: solo con questa preparazione è ipotizzabile uno studio al SEM. La procedura per preparare i granuli pollinici in modo tale da poter essere esaminati al SEM è complicata e prevede numerosi passaggi. Si è già accennato a essa nel capitolo precedente, nella citazione di Scannerini; riportiamo qui i vari passaggi richiesti, tratti da un manuale di palinologia, solo per sommi capi, omettendo particolari e cautele necessarie e dettagliatamente descritte nel testo consultato:
1.isolare il campione che si vuole sottoporre al SEM;
2.immergere il campione in una soluzione di fucsina in modo da colorarlo e non rischiare di perderlo;
3.lavare il campione per eliminare tutti i detriti;
4.preparare il supporto apponendovi sopra una sottile patina adesiva;
5.prelevare il polline campione in una goccia d’acqua e sistemare la goccia sul supporto già predisposto;
6.congelare velocemente il preparato e inserirlo in un contenitore per fare il vuoto;
7.abbassare progressivamente la pressione dell’aria all’interno del contenitore, mantenendo sempre il preparato allo stato di congelamento, fino a che il campione rimane completamente asciutto;
8.trasferire il supporto con il campione in un apparecchio per la verniciatura spray e spruzzarvi sopra uno strato di materiale adatto a prevenire il manifestarsi di scariche elettrostatiche al momento della foto (il materiale potrebbe essere carbonio, oro, palladio o una combinazione di questi elementi) [Fægri, p.87].
È teoricamente possibile usare polvere con pollini, predisposta su appositi supporti, senza passare attraverso la fase dell’acetolisi, che pulisce i granuli pollinici e distrugge tutto il resto, ma i risultati sono veramente deludenti, perché non solo non si riesce a classificare i pollini, ma neanche a distinguere se i singoli granuli siano pollini o altro, come si vedrà nel Cap.20 dedicato agli studi di Gerard Lucotte.
Dato che Frei non ha fatto nulla di tutto ciò per i prelievi del 1978, è falsa la sua affermazione di aver compiuto studi al SEM con il materiale del 1978. Dato inoltre che, secondo il lavoro di Frei stampato nel 1983, solo con lo studio al SEM si può effettuare il riconoscimento della specie a cui appartiene un granulo, come può egli affermare di aver effettuato questi riconoscimenti di specie, senza lo studio al SEM dei granuli del 1978? Su questo punto non si può sostenere che Frei si è confuso, si è sbagliato, che il suo lavoro è incompleto a causa della sua prematura dipartita. Si deve ammettere semplicemente che Frei ha mentito, cioè ha dichiarato di aver effettuato degli studi che non ha mai compiuto e che non poteva compiere.
Infatti Frei ha dichiarato espressamente di aver attuato lo studio al SEM sul materiale del 1978:
«Risultati ottenuti sul nuovo materiale. L’analisi al microscopio ottico ed il controllo al microscopio
elettronico a scansione hanno dato i seguenti risultati» [Frei 1983, p.281].
05. Possono esistere pollini di 2000 anni sulla Sindone?
Le considerazioni effettuate finora sui pollini della Sindone di Torino prescindono da un dubbio fondamentale: i pollini possono mantenersi integri per migliaia di anni su un tessuto tenuto esposto all’aria? Infatti se la risposta a questa domanda fosse ‘No’, ci troveremmo di fronte a una soluzione drastica di tutti i problemi.
Se come dicono i Sindonisti i pollini si conservano inalterati in ambiente secco per migliaia e per milioni di anni, su innumerevoli oggetti e superfici ci dovrebbero essere strati giganteschi di pollini, cosa che non corrisponde alla realtà. La realtà è ben diversa.
Una nozione basilare, che si impara già nel corso degli studi elementari e medi, è la seguente:
«I pollini sono costituiti da una sostanza quasi indistruttibile, la Sporopollenina, inattaccabile persino
dagli acidi più forti esistenti in natura; essa però è molto sensibile all'Ossigeno, che rapidamente la corrode.
Se un polline cade al suolo e resta esposto all'aria, nel giro di pochi giorni, viene distrutto… infine se cade
in uno specchio d'acqua (lago, fiume, mare, palude ecc.) ha buone probabilità di conservarsi, sepolto
sul fondo, per lungo tempo, anche milioni di anni. Infatti le condizioni anossiche (in assenza di ossigeno)
presenti sul fondo preservano l'involucro dei granuli» [Introduzione all’archeologia].
La stessa nozione si ritrova in testi di livello universitario:
«L'interesse del polline come fossile risiede nel suo involucro, poiché solo questo si conserva nei
sedimenti. L'esina è molto resistente in quanto costituita da un complesso di sostanze (polimeri di
carotenoidi) chiamate "sporopollenine", che sono fra le sostanze più resistenti nel mondo organico;
questo spiega la conservazione del polline fossile anche per milioni di anni. L'unico "nemico" delle
sporopollenine è l'ossigeno, che ne provoca l'immediata corrosione e distruzione» [Palinologia].
E ci è confermata da uno dei maggiori esperti di palinologia, Ian D. Campbell, del Canadian Forest Service:
«… most pollen is destroyed either prior to or soon after its final incorporation in a sediment,
yet there have been relatively few systematic studies of the processes of pollen destruction» [Campbell, p.246].
(… la maggior parte del polline è distrutta, prima o dopo il suo inglobamente definitivo nel sedimento, eppure finora ci sono stati relativamente pochi studi riguardanti i processi di distruzione del polline).
Poco oltre lo stesso Autore indica quello che, secondo le ricerche conosciute, è uno dei maggiori fattori di distruzione dei pollini dopo che si sono depositati:
«… subaerial exposure likely means an opportunity of oxidation, known to degrade pollen grains, and
possibly further degradation by bacteria or fungi» [Campbell, p.250].
(… l’esposizione in ambiente aerato comporta la possibilità della ossidazione, che, come è risaputo,
degrada i granuli pollinici e comporta anche la possibilità di una ulteriore degradazione da parte di
batteri e funghi).
Il processo di corrosione della membrana esterna del polline (sporopollenina) e della sua distruzione ha comunque una sua durata, dando luogo, quando si esaminano i pollini di un sedimento, alla scoperta di granuli con differenti stadi di corrosione e distruzione. Così si esprime un altro specialista di palinologia sulle condizioni del rivestimento dei pollini aggrediti da funghi:
«The smoothness of the pollen wall in the region immediately surrounding the penetrating rhizoids and
discharge tubes of the organisms [fungi] suggests that they digest rather than puncture the
wall … such penetrations undoubtedly weaken the walls and pave the way for the decomposition of the
grain by other biological agents and physical factors» [Goldstein].
(L’assottigliamento della parete del polline nella regione immediatamente circostante il punto di penetrazione dei
rizoidi e dei tubuli escretori degli organismi [funghi] suggerisce che essi digeriscano piuttosto che perforare la parete
… simili penetrazioni indubbiamente indeboliscono le pareti e spianano la strada alla decomposizione del granulo
a opera di altri agenti biologici e fattori fisici).
Nel 2001 un altro studioso ha riassunto così il problema relativo alla rapida distruzione dei granuli pollinici:
«Pollen is subject to deterioration during the interval between its liberation from the stamen and its
incorporation into sediment or soil. The most common processes are corrosion, degradation, and
mechanical damage. Pollen corrosion is caused by microbial attack, by fungi and bacteria, which
results in perforation of the exine. Degradation is caused by chemical oxidation, which leads to
thinning rather than perforation. Both corrosion and degradation are promoted by drainage and
aeration of the enclosing sediment. Mechanical damage is caused by physical agents, like
shrinkage and swelling of soil, which result in crumpling or rupturing of the exine. Damage also
occurs during transport by wind and insects, and as a result of consumption and
redistribution by soil invertebrates. Last but not least, the metods used to extract pollen and
spores for study also contribute to their deterioration» [Van Mourik, p.315].
(Il polline è soggetto a deteriorarsi durante l’intervallo di tempo tra la liberazione dallo stame e l’inglobamento nel sedimento o nel suolo. I processi più comuni sono la corrosione, la degradazione e i danni meccanici. La corrosione del polline è causata dagli attacchi dei microbi, cioè funghi e batteri, che si risolvono in perforazioni della exina. La degradazione è causata dalla ossidazione chimica, che porta all’assottigliamento più che alla perforazione. Sia la corrosione che la degradazione sono favorite dal drenaggio e dalla aerazione del sedimento che include il polline. Il danneggiamento meccanico è causato da agenti fisici, quali il compattamento e il rotolamendo del sedimento, che dà come esito piegature e rotture della exina. Si verificano danneggiamenti anche durante il trasporto da parte del vento o di insetti, o come risultato del logoramento e degli spostamenti causati dagli invertebrati che vivono nel suolo. Infine anche i metodi usati per estrarre i pollini e le spore a fine di studio contribuiscono al loro deterioramento).
Come è ovvio, tutti i lavori qui citati e molti altri che si potrebbero aggiungere hanno come scopo valutare la degradazione e distruzione dei pollini subito prima e subito dopo che essi si siano depositati nei sedimenti. A quanto mi risulta, esiste pubblicato a stampa un solo lavoro sperimentale che prenda in esame la conservazione dei pollini, dopo che si sono depositati su un tessuto lasciato esposto all’aria. La ricerca è stata effettuata proprio al fine di poter valutare il significato della presenza di pollini sulla Sindone di Torino. La ricercatrice era la dottoressa Marta Mariotti Lippi, docente presso il Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università di Firenze. La Mariotti Lippi si procurò due tipi di tessuto di lino, uno comune e uno tessuto a spina di pesce, come la Sindone di Torino, forniti espressamente dal noto sindonista Prof. Mario Moroni. Dopo aver osservato che sui tessuti prima dell’esperimento non si trovavano pollini, li ha tagliati in pezzi, alcuni dei quali sono stati imbevuti in una soluzione acquosa di aloe e mirra, poi li ha appesi tutti in varie posizioni in un oliveto, tenendoveli alcuni per 72 giorni altri per 43. Alla fine di questo periodo, ha contato il numero di granuli pollinici presenti sui vari campioni, ritagliando da ogni campione un piccolo quadratino, per eseguire il conteggio; poi ha messo i campioni appesi in un ambiente chiuso, senza correnti d’aria, lasciandoveli per 2 mesi. Alla fine ha ritagliato altri pezzetti per ripetere i conteggi.
La conclusione fu che, di tutti i granuli di polline presenti alla fine dell’esposizione nell’oliveto, dopo i due mesi ne restava il 46%, mentre il 54% era andato disperso. Analoga era la perdita percentuale di granuli, se si valutavano solo i campioni di tessuto di lino a spina di pesce, imbevuti con aloe e mirra, che erano risultati quelli con maggiore capacità di intrappolare i pollini [Mariotti Lippi].
In un altro articolo l’Autrice parla di un breve prolungamento di questo esperimento: i campioni di tessuto con i pollini furono ulteriormente lasciati appesi per qualche altro giorno e dopo venne misurato nuovamente il loro contenuto pollinico: il tessuto che aveva la maggior quantità di pollini, cioè quello imbevuto di aloe e mirra, aveva perduto un’altra rilevante percentuale dei pollini iniziali: dai 60 granuli per cm2 iniziali era passato dopo i primi due mesi a 26 e dopo questi ulteriori giorni era sceso a 13 granuli di polline per cm2 : cioè dopo due mesi e qualche giorno la percentuale dei granuli era scesa ulteriormente al 23% circa. [Mariotti Lippi2, p.238].
Dopo aver esposto il risultato dell’esperimento, l’Autrice si astiene da ulteriori considerazioni. Ma viene spontaneo domandarsi: se in poco più di due mesi la perdita di granuli di polline in un tessuto è stata del 77% , quanto potrebbe essere in un anno? E in 10 anni? E in un secolo? È ovvio che già dopo un anno ci aspettiamo di non trovare più pollini derivanti dalla esposizione iniziale. Alla luce di questo esperimento, parlare di pollini che si conservano per secoli o addirittura millenni su un tessuto esposto all’aria diventa un’affermazione risibile. Nonostante il suo rigore scientifico e la sua significatività, l’esperimento della professoressa Mariotti Lippi non è stato più ripetuto e non è stato mai preso in considerazione in tutti i testi di sindonologia che ho sfogliato.
Ad aggravare la situazione per i Sindonisti, dobbiamo ricordare che l’esperimento narrato vale per dei tessuti tenuti fermi per tutto il periodo esaminato; ma la storia della Sindone di Torino ci dice che essa è stata stesa e ripiegata, arrotolata e srotolata un numero incalcolabile di volte, che spesso veniva esposta all’aperto dove il vento poteva depositarvi nuovi pollini e soprattutto far cadere i vecchi ancora rimasti.
Fra gli oggetti che il dottor Giovanni Riggi nel 1982 ci descrive presenti nella teca della Sindone, vi era anche:
«una spazzola di fine setola bianca con supporto in argento … che certamente in passato fu utilizzata
sulla Sindone più volte» [Riggi 1982, p.84].
Lo stesso Autore ci fa sapere che nella teca erano presenti anche dei residui di polvere visibili a occhio nudo, a riprova che la caduta di polveri e detriti dal telo è stata sempre abbondante [Riggi 1982, pp.82,90].
Per concludere, se il tessuto tenuto fermo per due mesi o poco più perde il 77% dei suoi granuli pollinici, quanto può perdere il tessuto steso e ripiegato o arrotolato e anche spazzolato? Non abbiamo dati sperimentali, ma intuitivamente supponiamo che la percentuale di perdita di polline sia molto maggiore, nello stesso lasso di tempo.
06. L’equivoco dello spettro pollinico
Per Frei non vi sono dubbi sul fatto che i granuli di polline presenti sulla Sindone di Torino sono stati trasportati dal vento sul telo, quando la stessa Sindone si trovava esposta all’aria nelle diverse zone (Palestina, Edessa, Costantinopoli, Francia, Italia). Tale sicurezza gli deriva da considerazioni che egli fa sullo spettro pollinico dei pollini ritrovati sulla Sindone:
«Il Lenzuolo deve aver soggiornato in Palestina o in Turchia, poiché le piante che crescono in quelle
zone, comprese le specie mediterranee, sono dominanti nello spettro pollinico» [Frei 1983, p.279].
In realtà Frei, nonostante questa sua affermazione, non ha mai valutato lo ‘spettro pollinico’ dei granuli reperiti sulla Sindone. Per spettro pollinico infatti s’intende il complesso dei valori percentuali di ogni tipo di polline presente nel materiale esaminato, così come chiaramente precisato nel manuale di palinologia citato da Frei nel 1979:
«In pollen analysis the term “pollen spectrum” is used for percentage composition of the pollen
data of a particular sample» [Erdtmann, p.121].
(Nell’analisi dei pollini il termine ‘spettro pollinico’ è usato per indicare la composizione percentuale dei
pollini in un determinato campione).
Da allora a oggi il significato non è mai cambiato:
«Una volta che si dispone dei dati dell'analisi pollinica, questi possono essere espressi come valori di
presenza percentuale per ogni tipo, ottenendo il cosiddetto spettro pollinico» [Guido].
Così, ogni volta che in letteratura botanica troviamo citato uno spettro pollinico ci imbattiamo sempre in una tabella, in cui i tipi di polline sono indicati con il loro nome e con le percentuali di ciascun tipo. Anche in due articoli, citati da Frei nel suo scritto del 1979, riguardanti pollini recenti trovati nei sedimenti lacustri di Palestina, quando si parla di spectre pollinique o di pollen spectra si fornisce uno schema della frequenza di ciascun tipo di polline nel sedimento [Rossignol 1969, p.26; Horowitz 1969, p.371].
Frei invece si è limitato a produrre un elenco dei nomi dei vari tipi di polline, senza alcun accenno alle percentuali di ciascun tipo. Anzi, nell’articolo del 1979 Frei aveva auspicato che in futuro venissero svolti ulteriori studi sui pollini sindonici per valutare statisticamente la frequenza delle varie specie, a riprova del fatto che lui non l’aveva valutata [Frei 1979, p.199]; invece nell’articolo del 1983, egli escluse la prospettiva di ulteriori studi da parte sua sul polline sindonico e annunciò che ormai si stava dedicando ad altri temi:
«Per terminare, mi permetto di aggiungere che, secondo la mia opinione, lo studio palinologico della
Sindone non ci riserva più grandi sorprese … Per questa ragione il mio interesse è diretto verso altre due
reliquie importantissime» [Frei 1983, p.283].
Considerati il libro e gli articoli da lui citati, non possiamo pensare che Frei si sia confuso nell’usare il termine spettro pollinico, termine che come abbiamo visto è pressocché identico anche in altre lingue; ciononostante egli ha chiamato spettro pollinico il suo elenco di tipi di polline e ne ha tratto conclusioni che si potevano trarre solo dallo studio di un vero e completo spettro pollinico. Infatti i tipi di polline che Frei elenca, potrebbero essere rappresentati ognuno da un solo granulo, oppure da mille o più, ed evidentemente non avrebbero lo stesso valore: un singolo granulo può essere una contaminazione eccezionale dovuta a svariate cause, la presenza di mille granuli indica sicuramente che il telo è stato a contatto con la pianta in questione o è stato esposto nelle sue immediate vicinanze.
Frei, dopo aver chiamato spettro pollinico ciò che non lo è, lo considera alla stregua di un vero spettro pollinico e ne trae delle conseguenze assolutamente indebite.
07. I pollini sindonici possono provenire da inquinamento?
Un’altra frase di Frei è veramente rimarchevole per la più completa mancanza di corrispondenza con la realtà:
«Escludo una contaminazione con polvere portata da pellegrini o da uccelli migratori, poiché questi non
avevano occasione di entrare in contatto con la Sindone» [Frei 1983, p.279].
Passi per gli uccelli migratori, che difficilmente si potevano posare su di un telo circondato da folle acclamanti (però alcuni granelli di polline avrebbero potuto staccarsi da un uccello in volo e, portati dal vento, depositarsi non visti sulla Sindone). Passi per il fatto che Frei trascura la possibilità di trasporto di pollini da parte di insetti migranti. Ma sostenere che nel corso dei secoli nessun pellegrino ha mai potuto toccare di persona o toccare con un suo oggetto la Sindone, è una affermazione risibile. Bastano pochi esempi recenti per contraddirla clamorosamente.
La stessa notte in cui Frei prese per la seconda volta i campioni del materiale superficiale della Sindone, nell’ottobre 1978, si racconta sia successo un fatto interessante dal punto di vista della possibilità per i pellegrini e per i loro oggetti di toccare la Sindone:
«That evening, a few very tired researchers returned to the hotel, where they sat in the lobby, drinking
coffee. A lady approached them diffidently. She was from some English-speaking country, and she asked,
“May I talk to you?” … Would it be possible, she inquired, for her do send some flowers to the Shroud?
It was an unusual request … One team member told the woman to bring the flowers to the outside guard
and be sure to ask for the STURP man, who would be on duty for the next thirty-six hours … Shortly
after, the bouquet arrived, and the roses were duly picked up by the scientist and placed in a breaker
of water next to the Shroud. Within a day, the roses began to wilt, and the investigator was about to
throw them out when he had a thought. He discarded all but one, which he touched to the cloth and
later brought back to the hotel. There he sought out the lady, told her what he had done, and
presented her with the rose. She became transformed. Her sorrow-etched face became radiant
with joy …
Not only this woman but all the clerics and Turinese university personnel who came into contact with
the Shroud invested with special meaning the act of touching it with some object – with an hand kerchief,
a card, or some postage stamps. It was as though they felt that something mystical might be transferred
from the cloth to the touched object. Or perhaps it was merely a souvenir. I would discover later that
this was more the rule than the exception. It was to have considerable significance» [Heller, pp.114-115].
(Quella sera dei ricercatori esausti ritornati in albergo, stavano bevendo un caffè nella hall. Una signora, proveniente da
chissà quale paese anglofono, si rivolse a loro con esitazione: “Posso parlarvi?” … Voleva sapere se era possibile
far pervenire dei fiori alla Sindone. Era una richiesta inaspettata … Un membro dell’équipe disse a quella signora di
consegnare i fiori al piantone di guardia all’esterno e chiedergli di chiamare uno degli scienziati che si sarebbero trovati
al lavoro per il prossimo periodo di 36 ore… Dopo poco il mazzo di fiori arrivò e delle rose furono sistemate dallo
scienziato vicino alla Sindone in un vaso con l’acqua. Il giorno dopo le rose erano appassite. Il ricercatore si
accingeva a buttarle via, ma, ripensandoci, ne conservò una con la quale toccò il sudario. Quando tornò all’albergo,
cercò la signora e le fece dono della rosa, raccontandole il suo gesto. Il viso di lei, prima triste, divenne raggiante.
Con gli occhi pieni di lacrime, ringraziò balbettando. Poco importa quali fossero le sue motivazioni, quella signora lasciò
Torino con il cuore pieno di allegrezza.
Non solo per quella signora, ma anche per gli ecclesiastici e per il personale dell’Università di Torino, il fatto di
toccare la Sindone con un oggetto qualunque, fazzoletto, carta, francobollo ecc., assumeva un significato tutto
particolare, come se un qualcosa di mistico venisse trasmesso dalla Sindone all’oggetto che l’aveva toccato.
O forse si trattava per loro soltanto di un souvenir. Questa abitudine, come scoprii in seguito, aveva delle conseguenze).
«There were brief closing ceremonies. A priest said a prayer, bent, and kissed the Shroud.
Brooks, a Presbyterian, waited till he was alone with the cloth, and he kissed it too» [Heller, p.118].
(Dopo una breve cerimonia di conclusione, un prete disse una preghiera, s’inchinò e baciò la Sindone. Brooks,
che era presbiteriano [uno scienziato dello STURP], attese di essere solo per fare lo stesso).
L’autore che racconta questi episodi è il biochimico John Heller, che ha avuto modo di parlare a lungo con tutti gli scienziati dello STURP, dopo che avevano lavorato a Torino nell’ottobre 1978. Egli insiste su questo punto, nel suo libro, in quanto vuole spiegare il ritrovamento tra i reperti sindonici del materiale più strano, anche moderno. Infatti sullo stesso libro, egli conclude l’argomento con le seguenti osservazioni:
«From history we knew that untold thousands of hands, both clean and grubby, had touched and fondled it.
It had been kissed by innumerable people, both clean-shaved and with beard and moustaches.
We had discovered that it was not unusual for over 90 percent of the people who have access to the
Shroud to touch something personal to its surface. STURP members knew of postage stamps and
pictures that had touched its surface. One cleric had taken out a stained cotton kerchief and
placed it on the Shroud. According to the cleric, he had kept the kerchief, unlaundered, in his pocket
since he had used it to touch the Holy Sepulcher in Jerusalem years before. Untold bizarre materials
must have had contact with the Shroud’s surface» [Heller, p.177].
(Sappiamo che nel corso della storia migliaia di mani, pulite o sporche, hanno toccato e accarezzato la Sindone.
Un numero incalcolabile di persone, visi rasati, barbuti o con baffi, l’hanno baciata. I membri dello STURP sono
venuti a sapere, inoltre, che più del 90 per cento di coloro che avevano accesso alla Sindone, la toccavano con
oggetti personali, quali francobolli e santini. Un ecclesiastico vi aveva depositato sopra un fazzoletto macchiato,
che egli non aveva più lavato e che aveva tenuto in tasca dopo che, negli anni passati, era stato a contatto con il Santo
Sepolcro di Gerusalemme. Quanti altri oggetti, più o meno bizzarri, sono stati a contatto con la Sindone?).
Anche altri autori hanno raccontato particolari degli avvenimenti verificatisi durante le giornate di lavoro degli scienziati sulla Sindone di Torino nell’ottobre 1978. Da questi racconti, riportiamo un episodio riferito da Giovanni Riggi, molto interessante ai fini delle considerazioni fatte finora:
«Sempre durante l’esecuzione dei tests, potei assistere alla sovrapposizione di un telo alla S. Sindone
eseguita da Mons. Cottino per conto di un a me ignoto Ente Religioso: infatti secondo una tradizione
centenaria, un telo dipinto a somiglianza del vero viene esattamente appoggiato per qualche istante sul
vero Lino per acquisirne in qualche modo sacralità e devozione. Ciò fu compiuto con cura dai membri
religiosi della Commissione di Vigilanza sotto l’occhio alquanto preoccupato dei visitatori presenti a
causa del possibile inquinamento che la sovrapposizione avrebbe indubbiamente potuto
successivamente dimostrare. Questa operazione può forse spiegare il ritrovamento nelle polveri
di piccole particelle di origine incerta e legate in qualche modo a pigmenti colorati per pittura»
[Riggi 1982, p.185].
Se ipotizziamo che i teli sovrapposti abbiano trasmesso alla Sindone di Torino delle particelle di pigmento colorante, a maggior ragione possiamo sospettare che abbiano trasmesso dei granuli di polline. Possiamo escludere a priori che una o più di queste tele sovrapposte siano state prodotte o comunque abbiano soggiornato in Palestina o in Turchia? Che abbiano accumulato su di sé dei pollini provenienti da chissà dove che poi hanno trasmesso alla Sindone? La domanda naturalmente è retorica: conosciamo alcuni episodi in cui una tela è stata sovrapposta alla Sindone, ma di nessuna di queste tele conosciamo l’esatta provenienza. Probabilmente di molti analoghi episodi non ci è stato trasmesso neanche il ricordo.
Addirittura non abbiamo modo di escludere che, nel corso dei secoli, dei fiori, carichi di polline e provenienti da Terra Santa o Turchia, siano venuti direttamente a contatto con la Sindone, potendo in questo caso aver determinato una contaminazione massiva. Possiamo ben immaginarci, anzi, che più volte sia capitato che la Sindone sia stata toccata con dei fiori provenienti dalla Palestina o da altre regioni. In fondo raccogliere fiori durante i viaggi, in particolare nei pellegrinaggi, e conservarli in vari modi è una pratica nota e frequente. Lo stesso Autore che ha raccontato l’episodio della rosa che ha toccato la Sindone, ci ha fatto sapere che sua moglie conservava un libretto in cui erano raccolti fiori provenienti dalla Terra Santa nel 1925 [Heller, p.131].
Io stesso ho trovato in vendita e acquistato su una bancarella in Livorno e nel sito internet di eBay alcuni santini composti da fiori della Terra Santa incollati su un pezzetto di carta, risalenti ai primi decenni del XX secolo. Uno di essi reca la scritta “Fiori di Terra Santa posati sul S. Presepio”; dato che tale scritta è in italiano, il più famoso ‘Santo Presepio’ esistente in Italia si trova nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Roma. Cioè fiori provenienti dalla Terra Santa sono stati messi a contatto con una reliquia conservata a Roma. Possiamo essere ragionevolmente sicuri che la stessa cosa si sia verificata per la Sindone di Torino.
L’affermazione di Frei pertanto risulta assolutamente infondata e rimane difficile credere che Frei non conoscesse queste usanze, ma quand’anche fosse, viene spontaneo porci una domanda (retorica): come può uno scienziato pronunciare affermazioni categoriche su un argomento che non conosce?
Anche un’altra affermazione di Frei a proposito dell’origine dei pollini è assolutamente illogica:
«Lascio aperta la possibilità che una parte del polline provenga dalla fabbricazione del tessuto e forse
pure dalle sostanze aromatiche come l’aloe usate per i procedimenti funerari o dalla pelle umida
del corpo avvolto. Ma sicuramente i pollini posteriori sono di origine eolica durante le ostensioni»
[Frei 1979, p.197].
Quanta parte del polline, secondo Frei, può derivare dalla fabbricazione del tessuto? L’uno per cento o il 99? Frei non precisa e ovviamente nessuno sarebbe in grado di rispondere a una simile domanda. Pertanto la presenza dei pollini mediorientali, qualora fosse realmente accertata, non ci potrebbe dire nulla in merito ai viaggi e alle ostensioni della Sindone di Torino dopo la formazione della figura: tali pollini potrebbero risalire alla fabbricazione e ai viaggi compiuti dalla Sindone prima del suo uso definitivo. Infatti si può ben immaginare un tessuto di lino fabbricato in Turchia e inviato a Gerusalemme per essere venduto e poi trasferito in Francia o viceversa fabbricato in Palestina, in viaggio attraverso la Turchia fino a Istanbul e da qui trasferito in Europa fino alle grandi fiere della Champagne dove, magari a Troyes, è stato acquistato dall’artista che ha prodotto l’immagine.
Se Frei parla di ‘pollini posteriori’ alla fabbricazione, come può essere in grado di distinguerli? Perché afferma che ‘sicuramente i pollini posteriori sono di origine eolica durante le ostensioni’? Secondo il parere recente di molti Sindonisti, i pollini sulla Sindone di Torino provengono da fiori che sono stati appoggiati, per devozione, direttamente sulla Sindone stessa [Maloney 1990, pp.5-6; Wilson 2000, p.84]. Non vi è modo di distinguere pollini trasportati dal vento da pollini caduti da fiori appoggiati. E se alcuni (o molti) pollini provengono da fiori appoggiati direttamente sopra la Sindone, non vi è alcun criterio per stabilire dove fosse la Sindone quando i fiori vi sono stati appoggiati. Raccogliere fiori in Medio Oriente e poi dedicarli alla Sindone di Torino è un’azione che potrebbe benissimo essere stata compiuta da qualcuno dei milioni di pellegrini che nel corso dei secoli hanno visitato i luoghi santi e le più famose reliquie.
Fig.2
Santini-Reliquie composti da fiori incollati su cartoncini. La dichiarata pretesa che il fiore o il santino per intero sia stato messo a contatto con il Santo Sepolcro di Gerusalemme trasforma l’oggetto in una vera e propria reliquia per contatto. Acquistati su una bancarella di libri a Livorno nel 2010.
Santini-Reliquie composti da fiori incollati su cartoncini. La dichiarata pretesa che il fiore o il santino per intero sia stato messo a contatto con il Santo Sepolcro di Gerusalemme trasforma l’oggetto in una vera e propria reliquia per contatto. Acquistati su una bancarella di libri a Livorno nel 2010.
Fig.3
Santini-reliquie con fiori di Terra Santa, acquistati recentemente su eBay, provenienti da paesi diversi. Dimostrano l’enorme diffusione dei fiori di Terra Santa in tutto il mondo e rendono priva di valore la dichiarazione di Frei che i pellegrini non possano aver inquinato la Sindone dopo il 1355.
08. False analogie tra pollini sindonici e pollini fossili di 2000 anni fa
Nel corso del convegno del 1981 e nella successiva pubblicazione degli atti (1983), Frei ha sostenuto che i pollini da lui trovati sulla Sindone corrispondevano, in larga misura, ai pollini trovati nei sedimenti palestinesi risalenti all’epoca di Gesù.
Ripercorrendo la storia di questa sua pretesa scoperta, cominciamo dall’articolo del 1976:
«Il polline più frequente sul Lenzuolo è identico al polline più frequente nei sedimenti del lago di Genezaret
negli strati sedimentati duemila anni fa» [Frei 1976, p.8].
Questa affermazione era priva di riscontri, non avendo l’articolo riferimenti bibliografici. Poi nel 1979 c’è una sua dichiarazione in proposito, analoga anche se più indeterminata:
«Infatti lo studio del polline fossile nei sedimenti alluvionali, lacustri (lago di Tiberiade) e marini
(Mare Morto) eseguito fra gli altri da A. Horowitz e M. Rossignol conferma che queste specie erano
presenti in queste zone pure ai tempi di Cristo e anche prima e dopo» [Frei 1979, p.199].
Nella bibliografia allegata all’articolo troviamo tre riferimenti ad articoli su pollini nei sedimenti palestinesi [Horowitz 1969, Rossignol 1969 e Vita-Finzi].
Nel 1983 Frei si comportò in maniera ancora diversa per fare il confronto tra i pollini sindonici e i pollini fossili di 2000 anni fa, cioè ha evitato di citare dei lavori specifici di altri ricercatori:
«Alcuni degli elenchi, pubblicati dall’Università di Tel Aviv, di pollini estratti dal fondo del Mar Morto o
dal lago di Genezaret contengono molti nomi identici alle liste da me pubblicate nel 1978 del polline
sindonico» [Frei 1983, p.279].
Sfogliando gli articoli citati da Frei nel convegno del 1978, ci accorgiamo subito che quanto da lui sostentuto non corrisponde a nulla di quanto vi si può leggere. Esaminiamoli con ordine.
Martine Rossignol nel 1969 ricevette campioni di dragaggi effettuati nel 1967 in sei punti del Mar Morto. In tutti e sei i punti i dragaggi avevano prelevato solo fango superficiale; solo in uno di essi era stato effettuato un carotaggio, prelevando sedimento a una profondità tra 15 e 30 cm. Su questo punto del Mar Morto, Rossignol ha calcolato, con datazioni al C14, una velocità di sedimentazione del fango sul fondo di circa 0,1 cm ogni anno: pertanto il sedimento tra 15 e 30 cm di profondità si era depositato in un periodo compreso tra i 150 e i 300 anni precedenti il momento del prelievo [Rossignol 1969, pp. 26, 32].
Aharon Horowitz nel 1969 raccolse campioni in 14 punti del fondo del Lago Kinneret (Lago di Genezaret o Mar di Galilea o Lago di Tiberiade), per mezzo di una draga che affondava soltanto per alcuni centimetri nel sedimento del fondo. È ovvio che il suo materiale di studio si era depositato negli anni immediatamente precedenti al prelievo.
Vita-Finzi e Dimbleby nel 1971 analizzarono i pollini in un campione prelevato da un deposito alluvionale nella Valle del Giordano, esattamente lungo il Wadi Kofrein. Tramite la stratigrafia dei reperti archeologici e le datazioni al C14, gli Autori determinarono che quello strato alluvionale si era depositato tra il 490 d.C e il 1400.
Delle specie elencate da Frei nel suo articolo del 1979, 5 specie compaiono nell’elenco di Rossignol (Artemisia herba-alba, Cupressus sempervirens, Poterium spinosum, Prosopis farcta e Zygophyllum dumosum) e solo 2 nomi corrispondono a quelli elencati da Horowitz (Poterium spinosum e Scabiosa prolifera). Nessuna corrispondenza esiste con il lavoro di Vita-Finzi e Dimbleby. Quindi nessuno dei tre articoli tratta o accenna a pollini di 2000 anni fa o precedenti.
In proposito, nel suo articolo del 1976, Frei aveva fatto una osservazione più precisa e ancora più irrealistica:
«Il polline più frequente sul lenzuolo è identico al polline più frequente nei sedimenti del lago di Genezaret
negli strati sedimentati duemila anni fa» [Frei 1976, p.8].
Però egli non ha mai contato i pollini sulla Sindone né ha mai detto quanti ce n’erano di ciascun tipo. Quindi non ha mai detto e non poteva sapere qual è il polline più frequente sul lenzuolo.
Come ha potuto Frei concludere con la sua affermazione ‘queste specie erano presenti in queste zone pure ai tempi di Cristo e anche prima e dopo’ se non cita nessun lavoro in cui si riportano i dati dei pollini relativi al I secolo d.C. e agli anni precedenti? Esiste in realtà un motivo per cui Frei non cita tali lavori: essi fino al 1978 non esistevano. Dice infatti espressamente Horowitz nel suo articolo del 1969:
«No palynological study has been made in the inland basins except for some sporadic analyses»
[Horowitz 1969, p.353].
(Nessuno studio dei pollini è stato effettuato sui bacini interni, eccetto qualche sporadica analisi).
Per trovare lavori successivi sui pollini di sedimenti in Palestina, occorre arrivare alla metà degli anni ’80. Li esamineremo fra poco. Risulta inevitabile a questo punto concludere che Frei ha volutamente travisato gli articoli citati, facendo credere che si trattava di analisi dei pollini risalenti all’epoca di Gesù, mentre tale epoca non era per niente interessata in quegli scritti. Non si può dire che Frei si sia sbagliato o si sia espresso male su questo punto: ha mentito.
Nell’articolo di Frei del 1983 non vi è alcuna bibliografia. Chi vuole difenderlo a tutti i costi ha già la scusa pronta: la morte improvvisa e prematura dello scienziato gli ha impedito di concludere il suo lavoro, pubblicato postumo. Due sono le risposte: il convegno cui l’articolo si riferisce è stato nel 1981 e per quella data il lavoro avrebbe dovuto già essere pronto; secondo, se per qualsiasi motivo il lavoro non era pronto, non avrebbe dovuto essere pubblicato. Troppo facile presentare lavori in queste condizioni, spacciandoli per scientifici.
Tentando di andare più a fondo, il tipo di espressione, ‘elenchi pubblicati dall’Università’ potrebbe fare riferimento a lavori non ancora dati alle stampe.
Dato che nel precedente convegno del 1978 e nei relativi atti pubblicati nel 1979 si faceva riferimento ad articoli dove non compariva assolutamente nulla di ciò che Frei diceva avervi trovato, si potrebbe sospettare che questa volta Frei abbia volontariamente omesso qualsiasi riferimento controllabile, in modo da non poter essere smentito. Troppo facile scrivere articoli scientifici con queste modalità.
Riguardo agli ‘elenchi, pubblicati dall’Università di Tel Aviv, di pollini estratti dal fondo del Mar Morto o dal lago di Genezaret’, possiamo affermare che forse tali elenchi esistevano realmente, anche se non ancora pubblicati, così come esistevano veramente gli articoli citati da Frei nel suo precedente lavoro, anche se non contenevano nulla di ciò che egli affermava. Infatti nel 1979 in Israele si dette il via a un progetto di carotaggio del fondo del Lago di Kinneret (Genezaret), con raccolta di sedimenti interessanti epoche comprese tra il 3300 a.C e il 1750 d.C. Due di queste carote di sedimenti furono sottoposte anche all’analisi pollinica. I risultati furono pubblicati dal 1984 in poi, ma non si può escludere che degli elenchi di pollini, manoscritti e provvisori, girassero già da prima tra gli specialisti dell’Università di Tel Aviv.
Uri Baruch, che abbiamo già incontrato (Cap.3), fu uno di coloro che studiarono i pollini di una di queste carote. [Baruch]. Egli divise la sua carota in tre zone e sei sottozone e per ognuna di esse tracciò lo spettro pollinico. La zona di carota da lui denominata ‘Y’ fu datata a un periodo compreso tra il 350 a.C. e il 550 d.C.
Per i pollini arborei di questo periodo, Baruch sottolineò l’abbondanza di Vitis (assente nei pollini di Frei), Olea (assente negli elenchi di Frei), Quercus (assente nei pollini di Frei), Salix (assente nei pollini di Frei), mentre i pollini di Pistacia (presente nei pollini di Frei) e Cupressus (presente nei pollini di Frei) si erano ridotti molto rispetto alle epoche precedenti. Riguardo alle specie non arboree, la maggior frequenza spettava a Cerealia (assente nei pollini di Frei), e Artemisia (presente nei pollini di Frei).
Se Frei avesse realmente confrontato i risultati di questo carotaggio con il suo elenco, avrebbe dovuto concludere, come dobbiamo fare noi, che i pollini trovati sulla Sindone di Torino non vi sono stati depositati in Palestina 2000 anni fa: le assenze di pollini essenziali per supporre una coincidenza degli spettri pollinici sono troppo significative. Questo naturalmente ammettendo che i pollini depositati su un tessuto lasciato all’aria per 2000 anni possano conservarsi, la qual cosa appare veramente improbabile, come abbiamo già visto (Cap.5).
Esistono quindi due possibilità in merito a quest’ultima affermazione di Frei: o egli ha mentito e in realtà non ha visto nessun elenco oppure ha mentito perché da un confronto che esclude ogni analogia fra i due elenchi di pollini egli invece ne ha tratto una conclusione di identità, come già aveva fatto con gli elenchi di Rossignol,
Horowitz e Vita-Finzi.
09. L’arrivo di Frei nel mondo della Sindone e il prelievo del 1973
Torniamo ora un po’ indietro nel tempo e raccontiamo come Frei ha iniziato a interessarsi alla Sindone di Torino. Aurelio Ghio (Torino 1925, vivente), già docente dell’università di Torino e perito del tribunale in qualità di esperto calligrafo e balistico, autorevole esponente del Centro Internazionale di Sindonologia (CIS) di Torino, fu incaricato di partecipare a una commissione con il compito di «effettuare accertamento tecnico sulle pellicole fotografiche e relative stampe eseguite dal Sig. Giovan Battista Judica Cordiglia [nel 1969]» [Commissione Pellegrino, pp.26-30].
Ghio aveva da ‘sempre’ collaborato con Frei e si considerava il suo ‘portavalige’. Secondo le sue stesse dichiarazioni, da Frei aveva appreso:
«tutte quelle discipline che poi divennero il mio mondo di lavoro» [Ghio 1986, p.115].
Fu proprio Ghio, nel 1973, a proporre di inserire Max Frei nella commissione di periti per l’autentificazione delle foto di G.B. Judica Cordiglia, come ha scritto Coero Borga nel 1983:
«Lo aveva presentato Aurelio Ghio, che con lui aveva condiviso tante udienze nei tribunali; dobbiamo tutti
essere riconoscenti al Ghio per quella segnalazione che si è rivelata tanto felice» [Coero Borga, p.XI].
Alla fine la commissione fu formata da tre periti: Aurelio Ghio, Max Frei e Roberto Spigo. Essa esaminò le foto, le confrontò accuratamente con la Sindone stessa e infine, il 4 ottobre 1973, diede parere positivo in merito alla corrispondenza tra le foto esaminate e quanto si osservava sulla Sindone stessa [Commissione Pellegrino, p.26]. In quel momento la Sindone si trovava, in via provvisoria, nella ‘Sala degli Svizzeri’ del Palazzo Reale di Torino, rinchiusa in una cornice, e fu qui che ebbe luogo la ricognizione dei periti [Commissione Pellegrino, p.27]. Durante l’esame della Sindone, Frei si rese conto della presenza sulla superficie del telo di abbondanti particelle di polvere e, da esperto in microtracce, chiese il permesso per effettuare un prelievo di quella polvere e il suo successivo esame [Wilson 1978, p.61].
Ottenuto il permesso da parte del cardinale di Torino, Michele Pellegrino, Frei insieme a Ghio tornò dalla Sindone, che era tenuta in quel momento in cornice appesa verticalmente in occasione di una esposizione dedicata solo alla televisione e ai giornalisti, e nella notte tra il 23 e il 24 novembre 1973 eseguì i suoi prelievi.
Frei dichiarò di essersi servito per tale operazione di nastri adesivi speciali, senza precisare di che tipo, in numero di 12, per una superficie totale di cm2 , quindi ogni pezzo di nastro misurava in media 20 cm2 .
Ogni pezzo di nastro veniva messo “in contatto con la superficie con leggera pressione” e poi veniva ripiegato su se stesso, per escludere “perdite di materiale o contaminazioni secondarie” [Frei 1979, p.191].
I punti della Sindone interessati dal prelievo furono le parti inferiori del telo, là dove si poteva arrivare alzando e allungando le braccia, dato che la Sindone era esposta attaccata alla parete in verticale. Queste parti, secondo l’usuale suddivisione in zone della mappa sindonica proposta da R. Gervasio nel 1978 [Gervasio], sono definite 1A-2A e 1D-4D [Frei 1979, p.191]. Con le lettere maiuscole dalla A alla D si indicano le quattro strisce verticali in cui si considera divisa la Sindone, la striscia A è la prima striscia a sinistra per chi guarda e D è l’ultima striscia a destra. Con i numeri arabi da 1 in su si indicano delle strisce orizzontali a partire dai piedi della figura frontale. La striscia orizzontale 4 corrisponde alla zona degli avambracci nella figura frontale. Data la posizione verticale della Sindone, in quella notte era impossibile per Frei raccogliere campioni più in alto, senza servirsi di un adeguato supporto elevatorio.
Ian Wilson, che intervistò a lungo Frei e compì dei viaggi insieme a lui, pur non essendo stato presente nel 1973, descrive così il prelievo effettuato da Frei:
«His method was absurdly simplex: He pressed small pieces of clean adhesive tape onto the surface of the
linen, then sealed these into plastic envelopes and put them into the modest satchel that he carries constantly
with him» [Wilson 1978, p.61].
(Il suo metodo era estremamente semplice. Premeva piccoli pezzi di nastro adesivo pulito sulla superficie del lino, poi li sigillava dentro buste di plastica e li riponeva nella modesta borsa che portava costantemente con sé).
Per due anni e mezzo non si seppe più niente del suo lavoro.
10. Il clamoroso annuncio del 1976
Agli inizi del 1976 la Sindone stava tornando argomento di moda a Torino. Per il 3 aprile infatti era prevista una grande esposizione sul tema, alla cui inaugurazione doveva presenziare anche monsignor Giulio Ricci, famoso teologo e sindonista. Inoltre era attesa da un momento all’altro la pubblicazione del rapporto scientifico redatto dalla commissione incaricata di studiare la Sindone (Commissione Pellegrino), che aveva operato dal 1969 al 1973 e aveva annunciato di lì a poco la consegna alle stampe dei suoi risultati [Gazzetta del Popolo 21 marzo 1976].
Frei battè tutti sul tempo. Il 3 marzo 1976, per la prima volta, il nome di Max Frei e i risultati delle sue ricerche furono comunicati al grande pubblico, nel corso del programma radiofonico, ‘Sunday’, andato in onda sulla stazione ‘Radio 4’ della BBC:
«[Frei] was able to verify that there were specks of pollen present from Constantinople … and from plants
known to have grown in Palestine some twenty century ago» [Sox, p. 87].
(Frei fu in grado di accertare che c’erano granuli di polline provenienti da Costantinopoli e da piante che crescevano in Palestina venti secoli fa).
Poi il giorno 8 marzo 1976 Frei spedì a La Stampa di Torino un comunicato in cui si annunciavano i suoi primi clamorosi risultati. Di tale comunicato non siamo riusciti a rintracciare la versione integrale, ma La Stampa del 20 marzo 1976 ne pubblicò ampi stralci, riportando tra virgolette quelli che si intende essere brani originali del comunicato stesso:
«Non so se nel lenzuolo è stato avvolto il cadavere di Gesù Cristo e se si tratta dello stesso lino di cui si parla nel Vangelo. Posso però affermare con certezza che quella stoffa risale all’epoca di Cristo e che è stata esposta in Palestina, Turchia, Francia e infine in Italia a Torino …».
«In occasione della ostensione della Sindone tre anni fa, quale membro della commissione scientifica che doveva autenticare le fotografie scattate alla reliquia nel 1969, mentre stavo studiando il tessuto per confrontare le strutture originali con quelle impresse nelle fotografie, mi accorgevo che sulla tela non c’erano soltanto le impronte note ma c’erano anche tracce di minutussimo pulviscolo di origine ignota e antica. Proponevo l’indagine di quei granelli, ottenendo poco tempo dopo il benestare per il prelievo di alcuni campioni …».
«Il metodo da me usato si basa sulla analisi di campioni di polline prelevati dalla Sindone, trattati prima al microscopio e poi con particolari reagenti chimici, quindi “comparati” con altri microfossili d’uguale epoca …».
«Era soprattutto importante isolare i tipi di piante che mancano nell’Europa Occidentale, stabilire il luogo
in cui crescono, la antichità dei granelli di polline rintracciati nel tessuto e confrontare le loro caratteristiche
con reperti dello stesso luogo geografico e di uguale datazione …».
«La presenza di polline appartenente a ben sei specie di piante palestinesi e di una pianta della Turchia,
oltre a otto specie mediterranee, già oggi prima di nuovi prelievi e prima di terminare l’identificazione di
tutti i microfossili, permette di concludere definitivamente che la S. Sindone non è una mistificazione.
Zurigo 8 marzo 1976» [Stampa 20 marzo 1976, p.5].
La notizia della ‘prova scientifica’ inconfutabile dell’autenticità della Sindone fece rapidamente il giro del mondo.
E girando, si ingigantì. La curiosità, negli ambienti interessati, salì al massimo livello e molti si saranno posti una serie di domande. Come aveva fatto Frei, durante l’esame della Sindone nel 1973, magari guardando al microscopio, ad accorgersi che ‘c’erano anche tracce di minutissimo pulviscolo di origine ignota e antica’? Sicuramente aveva messo a punto un metodo per distinguere a vista le particelle di pulviscolo, anche se ignote, fra recenti e antiche. Come aveva poi proceduto per stabilire ‘la antichità dei granelli di polline rintracciati nel tessuto’ e poterli così confrontare ‘con reperti dello stesso luogo geografico e di uguale datazione’?
Per mettere un freno alle fantasie che si andavano diffondendo nei giorni seguenti alla pubblicazione del comunicato stampa di Frei, il Centro Italiano di Sindonologia (CIS) richiese e ottenne da Frei una relazione ufficiale sullo stato dei suoi studi, anche se ancora non completati. Questa prima relazione di Frei fu pubblicata nel numero di aprile 1976 della rivista Sindon (non sappiamo però la data di stampa effettiva del fascicolo), con un riassunto introduttivo a opera dei responsabili del CIS. Ecco le frasi di apertura di tale riassunto introduttivo, ripetuto in cinque lingue diverse, cosa che presupponeva la sua diffusione in tutto il mondo:
«Il nome di Max Frei è in questi giorni sceso dalle vette delle riviste specializzate per comparire sui
giornali di informazione a vasta tiratura sia italiani che stranieri. Le informazioni giornalistiche, alimentate
anche da precisazioni dovute più a fantasia che a realtà, lo hanno indicato come il più valido paladino
della autenticità della Sindone, in nome di una nuova scienza che, come già tante altre, hanno dovuto
interessarsi alla Reliquia» [Frei 1976, p.5].
Nel breve articolo di Frei si trovano due affermazioni, che qui riportiamo senza commenti, in quanto le abbiamo già analizzate, seppure sotto altra forma, tratte da altri articoli. La prima è:
«La conservazione di detti granuli, avviene – allo stato secco – in maniera indefinita in quanto i granuli
sono avvolti in una pellicola molto resistente anche alla azione degli acidi, del calore, o di sostanze
caustiche» [Frei 1976, p.8].
La seconda affermazione, che costituiva la più clamorosa scoperta, è la seguente:
«Il polline più frequente sul Lenzuolo è identico al polline più frequente nei sedimenti del lago di Genezaret
negli strati sedimentati duemila anni fa» [Frei 1976, p.8].
Frei fa invece marcia indietro rispetto al comunicato stampa di un mese prima sulle illazioni riguardanti l’antichità del polline, precisando che le datazioni si possono evincere solo dallo studio stratigrafico dei depositi in cui il polline stesso è stato ritrovato:
«Nel caso che i granuli di polline si depositino su una superficie lacustre i granuli stessi possono immergersi
nel liquido fino al raggiungimento del fondo sedimentando con lo stesso.
Ad ogni successivo deposito di materiale corrispondente ad un’era temporale si hanno successivi depositi
di granuli che possono quindi essere riportati (e rapportati) ad una datazione precisa» [Frei 1976, p.8].
Notiamo anche che a questa data Frei non fa nessun accenno all’uso del microscopio elettronico, che pure, come abbiamo già rilevato, in seguito dirà essere pratica indispensabile per determinare la specie dei singoli granuli. Il riassunto iniziale spiegava come, a seguito di clamorose notizie giornalistiche ‘dovute più a fantasia che a realtà’, quel Centro abbia “ritenuto opportuno pregarlo di stendere queste note che danno la esatta situazione del suo studio” [Frei 1976].
In conclusione, Frei e i curatori della rivista Sindon sembrano accusare i giornalisti di essersi inventati un metodo inesistente per datare i pollini, al di fuori della stratigrafia. I giornalisti de La Stampa hanno riportato il discorso tra virgolette, come se quelle fossero state le esatte parole di Frei. Ci si domanda a questo punto se un comunicato stampa da parte di Frei, con quelle frasi e datato ‘Zurigo 8 marzo 1976’ sia mai esistito e, se non è mai esistito, per quale strano motivo i giornalisti della Stampa abbiano sentito la necessità di inventarselo.
11. I viaggi di Frei e il documentario ‘The silent witness’
a - Formazione del trio Rolfe – Wilson - Frei
Agli inizi del 1976 David Rolfe, di Londra, lavorava nel mondo della televisione e aspirava a diventare produttore televisivo. Gli era capitato fra le mani il copione di un progetto di documentario televisivo riguardante la Sindone di Torino, scritto da Ian Wilson, dal titolo «He is risen … The story of the Holy Shroud of Turin». Wilson, laureato in storia, era all’epoca addetto ai servizi pubblicitari del quotidiano Bristol Evening Post, ma aveva ben altre aspirazioni. Da dieci anni stava raccogliendo documentazione e andava elaborando una teoria sulla Sindone di Torino: il Mandylion di Edessa, conosciuto fin dai primi secoli dell’era cristiana, non era altro che la Sindone di Torino conservata ripiegata in modo da lasciare visibile solo il volto dell’immagine. Le prove erano, secondo lui, l’identità tra il volto del Mandylion e quello della Sindone e il fatto che al Mandylion-Sindone faceva riferimento tutta l’iconografia relativa a Gesù dal VI secolo in poi. Wilson, a causa della natura della sua ricerca e a causa del suo matrimonio con una donna cattolica, si era convertito passando dall’agnosticismo al cattolicesimo [Rolfe, pp.9, 13,15-18, 21-24].
David Rolfe fu subito attirato dal progetto di Wilson, che fece proprio, e iniziò a spargere la voce di questa sua prospettiva. Venne a conoscere il nome di Max Frei perché un imprenditore texano, che aveva conosciuto l’anno precedente a Riyad, Arabia Saudita, in occasione di uno dei suoi viaggi di lavoro, gli inviò il ritaglio di un giornale di Houston, evidentemente un’eco del comunicato stampa datato ‘Zurigo 8 marzo 1976’, in cui si riferivano ‘prove’ che convalidavano il supposto itinerario percorso dal Mandylion-Sindone, secondo la teoria di Wilson.
Rolfe, che in seguito parlò a lungo con Frei, racconta che in quel momento Frei aveva intenzione di compiere dei viaggi di ricerca, finalizzati allo studio dei pollini sindonici, ma non aveva ancora potuto effettuarli:
«What he wanted to do now was to travel to those places and examine the local plants in order to see
how many of the unidentified pollens fell into these Eastern Mediterranean categories» [Rolfe, p.26].
(Ciò che egli voleva fare adesso era viaggiare per quei luoghi ed esaminare le piante locali allo scopo di vedere quanti dei pollini non identificati erano compresi in categorie del Mediterraneo orientale).
Così Rolfe scrisse a Frei e, ai primi di maggio 1976, i due si incontrarono brevemente all’aereoporto di Zurigo.
Frei accettò di partecipare al progetto di Rolfe, in cambio della copertura delle spese dei viaggi in Medio Oriente, necessari per completare il suo lavoro, oltre a un compenso:
«On the basis that David’s company would underwrite his expenses during his Middle Eastern journeys,
in addition to the fee, Dr Frei agreed to become one of the David’s growing team» [Rolfe, p.26].
(Con la condizione che la ditta di David si sarebbe accollata la spesa dei suoi viaggi in Medio Oriente,
oltre il compenso, il dr. Frei accettò di diventare un membro della squadra di David ancora in formazione).
Non sappiamo a quanto ammontasse il compenso promesso da Rolfe a Frei, ma, per farci un’idea, ricordiamo che egli pagò a Jumper e a Jackson, al momento del reclutamento per lo stesso documentario, duemila dollari [Heller, p.46].
Anche Wilson, venuto a conoscenza del lavoro di Frei per il tramite di Rolfe, volle incontrarlo e nell’estate 1976 si recò a Thalwil, il sobborgo di Zurigo dove il criminologo svizzero risiedeva, per discutere e accordarsi con lui [Wilson 2000, p.81].
b - Il viaggio di ricognizione e di studio
Dopo che il programmato documentario era stato finanziato da Harry John, un milionario americano, fervente cattolico, Rolfe, Wilson e Frei partirono per il loro primo viaggio:
«He [Rolfe] organised a journey of reconnaissance for Wilson and himself, taking Max Frei, too, in fulfilment
of the obligation he had undertaken to the Swiss criminologist. In November 1976, he and Wilson flew to
Istanbul, to rendezvous with Dr Frei at the Intercontinental Hotel» [Rolfe, p.52].
(Rolfe organizzò un viaggio di avanscoperta per Wilson e se stesso, portandosi dietro anche Frei, per adempiere
l’obbligo che si era assunto nei confronti del criminologo svizzero. Nel novembre 1976 egli e Wilson volarono a
Istanbul dove avevano appuntamento con Frei all’Hotel Intercontinental).
A Istanbul Frei si dedicò alla raccolta di pollini delle piante che crescevano sui muri dei monumenti e sui ruderi della città e dopo qualche giorno il trio si recò a Urfa (antica Edessa), dove Frei si dedicò alla raccolta di piante nei dintorni, per trovare una prova del passaggio del Mandylion-Sindone da quelle parti:
«Meanwhile, Dr Frei ranged the surrounding escarpments, happily collecting the specimens that would fill out
his chapter in the story of the Shroud» [Rolfe, p.59].
(Intanto il Dr. Frei girovagava per i dirupi lì intorno, felice di raccogliere campioni che avrebbero completato il suo capitolo
nella storia della Sindone).
La terza tappa di questo viaggio del trio, fu Israele. Anche qui Frei raccolse campioni e Rolfe decise che non vi sarebbero più tornati per fare le riprese del documentario, forse a causa di difficoltà incontrate al momento dell’ingresso, aggravate poi da un pericoloso episodio accaduto al momento del reimbarco. Avrebbero effettuato le riprese nel deserto attorno a Urfa (Edessa) facendo finta che fosse il deserto della Giudea:
«Even the researches of Max Frei could be duplicate for the film. The wilderness of Judaea, where the
Swiss scientist had been collecting his plants, looked little different from the landscapes to be found near
Urfa. The relevant sequence in the film could easily be shot there … The only person who might be sorry
was Max Frei. Not having been to Israel before, he reveled in this new playground. Once he had discovered
two or three varieties relevant to the film’s purposes, however, his work would hardly need to be repeated
in any detail» [Rolfe, p.63].
(Persino le ricerche di Max Frei potevano essere duplicate per il film. Il deserto della Giudea, dove lo scienziato svizzero aveva raccolto le piante, appariva poco diverso dai paesaggi che si potevano trovare vicino Urfa. La scena del film che
a esso si riferiva poteva con facilità essere girata là … L’unica persona che avrebbe potuto essere scontenta era Max Frei. Dato che non era mai stato prima in Israele, questo nuovo scenario era una festa per lui. Comunque una volta che ebbe scoperto due o tre varietà adatte agli scopi del film, difficilmente il suo lavoro avrebbe dovuto essere replicato in ogni dettaglio).
Con questo viaggio, Rolfe aveva assolto l’obbligo che si era assunto di finanziare i viaggi di studio di Frei:
«He [Rolfe] had fulfilled his obligation to Dr Frei and would soon receive in return the criminologist’s
definitive report. It was already clear that the field-trip had extended the favourable nature of Max Frei’s
evidence» [Rolfe, p.65].
(Egli aveva adempiuto ai suoi obblighi verso il Dr. Frei e avrebbe presto ricevuto in cambio la relazione definitiva del criminologo. Già era chiaro che quel viaggio sul campo aveva accresciuto le prove positive di Max Frei).
c - La relazione di Frei per Rolfe
Una volta tornati a casa, Frei si affrettò a stendere il rapporto sui risultati del viaggio, che era pronto già nei primi mesi del 1977:
«One direct consequence of the journey to the Middle East was that Dr Frei was at last able to finish his
report on the origins of the pollens he had found. He named five plants from the desert regions of the Holy
Land, two which grew habitually on the desert borders. Two of the pollens derived from plants that grew
in Turkey. In addition, there were spores from at least eight other Mediterranean plants» [Rolfe, p.67].
(Conseguenza diretta del viaggio in Medio Oriente fu che alla fine il Dr. Frei fu in grado di terminare la sua relazione sulla provenienza dei pollini che aveva trovato. Egli identificò cinque piante delle regioni desertiche di Terra Santa, due che crescevano abitualmente ai margini del deserto. Due dei pollini derivavano da piante che crescevano in Turchia. Inoltre, c’erano spore di almeno otto altre piante mediterranee).
Noi non abbiamo il testo del rapporto che Frei inviò a Rolfe, ne conosciamo solo un brano, in quanto citato da Rolfe nel suo libro. Scriveva in esso Frei:
«Apart from what we already know from historical sources about the displays at Torino, Vercelli and
Chambéry, which have left their traces, it is possible in the actual state of our knowledge to confirm
that the Shroud is contamined with pollen from desert plants growing in Israel, from a forest plant and
a species from the steppe of Turkey, and from a grass from the sanddunes of the Mediterranean shores.
The greatest number of pollen grains identified comes from Mediterranean plants which grow in Palestine,
at Istanbul and partly at Torino» [Rolfe, p.67].
(A prescindere da quanto sappiamo già dalle fonti storiche in merito alle ostensioni a Torino, Vercelli e Chambéry, che
hanno lasciato le loro tracce, è possibile allo stato attuale delle nostre conoscenze confermare che la Sindone è
contaminata con polline di piante del deserto che crescono in Israele, di una pianta tipica della foresta e una specie
delle steppe della Turchia, e di un’erba tipica delle dune di sabbia delle coste mediterranee. Il maggior numero di
granuli pollinici identificati deriva da piante mediterranee che crescono in Palestina, a Istanbul e in parte a Torino)
Quindi il più importante risultato di questa spedizione è stato l’aver riconosciuto uno dei pollini presenti sulla Sindone come polline tipico di una pianta delle steppe anatoliche, che fino ad allora non era stato identificato, oltre il riconoscimento di altri cinque tipi di polline come di piante specifiche di Israele.
A questo punto dobbiamo soffermarci un attimo a mettere in risalto l’apparente contraddizione di questo risultato con quello che era stato il più importante risultato del lavoro di Frei nel 1976, la scoperta cioè che il polline più frequente sulla Sindone era uguale al polline più frequente nei sedimenti del Mar Morto risalenti a 2000 anni fa. Ora si dice che la maggior parte dei granuli trovati sulla Sindone erano di piante diffuse nel Mediterraneo. Su questo punto la confusione o la menzogna resta sovrana.
d - Il viaggio per registrare il documentario
Il 29 luglio 1977, Rolfe con tutta la sua troupe partì da Londra per la Francia. La prima destinazione fu Chambéry, per passare poi a Lirey, nelle vicinanze di Troyes. Poi tutti si reimbarcarono su un aereo e giunsero a Istanbul, dove con alcuni accorgimenti, riuscirono a filmare nonostante le difficoltà di una burocrazia islamica chiaramente ostile a un film basato su un tema cristiano [Rolfe, pp.137, 139, 145, 147].
Qui alla troupe si unì anche Frei, proveniente da Zurigo, in quanto nella tappa successiva sarebbe stato lui l’attore principale:
«He [Frei] would travel on with them, so that near Urfa they might reconstruct and film the researches he
had actually done in Israel» [Rolfe, p.149].
(Frei avrebbe continuato il viaggio con loro, in modo che vicino Urfa avrebbero potuto ricostruire e filmare le ricerche che in realtà egli aveva compiuto in Israele).
Arrivati a Urfa [Edessa] identificarono una località non lontana dalla città per girare la scena di Frei che si aggirava nel deserto della Giudea:
«The area appeared to the camera to be a wilderness – the very Wilderness of Judaea that they were
attempting to recreate … In the film, Dr Frei wanders through authentic semidesert, picking and clutching
various small plants. Over his image, his Swiss sing-song floats: ‘This plant is Suaeda. In this particular
variety it is known only in Palestine. I found pollen from it on the Shroud … And this here is Paganum
Hamala, a desert plant that is very frequent between Jericho and the Dead Sea, I found pollen from this
plant, too, on the Shroud …’ The sequence has drama and conviction. Introduced by a long shot of
Jerusalem, it leaves no doubt of his authenticity in the minds of audience» [Rolfe, p.154].
(Alla macchina da ripresa la zona appariva come un deserto – proprio il Deserto della Giudea che stavano cercando di riprodurre … Nel film, il Dr. Frei vaga per una autentica zona semidesertica, raccogliendo e tenendo in mano alcune piccole piante. Sopra l’immagine la sua voce ondeggia come una cantilena svizzera: ‘Questa pianta è la Suaeda. Questa particolare varietà è conosciuta solamente in Palestina. Ho trovato pollini di questa pianta sulla Sindone … E questa qui è Paganum hamala, una pianta del deserto che è molto frequente fra Gerico e il Mar Morto. Ho trovato anche il polline di questa pianta sulla Sindone …’ La sequenza possiede dramma e realismo. Introdotta da una lunga ripresa di Gerusalemme, non lascia dubbi sull’autenticità nella mente degli spettatori).
Senza più seguire le vicende delle riprese in Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti, terminiamo il racconto per quanto riguarda Frei. Nel settembre del 1977, si tenne il ‘Symposium on the Shroud’ presso ‘The Anglican Institute of Christian Studies, London’, nei giorni 16-17 settembre 1977, a cui lo stesso Frei partecipò insieme a Wilson [Sox, pp.168-169]. È questo il primo convegno di sindonologia cui Frei abbia partecipato. Purtroppo di esso non si trovano atti o resoconti scritti. In coincidenza con questo avvenimento, Rolfe prese in affitto una stanza in Holland Park Road e la arredò con microscopi, tavoli da lavoro, carte, preparati vari e macchinari di misterioso significato addossati alle pareti, per simulare il laboratorio-studio di Frei. Qui fu registrato il secondo intervento di Frei nel documentario:
«These [pollens] at first are from plants common in North Europe – the beech, the yew – and Dr Frei can
tell us happily, ‘They only confirm what we already know – that the Shroud was exposed to the open air
in France and Italy. But then I came across this one.’ Experts fingers manipulate the microscope; on the
screen we see the relevant spore. ‘Linum Mucronatum’, Dr Frei tells us, to our delighted incomprehension.
Symbols on a map demonstrate its origin in Asia Minor. Other names follow, other symbols; the camera
creeps closer and closer to Turkey. Dr Frei abandons the microscope and looks at us directly, perhaps a
little sternly. ‘The presence of such a significant number of pollens from plants growing in Turkey leads
me to one fundamental conclusion – at some point in his history the Shroud must have been exposed
to the air in Southern Turkey or the surroundings of Istanbul’».
(Per cominciare questi pollini vengono da piante comuni nell’Europa del Nord - il faggio, il tasso - e il Dr. Frei può comunicarci gioiosamente: ‘Essi semplicemente confermano quel che sapevamo già – che la Sindone è stata esposta all’aria aperta in Francia e in Italia. Ma poi mi sono imbattuto in questo’. Dita esperte manipolano il microscopio; sullo schermo noi vediamo la spora in questione. ‘Linum Mucronatum’, ci dice il Dr. Frei, deliziandoci anche se non comprendiamo. Dei simboli su una mappa dimostrano la sua provenienza dall’Asia Minore. Seguono altri nomi, altri simboli; la macchina da ripresa lentamente si avvicina sempre di più alla Turchia. Il Dr. Frei lascia il microscopio e ci guarda direttamente, forse un po’ troppo rigidamente. ‘La presenza di un numero così significativo di pollini proveniente da piante che crescono in Turchia mi porta a una conclusione fondamentale: in qualche momento della sua storia la Sindone deve essere stata esposta all’aria nella Turchia del Sud o nei dintorni di Istanbul’).
Infine l’intervento di Frei nel film si conclude:
«‘The presence of pollen from such plants growing exclusively in the land of the Bible and the
surrounding deserts permits only one conclusion – that in some time of its history, the Shroud was
exposed to the open air in Palestine.’» [Rolfe, pp.170-171].
(La presenza di polline proveniente da tali piante, che crescono solamente nella terra della Bibbia e nei deserti circostanti, ci portano a una unica conclusione – che in qualche momento della sua storia la Sindone è stata esposta all’aria aperta in Palestina).
e - Conclusione
Alla fine di questa lunga esposizione, dobbiamo convincerci che ‘The silent witness’ più che un documentario è stato una fiction. Per quanto il ruolo dell’attore sia in genere ben visto e prestigioso, è difficile immaginarci altre figure di professionisti che svolgano questo lavoro. In particolare il lavoro dello studioso e del ricercatore è visto come qualcosa di molto serio e sempre credibile e mal si adatta a confondersi con la figura dell’attore.Uno scienziato di fama, in particolare un botanico che si presta a recitare come un consumato attore, dichiarando al pubblico ‘Mi trovo nel deserto della Giudea’ mentre è in Turchia, ‘Questa pianta è Suaeda aegyptiaca’ tenendo in mano una pianta qualsiasi, secondo me va incontro a una forte diminuizione del suo prestigio e della sua credibilità. Sono innumerevoli i casi di scienziati intervistati per far conoscere al pubblico le loro scoperte, ma non sono sicuro che ci siano stati altri episodi del genere in cui uno scienziato si sia prestato a una pantomima, sullo stile di quanto ha fatto Max Frei per il documentario ‘The silent witness’.
Un’altra osservazione si impone a questo punto e riguarda il numero dei viaggi di Frei per cercare confronti con i pollini sindonici. Nella relazione che Frei tenne al congresso di Torino il 7 ottobre 1978, in merito ai suoi viaggi Frei dichiarò:
«Inoltre era necessario recarsi in Palestina, Turchia, a Cipro e in Francia per collezionare materiale pollinico
di confronto e questo, ovviamente, nei diversi periodi e nelle diverse epoche di fioritura.
La maggior parte dei viaggi è stata da me autofinanziata ma colgo l’occasione di esprimere la mia gratitudine
alla Screenpro Films di Londra [la ditta di Rolfe] ed al Centro Internazionale di Sindonologia di Torino che
mi hanno dato un valido appoggio finanziario per compiere ulteriori viaggi nel vicino Oriente, facilitandomi
così la identificazione del polline non rappresentato in modo ineccepibile negli erbari» [Frei 1979, p.192].
Come abbiamo visto Frei nel 1976 e nel 1977 viaggiò con Rolfe e a spese di questi, e fu pagato per la sua partecipazione al documentario. Inoltre, come dice lui altri viaggi furono finanziati dal CIS (Centro Internazionale di Sindonologia) di Torino.
Il suo amico e collaboratore Ghio ha testimoniato che Frei compì un viaggio a Cipro, non sappiamo quando ma possiamo immaginarci nella primavera-estate del 1978. Probabilmente fu questo il viaggio finanziato dal CIS. Lo stesso Ghio effettuò per conto di Frei numerosi viaggi di raccolta:
«Sappiamo dei suoi viaggi in Terra Santa ed a Cipro mentre l’area botanica Turca, ove peraltro eseguì
ricerche, era affidata alle mie inesperte cure. .. Ed un turismo in tenda si trasformò per me in una serie
di viaggi che il Frei mi commissionava a seconda delle epoche di fioritura delle piante interessanti» [Ghio
1986, p.116].
Frei compì dunque i viaggi in Israele e Turchia a spese di Rolfe, anzi pagato da lui (Rolfe ha testimoniato, come abbiamo visto sopra, che quello del novembre 1976 fu il suo primo viaggio in quei paesi), e possiamo immaginare che il CIS abbia finanziato il suo viaggio a Cipro. Ghio poi effettuò alcuni viaggi per conto di Frei in Turchia e altrove. Quando e dove Frei compì ‘la maggior parte dei viaggi … autofinanziata’ prima dell’ottobre 1978, data della sua relazione al convegno?
Certamente non siamo in grado di dimostrare dove egli sia stato giorno per giorno, ma la sua affermazione ci lascia molti dubbi e perplessità.
12. Il convegno del 1978, il trionfo di Frei e i nuovi prelievi
Il primo convegno sindonico, cui risulta che Frei abbia partecipato, è quello di Londra del 16-17 settembre 1977, organizzato da The Anglican Institute of Chistian Studies di Londra. Ma non si trova nessuna fonte che riporti quanto in questa occasione è stato fatto e detto [shroud.com/history; Rolfe, p.170]. Invece per il convegno di Torino del 7-8 ottobre 1978 abbiamo qualche resoconto di testimoni oculari e la relazione scritta dello stesso Frei, pubblicata nel 1979, tra gli atti di quel convegno.
Già nei mesi precedenti all’apertura del congresso l’attesa per l’intervento di Frei era diventata l’elemento dominante, negli ambienti sindonici. La preparazione al convegno si può dire iniziata il 30 marzo 1978, quando la prima rete televisiva italiana mandò in onda il documentario di Rolfe, tradotto col titolo “Il testimone silenzioso”. Il 13 aprile seguente, con un articolo del prete giornalista Pier Giuseppe Accornero, il ‘comitato diocesano’ per la preparazione dell’ostensione e del convegno scientifico a essa collegato presentò il programma delle manifestazioni. Il primo degli scienziati citati da Accornero è appunto Max Frei:
«Molto attesa è “la prova scientifica del polline” che verrà presentata dal professor Max Frei, dell’Università
di Zurigo, criminologo di fama europea, specializzato nello studio delle micro-orme» [Accornero].
Ancora il giorno 7 ottobre, giorno dell’apertura del convegno degli scienziati, sui quotidiani si ripetono quasi le stesse frasi:
«Particolarmente attese le comunicazioni dello svizzero Max Frei: dirà i nomi delle piante che vivevano
ai tempi di Gesù e il cui polline è stato trovato sulla Sindone; illustrerà pure i risultati di una indagine
compiuta col contatore Geiger» [Ricciardi].
Il giorno successivo compare sui quotidiani un primo resoconto della relazione di Frei:
Il prof. Max Frey, dell’università di Zurigo ha comunicato ufficialmente il nome di tutte le piante il cui polline
è stato trovato sulla Sindone. Tredici appartengono alla Palestina. “Questo – ha detto Frey – testimonia
la presenza della Sindone a Gerusalemme e a Costantinopoli, e rafforza la tesi che lo stesso Mandilyon gia'
conservato ad Edessa sia la stessa Sindone custodita a Torino. Lo spettro pollinico esclude categoricamente
qualsiasi possibilità di falso” [Gazzetta del Popolo, 8 ottobre 1978].
Oltre gli scarni ma significativi resoconti dei quotidiani abbiamo anche qualche testimonianza diretta di persone presenti e maggiormente coinvolte dal punto di vista emotivo. In primo luogo Frei stesso ci fa sapere che nel corso del suo intervento egli proiettò le immagini di tutti i 48 tipi di polline da lui trovati, sino ad allora, sulla Sindone [Frei 1983, p.280].
Ecco come la sindonista spagnola Manuela Corsini de Ordeig racconta l’entusiasmo suscitato negli ascoltatori
dalla relazione di Frei:
«Pero el remate experimental de estas dos tesis [di Georges Gharib e di Ian Wilson] vino después, cuando
Max Frei habló de los restos hallados en el polvo de la Síndone extraído por él en 1973. En dicho polvo
halló, el eminente palinólogo y especialista en micro-huellas, polen de plantas de diversos lugares (como
se explicará más detalladamente capítulos adelante) en el que las especies de plantas que más abundan
son precisamente las de los alrededores de Edesa: con lo que se demuestra su larga permanencia en
ese país. Según Max Frei, para una tal abundancia de pólenes de un lugar hace falta una estancia en
él de por lo menos 600 años.
La convergencia de estas tres ponencias, llegada cada una al mismo punto por caminos diferentes y
por investigadores que ningún contacto tuvieron entre sí, fue algo que nos dejó suspensos y
entusiasmados a los 350 congresistas que estábamos presentes, hasta el punto de romper en aplausos
con los que tratamos de premiar y agradecer los trabajos de los tres investigadores, el testimonio de
los casi invisibles granitos de polen, el amor de Cristo y la sabiduría infinita de Dios que mostraba su
grandeza enredada de entre unos hilos» [Corsini de Ordeig 2004, p,72].
(Ma la controprova sperimentale di queste due tesi giunse quando Max Frei parlò dei reperti trovati nella polvere della Sindone da lui prelevata nel 1973. L’eminente palinologo e specialista in microtracce trovò polline di piante di diverse zone (come si spiegherà più dettagliatamente nei prossimi capitoli) nel quale le specie di piante più abbondanti sono quelle dei dintorni di Edessa: con ciò si dimostra la sua lunga permanenza in quel paese. Secondo Max Frei, per avere tale abbondanza di polline di un luogo, è necessaria una permanenza di almeno 600 anni. La convergenza di queste tre relazioni, pervenuta ciascuna al medesimo punto per strade differenti e per opera di ricercatori che non ebbero nessun contatto tra di loro, fu un qualcosa che lasciò meravigliati ed entusiasti tutti noi, i 350 congressisti che eravamo presenti, fino al punto di erompere in applausi, con i quali intendavamo premiare e dimostrare il nostro gradimento per i lavori dei tre ricercatori, per la testimonianza dei quasi invisibili granelli di polline, per l’amore del Cristo e la sapienza infinita di Dio che mostrava la sua grandezza annidata dentro alcuni fili).
Non c’è dubbio che nel 1978 i cultori della Sindone ebbero la loro massima soddisfazione: la prova scientifica incontrovertibile dell’autenticità del telo. Se possiamo essere sicuri dell’entusiasmo degli ascoltatori presenti al convegno di Torino il giorno 7 ottobre 1978, molti dubbi ci vengono immediatamente su quanto in quel giorno sarebbe stato affermato da Frei. Possibile che Frei abbia affermato che i pollini più frequenti sulla Sindone fossero quelli proveniente da piante dei dintorni di Edessa? Possibile che abbia affermato che per depositare una tale quantità di pollini, la Sindone doveva aver soggiornato a Edessa per almeno 600 anni? Infatti non ha mai contato i granuli di polline prelevati. Inoltre, quali possono essere stati i criteri che lo avrebbero indotto a calcolare in almeno 600 anni la permanenza della Sindone in Edessa, per poter raccogliere su di sé un tal numero di pollini? Nel testo scritto da Frei relativo a questa conferenza del 7 ottobre 1978, non compare nessuna affermazione somigliante a quelle riferite da Manuela Corsini de Ordeig.
Per di più nel 1976 Frei aveva scritto che il polline più frequente sul lenzuolo corrispondeva al polline più frequente negli strati sedimentati nel lago di Genezaret 2000 anni fa. Possibile inoltre che abbia lasciato intendere che non aveva avuto precedenti contatti con Ian Wilson, dopo i due viaggi in Medio Oriente fatti insieme? È ovvio che si pone una alternativa: o Frei parlava a caso mirando solo a suscitare lo stupore degli ascoltatori oppure la nostra Manuela ha avuto delle visioni, immaginandosi che Frei facesse tutte quelle affermazioni.È stato Bruno Bonnet-Eymard, frate ultratradizionalista, editore del periodico La Contre-Réforme Catholique au XXe Siècle e il più arrabbiato dei Sindonisti, che ci ha lasciato un'altra descrizione della relazione tenuta da Frei a Torino il 7 ottobre 1978:
«Elle [la indentificazione Sindone-Mandylion] a pourtant reçu une éclatante vérification, au Congrès de Turin,
de la très attendue communication de Max Frei …
Frei, qui n’est pas catholique mais protestant zwinglien, a identifié quarante-neuf espéces de pollens dans
la poussière recueillie sur la surface du Suaire. Il en a fourni la liste détaillée à chacun des membre du
Congrés, en même temp qu’il en exposait les photos effectuées sous les forts grossissements du
microscope électronique qui le rend si facillement reconnaissables …
Mais l’élément de loin le plus important de son enquête, celui qui a déchâiné notre enthousiasme au
Congrès de Turin, est bien la découvert des pollens fossils datant de l’époque du Christ, correspondant
à certains de ceux que Frei recueillit sur le Suaire!» [Bonnet-Eymard 1979, pp.21-22].
(L’identificazione ha pertanto ricevuto una clamorosa conferma, al congresso di Torino, dalla attesissima relazione di Max Frei … Frei, che non è cattolico, ma protestante seguace di Zwingli, ha identificato 49 specie di pollini nella polvere raccolta dalla superficie della Sindone. Ha fornito l’elenco dettagliato a ciascun congressista e inoltre ha proiettato le foto riprese sotto i forti ingrandimenti del microscopio elettronico che li rende facilmente riconoscibili … Ma l’elemento di gran lunga più importante della sua indagine, quello che ha scatenato il nostro entusiasmo al congresso di Torino, è sicuramente la scoperta di pollini fossili databili all’epoca di Cristo, corrispondenti ad alcuni di quelli che Frei ha raccolto sulla Sindone!).
In questi brani del resoconto sulla relazione di Frei, si nominano per la prima volta le fotografie al microscopio elettronico dei pollini. Questo è sicuramente uno dei punti centrali della nostra trattazione su Frei: Bruno Bonnet-Eymard, e come lui tutti i presenti alla relazione, intesero che le numerose foto presentate al convegno erano di granuli trovati sulla Sindone durante il prelievo del 1973. Inoltre si capiva, dalla relazione verbale, che alcuni di questi granuli erano fossili che risalivano a 2000 anni prima, analoghi a pollini trovati da Frei in sedimenti palestinesi risalenti a quell’epoca. Da qui l’entusiasmo degli uditori esploso, come ha raccontato Manuela Corsini de Ordeig, in una clamorosa standing-ovation.
Fu l’apoteosi di Frei.
La mattina di domenica 8 ottobre 1978 si chiuse la conferenza degli scienziati e lo stesso giorno terminò anche la lunga ostensione pubblica che l’aveva preceduta e accompagnata. Però per alcuni dei convegnisti, tra cui Frei, non fu la fine dei lavori. Quella sera stessa una trentina di scienziati si ritrovarono a Palazzo Reale di Torino, nella Sala della Biblioteca, per dar luogo a una lunga seduta notturna di ricerche sul sacro telo. Quando fu portata la Sindone, stesa su una tavola di legno e appoggiata su dei cavalletti, ancora prima che essa fosse sistemata sull’enorme tavolo metallico rotante, fabbricato e trasportato appositamente da oltre oceano dagli scienziati americani dello STURP, Frei e Ghio scattarono, iniziando a raccogliere campioni con i loro nastri adesivi [Riggi 1982, p.144]. Altrettanto immediata fu la reazione degli scienziati americani, inorriditi dal constatare l’uso di un simile semplicistico metodo di esame: nastro adesivo normale tagliato da un normale dispenser di plastica rossa, applicato a mani nude. Infatti per il prelievo delle polveri erano stati discussi e messi a punto, dagli scienziati italiani e americani, due sistemi: un aspiratore speciale da parte di Giovanni Riggi e una macchina che applicava, con pressione variabile, pezzi di costosissimo nastro adesivo, appositamente fabbricato in America dalla Minnesota Mining & Manifacturing Co. [nota anche come 3M] per conto di Ray Rogers [Riggi 1982, pp.181-182]. Gli americani dovettero abbozzare, infatti Frei aveva ottenuto la preventiva autorizzazione a effettuare i suoi prelievi alla sua maniera, e l’unica soddisfazione ottenuta fu di fargli indossare dei guanti di cotone, portati anche quelli dall’America, dopo una lunga discussione tra Frei e Jackson se era preferibile un possibile inquinamento ‘europeo’ del telo e dei prelievi a causa delle mani nude di Frei oppure un inquinamento ‘americano’ a opera degli stessi guanti provenienti da oltreoceano
[Riggi 1982, pp.144-145]. Ma quando, verso la fine del suo lavoro, Frei sembrò sul punto di appoggiare un pezzo del suo nastro sull’immagine del volto sindonico, John Jackson insorse e fisicamente gli impedì l’operazione: per evitare più gravi complicazioni intervenne immediatamente il professor Luigi Gonella, che si frappose fra i due. In conclusione a Frei fu impedita quella quasi blasfema azione e dovette accontentarsi di poggiare i suoi nastri ai lati del volto:
«As Barrie [Schwortz, il fotografo ufficiale] recalls, when at one point Frei was about to apply the tape
to the Shroud’s facial image, John Jackson reached out and physically stopped him from doing so,
requiring some fast diplomatic intervention by Prof. Luigi Gonella, the then scientific advisor to the
Archbishop of Turin» [Wilson 2000, p.82].
(Come Barrie Schwortz ci racconta, a un dato momento, quando Frei era sul punto di applicare il nastro alla immagine facciale della Sindone, John Jackson si slanciò avanti e gli impedì fisicamente di farlo, rendendo necessario un intervento diplomatico del Prof. Luigi Gonella, che era all’epoca il referente scientifico dell’arcivescovo di Torino).
A questi scontri scientifici seguirono nel tempo strascichi e ripicche. Gli americani accusarono Frei di aver deteriorato e inquinato la Sindone con le moderne colle del nastro adesivo:
«The examination of the Shroud after the 1997 fire revealed no fire damage, but one very real point of
concern was tell-tale discoloration on the cloth which seem to have appeared wherever Dr Frei applied
his sticky tapes two decades before. By current thinking, the introduction of even the smallest traces
of modern adhesive onto ancient cloth has to be considered undesiderable. And so this approach is
most unlikely to be permitted again» [Wilson 2000, pp.135-136].
(L’esame della Sindone dopo l’incendio del 1997 ha rivelato che non esistevano danni dovuti al fuoco, ma suscitarono una reale preoccupazione certe scoloriture sul tessuto che sembravano essere comparse dove il Dr. Frei aveva applicato i suoi nastri adesivi due decenni prima. Secondo il modo di pensare attuale, l’introduzione della più piccola traccia di adesivi moderni su di un telo antico deve essere considerata non conveniente. Pertanto questo tipo di indagine difficilmente sarà permesso nuovamente).
Dal suo canto, Frei accusò gli americani di aver provocato un inquinamento della Sindone, tramite i guanti di cotone che gli avevano imposto, importati dall’America, e che erano tutt’altro che sterili: per colpa di questi guanti sarebbero stati introdotti dei pollini tipicamente americani, come vedremo nel Cap.18.
13. La presentazione scritta dei risultati nel 1979 e nel 1983
a- La presentazione scritta dei risultati nel 1979
Frei pubblicò il testo della sua relazione, tenuta a Torino il 7 ottobre 1978, negli atti di quel convegno, dati alle stampe nel 1979 a cura di Coero-Borga per le Edizioni Paoline. L’affermazione di partenza di Frei, su cui si basa praticamente tutto il suo lavoro, è la seguente:
«È quindi possibile determinare in base ad un singolo grano di polline da che pianta proviene»
[Frei 1979, p.192].
Si tratta di una affermazione quanto mai ambigua, quasi incredibile in bocca a uno scienziato. In che senso ‘da quale pianta’? Vuol forse dire da quale familia di piante, o da quale tribus, o da quale genus o addirittura da quale species? Dato che nel lavoro di Frei a questa affermazione segue un elenco di 48 specie vegetali, di cui egli ha riconosciuto i pollini prelevati dalla Sindone, dobbiamo arguire che intendeva dire che da un singolo granulo di polline si può risalire alla species. Invece ciò non corrisponde alla realtà e l’elenco redatto da Frei delle specie di provenienza dei pollini è stato contestato da tutti i botanici che hanno rivisto il suo lavoro [Baruch, Scannerini, Bryant, Litt]. Questa sua affermazione iniziale deve essere considerata falsa. Su tale punto ci siamo soffermati in un precedente capitolo (Cap.3).
Continuiamo l’analisi dell’articolo in questione. Un’altra affermazione fondamentale di Frei è la seguente:
«Nel caso della Sindone le piante rappresentate fioriscono in stagioni diverse e vivono in condizioni
ecologiche ben definite e differenti tra di loro.
Il loro polline non è specialmente adatto ai trasporti lontani. La etereogenità ed il quantitativo del polline
non si possono quindi spiegare in base a contaminazioni casuali» [Frei 1979, p.193].
Riguardo a questa dichiarazione di Frei, si capisce bene che cosa egli intendesse per ‘eterogeineità’, dato l’elenco che segue delle 48 diverse specie, ma non si ha il minimo indizio di che cosa significasse per Frei ‘il quantitavo del polline’: dovremmo intendere infatti che egli ha contato il numero totale di granuli trovati su tutti e 12 i suoi nastri e che ha contato anche i granuli divisi per specie; solo così avrebbe senso la sua affermazione di dover escludere la contaminazione casuale. Sappiamo però che non l’ha fatto. Infatti in un altro punto dello stesso lavoro, Frei specifica espressamente di non aver eseguito il conteggio dei pollini:
«Ulteriori analisi di polvere della Sindone possibilmente permetteranno di studiare statisticamente la
frequenza delle specie e di sincronizzarla con lo spettro di frequenza del polline nei vari orizzonti di
sedimentazione del Mare Morto» [Frei 1979, p.199].
Dobbiamo inevitabilmente dedurre che Frei non ha per niente eseguito il conteggio dei pollini prelevati nel 1973 e il suo discorso sul ‘quantitativo del polline’ è assolutamente infondato: Frei fa affermazioni illogiche. Dall’elenco dei pollini presentati, Frei deduce che la Sindone è stata esposta all’aria nelle seguenti aree geografiche: Costantinopoli, Francia, Gerusalemme, Italia, Urfa (Edessa). La sua conclusione è categorica:
«Il lino ha quindi viaggiato e fu contaminato in luoghi diversi» [Frei 1979, p.197].
Aggiunge però una possibile eccezione:
«Lascio aperta la possibilità che una parte del polline provenga dalla fabbricazione del tessuto e forse
pure dalle sostanze aromatiche come l’aloe usate per i procedimenti funerari o dalla pelle umida del
corpo avvolto. Ma sicuramente i pollini posteriori sono di origine eolica durante le ostensioni»
[Frei 1979, p.197].
Le lacune logiche di tale osservazione sono state più volte sottolineate dai commentatori: come si fa a sapere quanta parte del polline può provenire dalla fabbricazione? Come si fa a distinguere quali sarebbero invece ‘i pollini posteriori’? Per esempio, potrebbe darsi che il polline tipico di Costantinopoli oppure il polline di Urfa provengano ‘dalla fabbricazione’?
Peraltro in proposito sorge spontanea un’altra domanda: è possibile che dei pollini si siano depositati sulla tela in una o più località dove essa può aver soggiornato nel periodo trascorso tra il momento della fabbricazione e il suo uso definitivo come telo funebre?
Infine dobbiamo prendere in esame l’ultima delle affermazioni di Frei in questo articolo:
«Se un falsario si fosse procurato un pezzo di tela di lino dalla Palestina (con indubbie difficoltà) recante
polvere di questa zona, sicuramente non avrebbe fatto venire polvere della Anatolia o di Costantinopoli
per simulare un passato della sua opera fraudolenta che in quel tempo non era in discussione»
[Frei 1979, p.200].
Non si riesce a capire quali potrebbero essere le difficoltà, nel XIV secolo, a Troyes, per trovare un telo fabbricato in Palestina, dato che le fiere della Champagne erano ancora famose come i più ricchi e frequentati mercati d’Europa. E un telo fabbricato in Palestina, con molta probabilità, prima di arrivare in Francia sarebbe passato dall’Asia Minore, magari fermandosi in vari mercati per essere messo in vendita.
Resterebbe ancora da parlare delle numerose foto di corredo a questo articolo, ma tratteremo delle foto in un capitolo a parte (Cap.16).
Vediamo ora di capire quale è stato il procedimento di lavoro di Frei:
«Non voglio sottacere le difficoltà pratiche enormi che erano da superare data la piccola dimensione
dei granuli di polline, e dato il fatto che nei libri di palinologia molte specie di piante non furono mai
studiate in ogni dettaglio. Era quindi necessario ricorrere agli erbari di tutti i paesi dove la Sindone
aveva avuto probabilità di esposizione all’aria libera.
Inoltre era necessario recarsi in Palestina, Turchia, a Cipro ed in Francia per collezionare materiale
pollinico di confronto e questo, ovviamente, nei diversi periodi e nelle diverse epoche di fioritura»
[Frei 1979, p.192].
Si ha quindi l’impressione (solo una impressione perché Frei non dice nulla chiaramente) che Frei abbia agito in questo modo: partendo da un granulo di polline proveniente dalla Sindone, ne ha cercato un altro simile proveniente da piante del posto che a lui sembrava più opportuno. Dato che molto spesso i pollini sono indistinguibili fra diverse specie dello stesso genere e a volte anche della stessa famiglia, ha trovato facilmente le affinità che cercava e dall’affinità ne ha dedotto una uguaglianza di specie.
Manca infatti nel lavoro di Frei la spiegazione del perché un dato granulo di polline sia identificato come appartenente a una determinata specie, cioè manca la specificazione di quali fossero, secondo lui, i caratteri che portano a classificare quel granulo come appartenente a una particolare specie e non invece ad altre specie che hanno pollini simili.
Frei cita nella sua bibliografia soltanto un atlante di pollini: una pubblicazione specifica per i dintorni di Istanbul, in cui solo uno dei pollini elencati da Frei (Epimedium pubigerum) è citato e raffigurato, con una foto al microscopio ottico [Aytuğ, p. 13]. Anche Frei nei suoi articoli ha raffigurato tale polline, ma le figure dei due Autori non hanno fra loro alcun punto in comune: i granuli presentati da Aytuğ [fig.4 e 5] sono sferoidali e hanno un diametro di 16-19 μ; i granuli di Frei [fig.6 e 7] sono di forma ovoidale e hanno il diametro di 11 μ. Non si vuole qui mettere in discussione se i granuli di Frei siano o non siano realmente E. pubigerum, potendosi trattare di granuli eccezionalmente più piccoli e fotografati sotto altre angolature.
Si vuole semplicemente sottolineare che essi non possono essere stati catalogati usando il testo e le figure di Aytuğ.
Frei cita inoltre un manuale di palinologia in cui nessuno dei pollini da lui elencati è raffigurato [Erdtmann].
Quindi se ne deve dedurre che tutte le identificazioni di Frei siano un lavoro fatto sulla base di ricerche nuove, da lui stesso effettuate e non ancora documentate. Dato che egli non fa riferimento a lavori di identificazione di pollini già esistenti, non ha alcun valore scientifico dire, come lui fa, che ha trovato sulla Sindone il polline di Anabasis aphylla o di qualsiasi altra delle piante elencate, se non si specifica come è il polline di Anabasis aphylla ricavato direttamente dalla pianta e non si fa vedere che esso è inconfondibilmente eguale a un particolare granulo trovato sulla Sindone, mettendolo anche a confronto, per distinguerlo, con tutti i granuli pollinici simili dello stesso genere o addirittura della stessa famiglia. La stessa cosa avrebbe dovuto fare per la Gundelia tournefortii e tutti gli altri pollini elencati. Ovviamente non è sufficiente che lui dichiari di aver effettuato i necessari confronti (comunque non ha mai dichiarato di averlo fatto), deve farlo vedere a tutti in una pubblicazione scientifica credibile, che possa essere accettata o motivatamente rifiutata dai suoi colleghi palinologi.
Santini-reliquie con fiori di Terra Santa, acquistati recentemente su eBay, provenienti da paesi diversi. Dimostrano l’enorme diffusione dei fiori di Terra Santa in tutto il mondo e rendono priva di valore la dichiarazione di Frei che i pellegrini non possano aver inquinato la Sindone dopo il 1355.
08. False analogie tra pollini sindonici e pollini fossili di 2000 anni fa
Nel corso del convegno del 1981 e nella successiva pubblicazione degli atti (1983), Frei ha sostenuto che i pollini da lui trovati sulla Sindone corrispondevano, in larga misura, ai pollini trovati nei sedimenti palestinesi risalenti all’epoca di Gesù.
Ripercorrendo la storia di questa sua pretesa scoperta, cominciamo dall’articolo del 1976:
«Il polline più frequente sul Lenzuolo è identico al polline più frequente nei sedimenti del lago di Genezaret
negli strati sedimentati duemila anni fa» [Frei 1976, p.8].
Questa affermazione era priva di riscontri, non avendo l’articolo riferimenti bibliografici. Poi nel 1979 c’è una sua dichiarazione in proposito, analoga anche se più indeterminata:
«Infatti lo studio del polline fossile nei sedimenti alluvionali, lacustri (lago di Tiberiade) e marini
(Mare Morto) eseguito fra gli altri da A. Horowitz e M. Rossignol conferma che queste specie erano
presenti in queste zone pure ai tempi di Cristo e anche prima e dopo» [Frei 1979, p.199].
Nella bibliografia allegata all’articolo troviamo tre riferimenti ad articoli su pollini nei sedimenti palestinesi [Horowitz 1969, Rossignol 1969 e Vita-Finzi].
Nel 1983 Frei si comportò in maniera ancora diversa per fare il confronto tra i pollini sindonici e i pollini fossili di 2000 anni fa, cioè ha evitato di citare dei lavori specifici di altri ricercatori:
«Alcuni degli elenchi, pubblicati dall’Università di Tel Aviv, di pollini estratti dal fondo del Mar Morto o
dal lago di Genezaret contengono molti nomi identici alle liste da me pubblicate nel 1978 del polline
sindonico» [Frei 1983, p.279].
Sfogliando gli articoli citati da Frei nel convegno del 1978, ci accorgiamo subito che quanto da lui sostentuto non corrisponde a nulla di quanto vi si può leggere. Esaminiamoli con ordine.
Martine Rossignol nel 1969 ricevette campioni di dragaggi effettuati nel 1967 in sei punti del Mar Morto. In tutti e sei i punti i dragaggi avevano prelevato solo fango superficiale; solo in uno di essi era stato effettuato un carotaggio, prelevando sedimento a una profondità tra 15 e 30 cm. Su questo punto del Mar Morto, Rossignol ha calcolato, con datazioni al C14, una velocità di sedimentazione del fango sul fondo di circa 0,1 cm ogni anno: pertanto il sedimento tra 15 e 30 cm di profondità si era depositato in un periodo compreso tra i 150 e i 300 anni precedenti il momento del prelievo [Rossignol 1969, pp. 26, 32].
Aharon Horowitz nel 1969 raccolse campioni in 14 punti del fondo del Lago Kinneret (Lago di Genezaret o Mar di Galilea o Lago di Tiberiade), per mezzo di una draga che affondava soltanto per alcuni centimetri nel sedimento del fondo. È ovvio che il suo materiale di studio si era depositato negli anni immediatamente precedenti al prelievo.
Vita-Finzi e Dimbleby nel 1971 analizzarono i pollini in un campione prelevato da un deposito alluvionale nella Valle del Giordano, esattamente lungo il Wadi Kofrein. Tramite la stratigrafia dei reperti archeologici e le datazioni al C14, gli Autori determinarono che quello strato alluvionale si era depositato tra il 490 d.C e il 1400.
Delle specie elencate da Frei nel suo articolo del 1979, 5 specie compaiono nell’elenco di Rossignol (Artemisia herba-alba, Cupressus sempervirens, Poterium spinosum, Prosopis farcta e Zygophyllum dumosum) e solo 2 nomi corrispondono a quelli elencati da Horowitz (Poterium spinosum e Scabiosa prolifera). Nessuna corrispondenza esiste con il lavoro di Vita-Finzi e Dimbleby. Quindi nessuno dei tre articoli tratta o accenna a pollini di 2000 anni fa o precedenti.
In proposito, nel suo articolo del 1976, Frei aveva fatto una osservazione più precisa e ancora più irrealistica:
«Il polline più frequente sul lenzuolo è identico al polline più frequente nei sedimenti del lago di Genezaret
negli strati sedimentati duemila anni fa» [Frei 1976, p.8].
Però egli non ha mai contato i pollini sulla Sindone né ha mai detto quanti ce n’erano di ciascun tipo. Quindi non ha mai detto e non poteva sapere qual è il polline più frequente sul lenzuolo.
Come ha potuto Frei concludere con la sua affermazione ‘queste specie erano presenti in queste zone pure ai tempi di Cristo e anche prima e dopo’ se non cita nessun lavoro in cui si riportano i dati dei pollini relativi al I secolo d.C. e agli anni precedenti? Esiste in realtà un motivo per cui Frei non cita tali lavori: essi fino al 1978 non esistevano. Dice infatti espressamente Horowitz nel suo articolo del 1969:
«No palynological study has been made in the inland basins except for some sporadic analyses»
[Horowitz 1969, p.353].
(Nessuno studio dei pollini è stato effettuato sui bacini interni, eccetto qualche sporadica analisi).
Per trovare lavori successivi sui pollini di sedimenti in Palestina, occorre arrivare alla metà degli anni ’80. Li esamineremo fra poco. Risulta inevitabile a questo punto concludere che Frei ha volutamente travisato gli articoli citati, facendo credere che si trattava di analisi dei pollini risalenti all’epoca di Gesù, mentre tale epoca non era per niente interessata in quegli scritti. Non si può dire che Frei si sia sbagliato o si sia espresso male su questo punto: ha mentito.
Nell’articolo di Frei del 1983 non vi è alcuna bibliografia. Chi vuole difenderlo a tutti i costi ha già la scusa pronta: la morte improvvisa e prematura dello scienziato gli ha impedito di concludere il suo lavoro, pubblicato postumo. Due sono le risposte: il convegno cui l’articolo si riferisce è stato nel 1981 e per quella data il lavoro avrebbe dovuto già essere pronto; secondo, se per qualsiasi motivo il lavoro non era pronto, non avrebbe dovuto essere pubblicato. Troppo facile presentare lavori in queste condizioni, spacciandoli per scientifici.
Tentando di andare più a fondo, il tipo di espressione, ‘elenchi pubblicati dall’Università’ potrebbe fare riferimento a lavori non ancora dati alle stampe.
Dato che nel precedente convegno del 1978 e nei relativi atti pubblicati nel 1979 si faceva riferimento ad articoli dove non compariva assolutamente nulla di ciò che Frei diceva avervi trovato, si potrebbe sospettare che questa volta Frei abbia volontariamente omesso qualsiasi riferimento controllabile, in modo da non poter essere smentito. Troppo facile scrivere articoli scientifici con queste modalità.
Riguardo agli ‘elenchi, pubblicati dall’Università di Tel Aviv, di pollini estratti dal fondo del Mar Morto o dal lago di Genezaret’, possiamo affermare che forse tali elenchi esistevano realmente, anche se non ancora pubblicati, così come esistevano veramente gli articoli citati da Frei nel suo precedente lavoro, anche se non contenevano nulla di ciò che egli affermava. Infatti nel 1979 in Israele si dette il via a un progetto di carotaggio del fondo del Lago di Kinneret (Genezaret), con raccolta di sedimenti interessanti epoche comprese tra il 3300 a.C e il 1750 d.C. Due di queste carote di sedimenti furono sottoposte anche all’analisi pollinica. I risultati furono pubblicati dal 1984 in poi, ma non si può escludere che degli elenchi di pollini, manoscritti e provvisori, girassero già da prima tra gli specialisti dell’Università di Tel Aviv.
Uri Baruch, che abbiamo già incontrato (Cap.3), fu uno di coloro che studiarono i pollini di una di queste carote. [Baruch]. Egli divise la sua carota in tre zone e sei sottozone e per ognuna di esse tracciò lo spettro pollinico. La zona di carota da lui denominata ‘Y’ fu datata a un periodo compreso tra il 350 a.C. e il 550 d.C.
Per i pollini arborei di questo periodo, Baruch sottolineò l’abbondanza di Vitis (assente nei pollini di Frei), Olea (assente negli elenchi di Frei), Quercus (assente nei pollini di Frei), Salix (assente nei pollini di Frei), mentre i pollini di Pistacia (presente nei pollini di Frei) e Cupressus (presente nei pollini di Frei) si erano ridotti molto rispetto alle epoche precedenti. Riguardo alle specie non arboree, la maggior frequenza spettava a Cerealia (assente nei pollini di Frei), e Artemisia (presente nei pollini di Frei).
Se Frei avesse realmente confrontato i risultati di questo carotaggio con il suo elenco, avrebbe dovuto concludere, come dobbiamo fare noi, che i pollini trovati sulla Sindone di Torino non vi sono stati depositati in Palestina 2000 anni fa: le assenze di pollini essenziali per supporre una coincidenza degli spettri pollinici sono troppo significative. Questo naturalmente ammettendo che i pollini depositati su un tessuto lasciato all’aria per 2000 anni possano conservarsi, la qual cosa appare veramente improbabile, come abbiamo già visto (Cap.5).
Esistono quindi due possibilità in merito a quest’ultima affermazione di Frei: o egli ha mentito e in realtà non ha visto nessun elenco oppure ha mentito perché da un confronto che esclude ogni analogia fra i due elenchi di pollini egli invece ne ha tratto una conclusione di identità, come già aveva fatto con gli elenchi di Rossignol,
Horowitz e Vita-Finzi.
09. L’arrivo di Frei nel mondo della Sindone e il prelievo del 1973
Torniamo ora un po’ indietro nel tempo e raccontiamo come Frei ha iniziato a interessarsi alla Sindone di Torino. Aurelio Ghio (Torino 1925, vivente), già docente dell’università di Torino e perito del tribunale in qualità di esperto calligrafo e balistico, autorevole esponente del Centro Internazionale di Sindonologia (CIS) di Torino, fu incaricato di partecipare a una commissione con il compito di «effettuare accertamento tecnico sulle pellicole fotografiche e relative stampe eseguite dal Sig. Giovan Battista Judica Cordiglia [nel 1969]» [Commissione Pellegrino, pp.26-30].
Ghio aveva da ‘sempre’ collaborato con Frei e si considerava il suo ‘portavalige’. Secondo le sue stesse dichiarazioni, da Frei aveva appreso:
«tutte quelle discipline che poi divennero il mio mondo di lavoro» [Ghio 1986, p.115].
Fu proprio Ghio, nel 1973, a proporre di inserire Max Frei nella commissione di periti per l’autentificazione delle foto di G.B. Judica Cordiglia, come ha scritto Coero Borga nel 1983:
«Lo aveva presentato Aurelio Ghio, che con lui aveva condiviso tante udienze nei tribunali; dobbiamo tutti
essere riconoscenti al Ghio per quella segnalazione che si è rivelata tanto felice» [Coero Borga, p.XI].
Alla fine la commissione fu formata da tre periti: Aurelio Ghio, Max Frei e Roberto Spigo. Essa esaminò le foto, le confrontò accuratamente con la Sindone stessa e infine, il 4 ottobre 1973, diede parere positivo in merito alla corrispondenza tra le foto esaminate e quanto si osservava sulla Sindone stessa [Commissione Pellegrino, p.26]. In quel momento la Sindone si trovava, in via provvisoria, nella ‘Sala degli Svizzeri’ del Palazzo Reale di Torino, rinchiusa in una cornice, e fu qui che ebbe luogo la ricognizione dei periti [Commissione Pellegrino, p.27]. Durante l’esame della Sindone, Frei si rese conto della presenza sulla superficie del telo di abbondanti particelle di polvere e, da esperto in microtracce, chiese il permesso per effettuare un prelievo di quella polvere e il suo successivo esame [Wilson 1978, p.61].
Ottenuto il permesso da parte del cardinale di Torino, Michele Pellegrino, Frei insieme a Ghio tornò dalla Sindone, che era tenuta in quel momento in cornice appesa verticalmente in occasione di una esposizione dedicata solo alla televisione e ai giornalisti, e nella notte tra il 23 e il 24 novembre 1973 eseguì i suoi prelievi.
Frei dichiarò di essersi servito per tale operazione di nastri adesivi speciali, senza precisare di che tipo, in numero di 12, per una superficie totale di cm2 , quindi ogni pezzo di nastro misurava in media 20 cm2 .
Ogni pezzo di nastro veniva messo “in contatto con la superficie con leggera pressione” e poi veniva ripiegato su se stesso, per escludere “perdite di materiale o contaminazioni secondarie” [Frei 1979, p.191].
I punti della Sindone interessati dal prelievo furono le parti inferiori del telo, là dove si poteva arrivare alzando e allungando le braccia, dato che la Sindone era esposta attaccata alla parete in verticale. Queste parti, secondo l’usuale suddivisione in zone della mappa sindonica proposta da R. Gervasio nel 1978 [Gervasio], sono definite 1A-2A e 1D-4D [Frei 1979, p.191]. Con le lettere maiuscole dalla A alla D si indicano le quattro strisce verticali in cui si considera divisa la Sindone, la striscia A è la prima striscia a sinistra per chi guarda e D è l’ultima striscia a destra. Con i numeri arabi da 1 in su si indicano delle strisce orizzontali a partire dai piedi della figura frontale. La striscia orizzontale 4 corrisponde alla zona degli avambracci nella figura frontale. Data la posizione verticale della Sindone, in quella notte era impossibile per Frei raccogliere campioni più in alto, senza servirsi di un adeguato supporto elevatorio.
Ian Wilson, che intervistò a lungo Frei e compì dei viaggi insieme a lui, pur non essendo stato presente nel 1973, descrive così il prelievo effettuato da Frei:
«His method was absurdly simplex: He pressed small pieces of clean adhesive tape onto the surface of the
linen, then sealed these into plastic envelopes and put them into the modest satchel that he carries constantly
with him» [Wilson 1978, p.61].
(Il suo metodo era estremamente semplice. Premeva piccoli pezzi di nastro adesivo pulito sulla superficie del lino, poi li sigillava dentro buste di plastica e li riponeva nella modesta borsa che portava costantemente con sé).
Per due anni e mezzo non si seppe più niente del suo lavoro.
10. Il clamoroso annuncio del 1976
Agli inizi del 1976 la Sindone stava tornando argomento di moda a Torino. Per il 3 aprile infatti era prevista una grande esposizione sul tema, alla cui inaugurazione doveva presenziare anche monsignor Giulio Ricci, famoso teologo e sindonista. Inoltre era attesa da un momento all’altro la pubblicazione del rapporto scientifico redatto dalla commissione incaricata di studiare la Sindone (Commissione Pellegrino), che aveva operato dal 1969 al 1973 e aveva annunciato di lì a poco la consegna alle stampe dei suoi risultati [Gazzetta del Popolo 21 marzo 1976].
Frei battè tutti sul tempo. Il 3 marzo 1976, per la prima volta, il nome di Max Frei e i risultati delle sue ricerche furono comunicati al grande pubblico, nel corso del programma radiofonico, ‘Sunday’, andato in onda sulla stazione ‘Radio 4’ della BBC:
«[Frei] was able to verify that there were specks of pollen present from Constantinople … and from plants
known to have grown in Palestine some twenty century ago» [Sox, p. 87].
(Frei fu in grado di accertare che c’erano granuli di polline provenienti da Costantinopoli e da piante che crescevano in Palestina venti secoli fa).
Poi il giorno 8 marzo 1976 Frei spedì a La Stampa di Torino un comunicato in cui si annunciavano i suoi primi clamorosi risultati. Di tale comunicato non siamo riusciti a rintracciare la versione integrale, ma La Stampa del 20 marzo 1976 ne pubblicò ampi stralci, riportando tra virgolette quelli che si intende essere brani originali del comunicato stesso:
«Non so se nel lenzuolo è stato avvolto il cadavere di Gesù Cristo e se si tratta dello stesso lino di cui si parla nel Vangelo. Posso però affermare con certezza che quella stoffa risale all’epoca di Cristo e che è stata esposta in Palestina, Turchia, Francia e infine in Italia a Torino …».
«In occasione della ostensione della Sindone tre anni fa, quale membro della commissione scientifica che doveva autenticare le fotografie scattate alla reliquia nel 1969, mentre stavo studiando il tessuto per confrontare le strutture originali con quelle impresse nelle fotografie, mi accorgevo che sulla tela non c’erano soltanto le impronte note ma c’erano anche tracce di minutussimo pulviscolo di origine ignota e antica. Proponevo l’indagine di quei granelli, ottenendo poco tempo dopo il benestare per il prelievo di alcuni campioni …».
«Il metodo da me usato si basa sulla analisi di campioni di polline prelevati dalla Sindone, trattati prima al microscopio e poi con particolari reagenti chimici, quindi “comparati” con altri microfossili d’uguale epoca …».
«Era soprattutto importante isolare i tipi di piante che mancano nell’Europa Occidentale, stabilire il luogo
in cui crescono, la antichità dei granelli di polline rintracciati nel tessuto e confrontare le loro caratteristiche
con reperti dello stesso luogo geografico e di uguale datazione …».
«La presenza di polline appartenente a ben sei specie di piante palestinesi e di una pianta della Turchia,
oltre a otto specie mediterranee, già oggi prima di nuovi prelievi e prima di terminare l’identificazione di
tutti i microfossili, permette di concludere definitivamente che la S. Sindone non è una mistificazione.
Zurigo 8 marzo 1976» [Stampa 20 marzo 1976, p.5].
La notizia della ‘prova scientifica’ inconfutabile dell’autenticità della Sindone fece rapidamente il giro del mondo.
E girando, si ingigantì. La curiosità, negli ambienti interessati, salì al massimo livello e molti si saranno posti una serie di domande. Come aveva fatto Frei, durante l’esame della Sindone nel 1973, magari guardando al microscopio, ad accorgersi che ‘c’erano anche tracce di minutissimo pulviscolo di origine ignota e antica’? Sicuramente aveva messo a punto un metodo per distinguere a vista le particelle di pulviscolo, anche se ignote, fra recenti e antiche. Come aveva poi proceduto per stabilire ‘la antichità dei granelli di polline rintracciati nel tessuto’ e poterli così confrontare ‘con reperti dello stesso luogo geografico e di uguale datazione’?
Per mettere un freno alle fantasie che si andavano diffondendo nei giorni seguenti alla pubblicazione del comunicato stampa di Frei, il Centro Italiano di Sindonologia (CIS) richiese e ottenne da Frei una relazione ufficiale sullo stato dei suoi studi, anche se ancora non completati. Questa prima relazione di Frei fu pubblicata nel numero di aprile 1976 della rivista Sindon (non sappiamo però la data di stampa effettiva del fascicolo), con un riassunto introduttivo a opera dei responsabili del CIS. Ecco le frasi di apertura di tale riassunto introduttivo, ripetuto in cinque lingue diverse, cosa che presupponeva la sua diffusione in tutto il mondo:
«Il nome di Max Frei è in questi giorni sceso dalle vette delle riviste specializzate per comparire sui
giornali di informazione a vasta tiratura sia italiani che stranieri. Le informazioni giornalistiche, alimentate
anche da precisazioni dovute più a fantasia che a realtà, lo hanno indicato come il più valido paladino
della autenticità della Sindone, in nome di una nuova scienza che, come già tante altre, hanno dovuto
interessarsi alla Reliquia» [Frei 1976, p.5].
Nel breve articolo di Frei si trovano due affermazioni, che qui riportiamo senza commenti, in quanto le abbiamo già analizzate, seppure sotto altra forma, tratte da altri articoli. La prima è:
«La conservazione di detti granuli, avviene – allo stato secco – in maniera indefinita in quanto i granuli
sono avvolti in una pellicola molto resistente anche alla azione degli acidi, del calore, o di sostanze
caustiche» [Frei 1976, p.8].
La seconda affermazione, che costituiva la più clamorosa scoperta, è la seguente:
«Il polline più frequente sul Lenzuolo è identico al polline più frequente nei sedimenti del lago di Genezaret
negli strati sedimentati duemila anni fa» [Frei 1976, p.8].
Frei fa invece marcia indietro rispetto al comunicato stampa di un mese prima sulle illazioni riguardanti l’antichità del polline, precisando che le datazioni si possono evincere solo dallo studio stratigrafico dei depositi in cui il polline stesso è stato ritrovato:
«Nel caso che i granuli di polline si depositino su una superficie lacustre i granuli stessi possono immergersi
nel liquido fino al raggiungimento del fondo sedimentando con lo stesso.
Ad ogni successivo deposito di materiale corrispondente ad un’era temporale si hanno successivi depositi
di granuli che possono quindi essere riportati (e rapportati) ad una datazione precisa» [Frei 1976, p.8].
Notiamo anche che a questa data Frei non fa nessun accenno all’uso del microscopio elettronico, che pure, come abbiamo già rilevato, in seguito dirà essere pratica indispensabile per determinare la specie dei singoli granuli. Il riassunto iniziale spiegava come, a seguito di clamorose notizie giornalistiche ‘dovute più a fantasia che a realtà’, quel Centro abbia “ritenuto opportuno pregarlo di stendere queste note che danno la esatta situazione del suo studio” [Frei 1976].
In conclusione, Frei e i curatori della rivista Sindon sembrano accusare i giornalisti di essersi inventati un metodo inesistente per datare i pollini, al di fuori della stratigrafia. I giornalisti de La Stampa hanno riportato il discorso tra virgolette, come se quelle fossero state le esatte parole di Frei. Ci si domanda a questo punto se un comunicato stampa da parte di Frei, con quelle frasi e datato ‘Zurigo 8 marzo 1976’ sia mai esistito e, se non è mai esistito, per quale strano motivo i giornalisti della Stampa abbiano sentito la necessità di inventarselo.
11. I viaggi di Frei e il documentario ‘The silent witness’
a - Formazione del trio Rolfe – Wilson - Frei
Agli inizi del 1976 David Rolfe, di Londra, lavorava nel mondo della televisione e aspirava a diventare produttore televisivo. Gli era capitato fra le mani il copione di un progetto di documentario televisivo riguardante la Sindone di Torino, scritto da Ian Wilson, dal titolo «He is risen … The story of the Holy Shroud of Turin». Wilson, laureato in storia, era all’epoca addetto ai servizi pubblicitari del quotidiano Bristol Evening Post, ma aveva ben altre aspirazioni. Da dieci anni stava raccogliendo documentazione e andava elaborando una teoria sulla Sindone di Torino: il Mandylion di Edessa, conosciuto fin dai primi secoli dell’era cristiana, non era altro che la Sindone di Torino conservata ripiegata in modo da lasciare visibile solo il volto dell’immagine. Le prove erano, secondo lui, l’identità tra il volto del Mandylion e quello della Sindone e il fatto che al Mandylion-Sindone faceva riferimento tutta l’iconografia relativa a Gesù dal VI secolo in poi. Wilson, a causa della natura della sua ricerca e a causa del suo matrimonio con una donna cattolica, si era convertito passando dall’agnosticismo al cattolicesimo [Rolfe, pp.9, 13,15-18, 21-24].
David Rolfe fu subito attirato dal progetto di Wilson, che fece proprio, e iniziò a spargere la voce di questa sua prospettiva. Venne a conoscere il nome di Max Frei perché un imprenditore texano, che aveva conosciuto l’anno precedente a Riyad, Arabia Saudita, in occasione di uno dei suoi viaggi di lavoro, gli inviò il ritaglio di un giornale di Houston, evidentemente un’eco del comunicato stampa datato ‘Zurigo 8 marzo 1976’, in cui si riferivano ‘prove’ che convalidavano il supposto itinerario percorso dal Mandylion-Sindone, secondo la teoria di Wilson.
Rolfe, che in seguito parlò a lungo con Frei, racconta che in quel momento Frei aveva intenzione di compiere dei viaggi di ricerca, finalizzati allo studio dei pollini sindonici, ma non aveva ancora potuto effettuarli:
«What he wanted to do now was to travel to those places and examine the local plants in order to see
how many of the unidentified pollens fell into these Eastern Mediterranean categories» [Rolfe, p.26].
(Ciò che egli voleva fare adesso era viaggiare per quei luoghi ed esaminare le piante locali allo scopo di vedere quanti dei pollini non identificati erano compresi in categorie del Mediterraneo orientale).
Così Rolfe scrisse a Frei e, ai primi di maggio 1976, i due si incontrarono brevemente all’aereoporto di Zurigo.
Frei accettò di partecipare al progetto di Rolfe, in cambio della copertura delle spese dei viaggi in Medio Oriente, necessari per completare il suo lavoro, oltre a un compenso:
«On the basis that David’s company would underwrite his expenses during his Middle Eastern journeys,
in addition to the fee, Dr Frei agreed to become one of the David’s growing team» [Rolfe, p.26].
(Con la condizione che la ditta di David si sarebbe accollata la spesa dei suoi viaggi in Medio Oriente,
oltre il compenso, il dr. Frei accettò di diventare un membro della squadra di David ancora in formazione).
Non sappiamo a quanto ammontasse il compenso promesso da Rolfe a Frei, ma, per farci un’idea, ricordiamo che egli pagò a Jumper e a Jackson, al momento del reclutamento per lo stesso documentario, duemila dollari [Heller, p.46].
Anche Wilson, venuto a conoscenza del lavoro di Frei per il tramite di Rolfe, volle incontrarlo e nell’estate 1976 si recò a Thalwil, il sobborgo di Zurigo dove il criminologo svizzero risiedeva, per discutere e accordarsi con lui [Wilson 2000, p.81].
b - Il viaggio di ricognizione e di studio
Dopo che il programmato documentario era stato finanziato da Harry John, un milionario americano, fervente cattolico, Rolfe, Wilson e Frei partirono per il loro primo viaggio:
«He [Rolfe] organised a journey of reconnaissance for Wilson and himself, taking Max Frei, too, in fulfilment
of the obligation he had undertaken to the Swiss criminologist. In November 1976, he and Wilson flew to
Istanbul, to rendezvous with Dr Frei at the Intercontinental Hotel» [Rolfe, p.52].
(Rolfe organizzò un viaggio di avanscoperta per Wilson e se stesso, portandosi dietro anche Frei, per adempiere
l’obbligo che si era assunto nei confronti del criminologo svizzero. Nel novembre 1976 egli e Wilson volarono a
Istanbul dove avevano appuntamento con Frei all’Hotel Intercontinental).
A Istanbul Frei si dedicò alla raccolta di pollini delle piante che crescevano sui muri dei monumenti e sui ruderi della città e dopo qualche giorno il trio si recò a Urfa (antica Edessa), dove Frei si dedicò alla raccolta di piante nei dintorni, per trovare una prova del passaggio del Mandylion-Sindone da quelle parti:
«Meanwhile, Dr Frei ranged the surrounding escarpments, happily collecting the specimens that would fill out
his chapter in the story of the Shroud» [Rolfe, p.59].
(Intanto il Dr. Frei girovagava per i dirupi lì intorno, felice di raccogliere campioni che avrebbero completato il suo capitolo
nella storia della Sindone).
La terza tappa di questo viaggio del trio, fu Israele. Anche qui Frei raccolse campioni e Rolfe decise che non vi sarebbero più tornati per fare le riprese del documentario, forse a causa di difficoltà incontrate al momento dell’ingresso, aggravate poi da un pericoloso episodio accaduto al momento del reimbarco. Avrebbero effettuato le riprese nel deserto attorno a Urfa (Edessa) facendo finta che fosse il deserto della Giudea:
«Even the researches of Max Frei could be duplicate for the film. The wilderness of Judaea, where the
Swiss scientist had been collecting his plants, looked little different from the landscapes to be found near
Urfa. The relevant sequence in the film could easily be shot there … The only person who might be sorry
was Max Frei. Not having been to Israel before, he reveled in this new playground. Once he had discovered
two or three varieties relevant to the film’s purposes, however, his work would hardly need to be repeated
in any detail» [Rolfe, p.63].
(Persino le ricerche di Max Frei potevano essere duplicate per il film. Il deserto della Giudea, dove lo scienziato svizzero aveva raccolto le piante, appariva poco diverso dai paesaggi che si potevano trovare vicino Urfa. La scena del film che
a esso si riferiva poteva con facilità essere girata là … L’unica persona che avrebbe potuto essere scontenta era Max Frei. Dato che non era mai stato prima in Israele, questo nuovo scenario era una festa per lui. Comunque una volta che ebbe scoperto due o tre varietà adatte agli scopi del film, difficilmente il suo lavoro avrebbe dovuto essere replicato in ogni dettaglio).
Con questo viaggio, Rolfe aveva assolto l’obbligo che si era assunto di finanziare i viaggi di studio di Frei:
«He [Rolfe] had fulfilled his obligation to Dr Frei and would soon receive in return the criminologist’s
definitive report. It was already clear that the field-trip had extended the favourable nature of Max Frei’s
evidence» [Rolfe, p.65].
(Egli aveva adempiuto ai suoi obblighi verso il Dr. Frei e avrebbe presto ricevuto in cambio la relazione definitiva del criminologo. Già era chiaro che quel viaggio sul campo aveva accresciuto le prove positive di Max Frei).
c - La relazione di Frei per Rolfe
Una volta tornati a casa, Frei si affrettò a stendere il rapporto sui risultati del viaggio, che era pronto già nei primi mesi del 1977:
«One direct consequence of the journey to the Middle East was that Dr Frei was at last able to finish his
report on the origins of the pollens he had found. He named five plants from the desert regions of the Holy
Land, two which grew habitually on the desert borders. Two of the pollens derived from plants that grew
in Turkey. In addition, there were spores from at least eight other Mediterranean plants» [Rolfe, p.67].
(Conseguenza diretta del viaggio in Medio Oriente fu che alla fine il Dr. Frei fu in grado di terminare la sua relazione sulla provenienza dei pollini che aveva trovato. Egli identificò cinque piante delle regioni desertiche di Terra Santa, due che crescevano abitualmente ai margini del deserto. Due dei pollini derivavano da piante che crescevano in Turchia. Inoltre, c’erano spore di almeno otto altre piante mediterranee).
Noi non abbiamo il testo del rapporto che Frei inviò a Rolfe, ne conosciamo solo un brano, in quanto citato da Rolfe nel suo libro. Scriveva in esso Frei:
«Apart from what we already know from historical sources about the displays at Torino, Vercelli and
Chambéry, which have left their traces, it is possible in the actual state of our knowledge to confirm
that the Shroud is contamined with pollen from desert plants growing in Israel, from a forest plant and
a species from the steppe of Turkey, and from a grass from the sanddunes of the Mediterranean shores.
The greatest number of pollen grains identified comes from Mediterranean plants which grow in Palestine,
at Istanbul and partly at Torino» [Rolfe, p.67].
(A prescindere da quanto sappiamo già dalle fonti storiche in merito alle ostensioni a Torino, Vercelli e Chambéry, che
hanno lasciato le loro tracce, è possibile allo stato attuale delle nostre conoscenze confermare che la Sindone è
contaminata con polline di piante del deserto che crescono in Israele, di una pianta tipica della foresta e una specie
delle steppe della Turchia, e di un’erba tipica delle dune di sabbia delle coste mediterranee. Il maggior numero di
granuli pollinici identificati deriva da piante mediterranee che crescono in Palestina, a Istanbul e in parte a Torino)
Quindi il più importante risultato di questa spedizione è stato l’aver riconosciuto uno dei pollini presenti sulla Sindone come polline tipico di una pianta delle steppe anatoliche, che fino ad allora non era stato identificato, oltre il riconoscimento di altri cinque tipi di polline come di piante specifiche di Israele.
A questo punto dobbiamo soffermarci un attimo a mettere in risalto l’apparente contraddizione di questo risultato con quello che era stato il più importante risultato del lavoro di Frei nel 1976, la scoperta cioè che il polline più frequente sulla Sindone era uguale al polline più frequente nei sedimenti del Mar Morto risalenti a 2000 anni fa. Ora si dice che la maggior parte dei granuli trovati sulla Sindone erano di piante diffuse nel Mediterraneo. Su questo punto la confusione o la menzogna resta sovrana.
d - Il viaggio per registrare il documentario
Il 29 luglio 1977, Rolfe con tutta la sua troupe partì da Londra per la Francia. La prima destinazione fu Chambéry, per passare poi a Lirey, nelle vicinanze di Troyes. Poi tutti si reimbarcarono su un aereo e giunsero a Istanbul, dove con alcuni accorgimenti, riuscirono a filmare nonostante le difficoltà di una burocrazia islamica chiaramente ostile a un film basato su un tema cristiano [Rolfe, pp.137, 139, 145, 147].
Qui alla troupe si unì anche Frei, proveniente da Zurigo, in quanto nella tappa successiva sarebbe stato lui l’attore principale:
«He [Frei] would travel on with them, so that near Urfa they might reconstruct and film the researches he
had actually done in Israel» [Rolfe, p.149].
(Frei avrebbe continuato il viaggio con loro, in modo che vicino Urfa avrebbero potuto ricostruire e filmare le ricerche che in realtà egli aveva compiuto in Israele).
Arrivati a Urfa [Edessa] identificarono una località non lontana dalla città per girare la scena di Frei che si aggirava nel deserto della Giudea:
«The area appeared to the camera to be a wilderness – the very Wilderness of Judaea that they were
attempting to recreate … In the film, Dr Frei wanders through authentic semidesert, picking and clutching
various small plants. Over his image, his Swiss sing-song floats: ‘This plant is Suaeda. In this particular
variety it is known only in Palestine. I found pollen from it on the Shroud … And this here is Paganum
Hamala, a desert plant that is very frequent between Jericho and the Dead Sea, I found pollen from this
plant, too, on the Shroud …’ The sequence has drama and conviction. Introduced by a long shot of
Jerusalem, it leaves no doubt of his authenticity in the minds of audience» [Rolfe, p.154].
(Alla macchina da ripresa la zona appariva come un deserto – proprio il Deserto della Giudea che stavano cercando di riprodurre … Nel film, il Dr. Frei vaga per una autentica zona semidesertica, raccogliendo e tenendo in mano alcune piccole piante. Sopra l’immagine la sua voce ondeggia come una cantilena svizzera: ‘Questa pianta è la Suaeda. Questa particolare varietà è conosciuta solamente in Palestina. Ho trovato pollini di questa pianta sulla Sindone … E questa qui è Paganum hamala, una pianta del deserto che è molto frequente fra Gerico e il Mar Morto. Ho trovato anche il polline di questa pianta sulla Sindone …’ La sequenza possiede dramma e realismo. Introdotta da una lunga ripresa di Gerusalemme, non lascia dubbi sull’autenticità nella mente degli spettatori).
Senza più seguire le vicende delle riprese in Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti, terminiamo il racconto per quanto riguarda Frei. Nel settembre del 1977, si tenne il ‘Symposium on the Shroud’ presso ‘The Anglican Institute of Christian Studies, London’, nei giorni 16-17 settembre 1977, a cui lo stesso Frei partecipò insieme a Wilson [Sox, pp.168-169]. È questo il primo convegno di sindonologia cui Frei abbia partecipato. Purtroppo di esso non si trovano atti o resoconti scritti. In coincidenza con questo avvenimento, Rolfe prese in affitto una stanza in Holland Park Road e la arredò con microscopi, tavoli da lavoro, carte, preparati vari e macchinari di misterioso significato addossati alle pareti, per simulare il laboratorio-studio di Frei. Qui fu registrato il secondo intervento di Frei nel documentario:
«These [pollens] at first are from plants common in North Europe – the beech, the yew – and Dr Frei can
tell us happily, ‘They only confirm what we already know – that the Shroud was exposed to the open air
in France and Italy. But then I came across this one.’ Experts fingers manipulate the microscope; on the
screen we see the relevant spore. ‘Linum Mucronatum’, Dr Frei tells us, to our delighted incomprehension.
Symbols on a map demonstrate its origin in Asia Minor. Other names follow, other symbols; the camera
creeps closer and closer to Turkey. Dr Frei abandons the microscope and looks at us directly, perhaps a
little sternly. ‘The presence of such a significant number of pollens from plants growing in Turkey leads
me to one fundamental conclusion – at some point in his history the Shroud must have been exposed
to the air in Southern Turkey or the surroundings of Istanbul’».
(Per cominciare questi pollini vengono da piante comuni nell’Europa del Nord - il faggio, il tasso - e il Dr. Frei può comunicarci gioiosamente: ‘Essi semplicemente confermano quel che sapevamo già – che la Sindone è stata esposta all’aria aperta in Francia e in Italia. Ma poi mi sono imbattuto in questo’. Dita esperte manipolano il microscopio; sullo schermo noi vediamo la spora in questione. ‘Linum Mucronatum’, ci dice il Dr. Frei, deliziandoci anche se non comprendiamo. Dei simboli su una mappa dimostrano la sua provenienza dall’Asia Minore. Seguono altri nomi, altri simboli; la macchina da ripresa lentamente si avvicina sempre di più alla Turchia. Il Dr. Frei lascia il microscopio e ci guarda direttamente, forse un po’ troppo rigidamente. ‘La presenza di un numero così significativo di pollini proveniente da piante che crescono in Turchia mi porta a una conclusione fondamentale: in qualche momento della sua storia la Sindone deve essere stata esposta all’aria nella Turchia del Sud o nei dintorni di Istanbul’).
Infine l’intervento di Frei nel film si conclude:
«‘The presence of pollen from such plants growing exclusively in the land of the Bible and the
surrounding deserts permits only one conclusion – that in some time of its history, the Shroud was
exposed to the open air in Palestine.’» [Rolfe, pp.170-171].
(La presenza di polline proveniente da tali piante, che crescono solamente nella terra della Bibbia e nei deserti circostanti, ci portano a una unica conclusione – che in qualche momento della sua storia la Sindone è stata esposta all’aria aperta in Palestina).
e - Conclusione
Alla fine di questa lunga esposizione, dobbiamo convincerci che ‘The silent witness’ più che un documentario è stato una fiction. Per quanto il ruolo dell’attore sia in genere ben visto e prestigioso, è difficile immaginarci altre figure di professionisti che svolgano questo lavoro. In particolare il lavoro dello studioso e del ricercatore è visto come qualcosa di molto serio e sempre credibile e mal si adatta a confondersi con la figura dell’attore.Uno scienziato di fama, in particolare un botanico che si presta a recitare come un consumato attore, dichiarando al pubblico ‘Mi trovo nel deserto della Giudea’ mentre è in Turchia, ‘Questa pianta è Suaeda aegyptiaca’ tenendo in mano una pianta qualsiasi, secondo me va incontro a una forte diminuizione del suo prestigio e della sua credibilità. Sono innumerevoli i casi di scienziati intervistati per far conoscere al pubblico le loro scoperte, ma non sono sicuro che ci siano stati altri episodi del genere in cui uno scienziato si sia prestato a una pantomima, sullo stile di quanto ha fatto Max Frei per il documentario ‘The silent witness’.
Un’altra osservazione si impone a questo punto e riguarda il numero dei viaggi di Frei per cercare confronti con i pollini sindonici. Nella relazione che Frei tenne al congresso di Torino il 7 ottobre 1978, in merito ai suoi viaggi Frei dichiarò:
«Inoltre era necessario recarsi in Palestina, Turchia, a Cipro e in Francia per collezionare materiale pollinico
di confronto e questo, ovviamente, nei diversi periodi e nelle diverse epoche di fioritura.
La maggior parte dei viaggi è stata da me autofinanziata ma colgo l’occasione di esprimere la mia gratitudine
alla Screenpro Films di Londra [la ditta di Rolfe] ed al Centro Internazionale di Sindonologia di Torino che
mi hanno dato un valido appoggio finanziario per compiere ulteriori viaggi nel vicino Oriente, facilitandomi
così la identificazione del polline non rappresentato in modo ineccepibile negli erbari» [Frei 1979, p.192].
Come abbiamo visto Frei nel 1976 e nel 1977 viaggiò con Rolfe e a spese di questi, e fu pagato per la sua partecipazione al documentario. Inoltre, come dice lui altri viaggi furono finanziati dal CIS (Centro Internazionale di Sindonologia) di Torino.
Il suo amico e collaboratore Ghio ha testimoniato che Frei compì un viaggio a Cipro, non sappiamo quando ma possiamo immaginarci nella primavera-estate del 1978. Probabilmente fu questo il viaggio finanziato dal CIS. Lo stesso Ghio effettuò per conto di Frei numerosi viaggi di raccolta:
«Sappiamo dei suoi viaggi in Terra Santa ed a Cipro mentre l’area botanica Turca, ove peraltro eseguì
ricerche, era affidata alle mie inesperte cure. .. Ed un turismo in tenda si trasformò per me in una serie
di viaggi che il Frei mi commissionava a seconda delle epoche di fioritura delle piante interessanti» [Ghio
1986, p.116].
Frei compì dunque i viaggi in Israele e Turchia a spese di Rolfe, anzi pagato da lui (Rolfe ha testimoniato, come abbiamo visto sopra, che quello del novembre 1976 fu il suo primo viaggio in quei paesi), e possiamo immaginare che il CIS abbia finanziato il suo viaggio a Cipro. Ghio poi effettuò alcuni viaggi per conto di Frei in Turchia e altrove. Quando e dove Frei compì ‘la maggior parte dei viaggi … autofinanziata’ prima dell’ottobre 1978, data della sua relazione al convegno?
Certamente non siamo in grado di dimostrare dove egli sia stato giorno per giorno, ma la sua affermazione ci lascia molti dubbi e perplessità.
12. Il convegno del 1978, il trionfo di Frei e i nuovi prelievi
Il primo convegno sindonico, cui risulta che Frei abbia partecipato, è quello di Londra del 16-17 settembre 1977, organizzato da The Anglican Institute of Chistian Studies di Londra. Ma non si trova nessuna fonte che riporti quanto in questa occasione è stato fatto e detto [shroud.com/history; Rolfe, p.170]. Invece per il convegno di Torino del 7-8 ottobre 1978 abbiamo qualche resoconto di testimoni oculari e la relazione scritta dello stesso Frei, pubblicata nel 1979, tra gli atti di quel convegno.
Già nei mesi precedenti all’apertura del congresso l’attesa per l’intervento di Frei era diventata l’elemento dominante, negli ambienti sindonici. La preparazione al convegno si può dire iniziata il 30 marzo 1978, quando la prima rete televisiva italiana mandò in onda il documentario di Rolfe, tradotto col titolo “Il testimone silenzioso”. Il 13 aprile seguente, con un articolo del prete giornalista Pier Giuseppe Accornero, il ‘comitato diocesano’ per la preparazione dell’ostensione e del convegno scientifico a essa collegato presentò il programma delle manifestazioni. Il primo degli scienziati citati da Accornero è appunto Max Frei:
«Molto attesa è “la prova scientifica del polline” che verrà presentata dal professor Max Frei, dell’Università
di Zurigo, criminologo di fama europea, specializzato nello studio delle micro-orme» [Accornero].
Ancora il giorno 7 ottobre, giorno dell’apertura del convegno degli scienziati, sui quotidiani si ripetono quasi le stesse frasi:
«Particolarmente attese le comunicazioni dello svizzero Max Frei: dirà i nomi delle piante che vivevano
ai tempi di Gesù e il cui polline è stato trovato sulla Sindone; illustrerà pure i risultati di una indagine
compiuta col contatore Geiger» [Ricciardi].
Il giorno successivo compare sui quotidiani un primo resoconto della relazione di Frei:
Il prof. Max Frey, dell’università di Zurigo ha comunicato ufficialmente il nome di tutte le piante il cui polline
è stato trovato sulla Sindone. Tredici appartengono alla Palestina. “Questo – ha detto Frey – testimonia
la presenza della Sindone a Gerusalemme e a Costantinopoli, e rafforza la tesi che lo stesso Mandilyon gia'
conservato ad Edessa sia la stessa Sindone custodita a Torino. Lo spettro pollinico esclude categoricamente
qualsiasi possibilità di falso” [Gazzetta del Popolo, 8 ottobre 1978].
Oltre gli scarni ma significativi resoconti dei quotidiani abbiamo anche qualche testimonianza diretta di persone presenti e maggiormente coinvolte dal punto di vista emotivo. In primo luogo Frei stesso ci fa sapere che nel corso del suo intervento egli proiettò le immagini di tutti i 48 tipi di polline da lui trovati, sino ad allora, sulla Sindone [Frei 1983, p.280].
Ecco come la sindonista spagnola Manuela Corsini de Ordeig racconta l’entusiasmo suscitato negli ascoltatori
dalla relazione di Frei:
«Pero el remate experimental de estas dos tesis [di Georges Gharib e di Ian Wilson] vino después, cuando
Max Frei habló de los restos hallados en el polvo de la Síndone extraído por él en 1973. En dicho polvo
halló, el eminente palinólogo y especialista en micro-huellas, polen de plantas de diversos lugares (como
se explicará más detalladamente capítulos adelante) en el que las especies de plantas que más abundan
son precisamente las de los alrededores de Edesa: con lo que se demuestra su larga permanencia en
ese país. Según Max Frei, para una tal abundancia de pólenes de un lugar hace falta una estancia en
él de por lo menos 600 años.
La convergencia de estas tres ponencias, llegada cada una al mismo punto por caminos diferentes y
por investigadores que ningún contacto tuvieron entre sí, fue algo que nos dejó suspensos y
entusiasmados a los 350 congresistas que estábamos presentes, hasta el punto de romper en aplausos
con los que tratamos de premiar y agradecer los trabajos de los tres investigadores, el testimonio de
los casi invisibles granitos de polen, el amor de Cristo y la sabiduría infinita de Dios que mostraba su
grandeza enredada de entre unos hilos» [Corsini de Ordeig 2004, p,72].
(Ma la controprova sperimentale di queste due tesi giunse quando Max Frei parlò dei reperti trovati nella polvere della Sindone da lui prelevata nel 1973. L’eminente palinologo e specialista in microtracce trovò polline di piante di diverse zone (come si spiegherà più dettagliatamente nei prossimi capitoli) nel quale le specie di piante più abbondanti sono quelle dei dintorni di Edessa: con ciò si dimostra la sua lunga permanenza in quel paese. Secondo Max Frei, per avere tale abbondanza di polline di un luogo, è necessaria una permanenza di almeno 600 anni. La convergenza di queste tre relazioni, pervenuta ciascuna al medesimo punto per strade differenti e per opera di ricercatori che non ebbero nessun contatto tra di loro, fu un qualcosa che lasciò meravigliati ed entusiasti tutti noi, i 350 congressisti che eravamo presenti, fino al punto di erompere in applausi, con i quali intendavamo premiare e dimostrare il nostro gradimento per i lavori dei tre ricercatori, per la testimonianza dei quasi invisibili granelli di polline, per l’amore del Cristo e la sapienza infinita di Dio che mostrava la sua grandezza annidata dentro alcuni fili).
Non c’è dubbio che nel 1978 i cultori della Sindone ebbero la loro massima soddisfazione: la prova scientifica incontrovertibile dell’autenticità del telo. Se possiamo essere sicuri dell’entusiasmo degli ascoltatori presenti al convegno di Torino il giorno 7 ottobre 1978, molti dubbi ci vengono immediatamente su quanto in quel giorno sarebbe stato affermato da Frei. Possibile che Frei abbia affermato che i pollini più frequenti sulla Sindone fossero quelli proveniente da piante dei dintorni di Edessa? Possibile che abbia affermato che per depositare una tale quantità di pollini, la Sindone doveva aver soggiornato a Edessa per almeno 600 anni? Infatti non ha mai contato i granuli di polline prelevati. Inoltre, quali possono essere stati i criteri che lo avrebbero indotto a calcolare in almeno 600 anni la permanenza della Sindone in Edessa, per poter raccogliere su di sé un tal numero di pollini? Nel testo scritto da Frei relativo a questa conferenza del 7 ottobre 1978, non compare nessuna affermazione somigliante a quelle riferite da Manuela Corsini de Ordeig.
Per di più nel 1976 Frei aveva scritto che il polline più frequente sul lenzuolo corrispondeva al polline più frequente negli strati sedimentati nel lago di Genezaret 2000 anni fa. Possibile inoltre che abbia lasciato intendere che non aveva avuto precedenti contatti con Ian Wilson, dopo i due viaggi in Medio Oriente fatti insieme? È ovvio che si pone una alternativa: o Frei parlava a caso mirando solo a suscitare lo stupore degli ascoltatori oppure la nostra Manuela ha avuto delle visioni, immaginandosi che Frei facesse tutte quelle affermazioni.È stato Bruno Bonnet-Eymard, frate ultratradizionalista, editore del periodico La Contre-Réforme Catholique au XXe Siècle e il più arrabbiato dei Sindonisti, che ci ha lasciato un'altra descrizione della relazione tenuta da Frei a Torino il 7 ottobre 1978:
«Elle [la indentificazione Sindone-Mandylion] a pourtant reçu une éclatante vérification, au Congrès de Turin,
de la très attendue communication de Max Frei …
Frei, qui n’est pas catholique mais protestant zwinglien, a identifié quarante-neuf espéces de pollens dans
la poussière recueillie sur la surface du Suaire. Il en a fourni la liste détaillée à chacun des membre du
Congrés, en même temp qu’il en exposait les photos effectuées sous les forts grossissements du
microscope électronique qui le rend si facillement reconnaissables …
Mais l’élément de loin le plus important de son enquête, celui qui a déchâiné notre enthousiasme au
Congrès de Turin, est bien la découvert des pollens fossils datant de l’époque du Christ, correspondant
à certains de ceux que Frei recueillit sur le Suaire!» [Bonnet-Eymard 1979, pp.21-22].
(L’identificazione ha pertanto ricevuto una clamorosa conferma, al congresso di Torino, dalla attesissima relazione di Max Frei … Frei, che non è cattolico, ma protestante seguace di Zwingli, ha identificato 49 specie di pollini nella polvere raccolta dalla superficie della Sindone. Ha fornito l’elenco dettagliato a ciascun congressista e inoltre ha proiettato le foto riprese sotto i forti ingrandimenti del microscopio elettronico che li rende facilmente riconoscibili … Ma l’elemento di gran lunga più importante della sua indagine, quello che ha scatenato il nostro entusiasmo al congresso di Torino, è sicuramente la scoperta di pollini fossili databili all’epoca di Cristo, corrispondenti ad alcuni di quelli che Frei ha raccolto sulla Sindone!).
In questi brani del resoconto sulla relazione di Frei, si nominano per la prima volta le fotografie al microscopio elettronico dei pollini. Questo è sicuramente uno dei punti centrali della nostra trattazione su Frei: Bruno Bonnet-Eymard, e come lui tutti i presenti alla relazione, intesero che le numerose foto presentate al convegno erano di granuli trovati sulla Sindone durante il prelievo del 1973. Inoltre si capiva, dalla relazione verbale, che alcuni di questi granuli erano fossili che risalivano a 2000 anni prima, analoghi a pollini trovati da Frei in sedimenti palestinesi risalenti a quell’epoca. Da qui l’entusiasmo degli uditori esploso, come ha raccontato Manuela Corsini de Ordeig, in una clamorosa standing-ovation.
Fu l’apoteosi di Frei.
La mattina di domenica 8 ottobre 1978 si chiuse la conferenza degli scienziati e lo stesso giorno terminò anche la lunga ostensione pubblica che l’aveva preceduta e accompagnata. Però per alcuni dei convegnisti, tra cui Frei, non fu la fine dei lavori. Quella sera stessa una trentina di scienziati si ritrovarono a Palazzo Reale di Torino, nella Sala della Biblioteca, per dar luogo a una lunga seduta notturna di ricerche sul sacro telo. Quando fu portata la Sindone, stesa su una tavola di legno e appoggiata su dei cavalletti, ancora prima che essa fosse sistemata sull’enorme tavolo metallico rotante, fabbricato e trasportato appositamente da oltre oceano dagli scienziati americani dello STURP, Frei e Ghio scattarono, iniziando a raccogliere campioni con i loro nastri adesivi [Riggi 1982, p.144]. Altrettanto immediata fu la reazione degli scienziati americani, inorriditi dal constatare l’uso di un simile semplicistico metodo di esame: nastro adesivo normale tagliato da un normale dispenser di plastica rossa, applicato a mani nude. Infatti per il prelievo delle polveri erano stati discussi e messi a punto, dagli scienziati italiani e americani, due sistemi: un aspiratore speciale da parte di Giovanni Riggi e una macchina che applicava, con pressione variabile, pezzi di costosissimo nastro adesivo, appositamente fabbricato in America dalla Minnesota Mining & Manifacturing Co. [nota anche come 3M] per conto di Ray Rogers [Riggi 1982, pp.181-182]. Gli americani dovettero abbozzare, infatti Frei aveva ottenuto la preventiva autorizzazione a effettuare i suoi prelievi alla sua maniera, e l’unica soddisfazione ottenuta fu di fargli indossare dei guanti di cotone, portati anche quelli dall’America, dopo una lunga discussione tra Frei e Jackson se era preferibile un possibile inquinamento ‘europeo’ del telo e dei prelievi a causa delle mani nude di Frei oppure un inquinamento ‘americano’ a opera degli stessi guanti provenienti da oltreoceano
[Riggi 1982, pp.144-145]. Ma quando, verso la fine del suo lavoro, Frei sembrò sul punto di appoggiare un pezzo del suo nastro sull’immagine del volto sindonico, John Jackson insorse e fisicamente gli impedì l’operazione: per evitare più gravi complicazioni intervenne immediatamente il professor Luigi Gonella, che si frappose fra i due. In conclusione a Frei fu impedita quella quasi blasfema azione e dovette accontentarsi di poggiare i suoi nastri ai lati del volto:
«As Barrie [Schwortz, il fotografo ufficiale] recalls, when at one point Frei was about to apply the tape
to the Shroud’s facial image, John Jackson reached out and physically stopped him from doing so,
requiring some fast diplomatic intervention by Prof. Luigi Gonella, the then scientific advisor to the
Archbishop of Turin» [Wilson 2000, p.82].
(Come Barrie Schwortz ci racconta, a un dato momento, quando Frei era sul punto di applicare il nastro alla immagine facciale della Sindone, John Jackson si slanciò avanti e gli impedì fisicamente di farlo, rendendo necessario un intervento diplomatico del Prof. Luigi Gonella, che era all’epoca il referente scientifico dell’arcivescovo di Torino).
A questi scontri scientifici seguirono nel tempo strascichi e ripicche. Gli americani accusarono Frei di aver deteriorato e inquinato la Sindone con le moderne colle del nastro adesivo:
«The examination of the Shroud after the 1997 fire revealed no fire damage, but one very real point of
concern was tell-tale discoloration on the cloth which seem to have appeared wherever Dr Frei applied
his sticky tapes two decades before. By current thinking, the introduction of even the smallest traces
of modern adhesive onto ancient cloth has to be considered undesiderable. And so this approach is
most unlikely to be permitted again» [Wilson 2000, pp.135-136].
(L’esame della Sindone dopo l’incendio del 1997 ha rivelato che non esistevano danni dovuti al fuoco, ma suscitarono una reale preoccupazione certe scoloriture sul tessuto che sembravano essere comparse dove il Dr. Frei aveva applicato i suoi nastri adesivi due decenni prima. Secondo il modo di pensare attuale, l’introduzione della più piccola traccia di adesivi moderni su di un telo antico deve essere considerata non conveniente. Pertanto questo tipo di indagine difficilmente sarà permesso nuovamente).
Dal suo canto, Frei accusò gli americani di aver provocato un inquinamento della Sindone, tramite i guanti di cotone che gli avevano imposto, importati dall’America, e che erano tutt’altro che sterili: per colpa di questi guanti sarebbero stati introdotti dei pollini tipicamente americani, come vedremo nel Cap.18.
13. La presentazione scritta dei risultati nel 1979 e nel 1983
a- La presentazione scritta dei risultati nel 1979
Frei pubblicò il testo della sua relazione, tenuta a Torino il 7 ottobre 1978, negli atti di quel convegno, dati alle stampe nel 1979 a cura di Coero-Borga per le Edizioni Paoline. L’affermazione di partenza di Frei, su cui si basa praticamente tutto il suo lavoro, è la seguente:
«È quindi possibile determinare in base ad un singolo grano di polline da che pianta proviene»
[Frei 1979, p.192].
Si tratta di una affermazione quanto mai ambigua, quasi incredibile in bocca a uno scienziato. In che senso ‘da quale pianta’? Vuol forse dire da quale familia di piante, o da quale tribus, o da quale genus o addirittura da quale species? Dato che nel lavoro di Frei a questa affermazione segue un elenco di 48 specie vegetali, di cui egli ha riconosciuto i pollini prelevati dalla Sindone, dobbiamo arguire che intendeva dire che da un singolo granulo di polline si può risalire alla species. Invece ciò non corrisponde alla realtà e l’elenco redatto da Frei delle specie di provenienza dei pollini è stato contestato da tutti i botanici che hanno rivisto il suo lavoro [Baruch, Scannerini, Bryant, Litt]. Questa sua affermazione iniziale deve essere considerata falsa. Su tale punto ci siamo soffermati in un precedente capitolo (Cap.3).
Continuiamo l’analisi dell’articolo in questione. Un’altra affermazione fondamentale di Frei è la seguente:
«Nel caso della Sindone le piante rappresentate fioriscono in stagioni diverse e vivono in condizioni
ecologiche ben definite e differenti tra di loro.
Il loro polline non è specialmente adatto ai trasporti lontani. La etereogenità ed il quantitativo del polline
non si possono quindi spiegare in base a contaminazioni casuali» [Frei 1979, p.193].
Riguardo a questa dichiarazione di Frei, si capisce bene che cosa egli intendesse per ‘eterogeineità’, dato l’elenco che segue delle 48 diverse specie, ma non si ha il minimo indizio di che cosa significasse per Frei ‘il quantitavo del polline’: dovremmo intendere infatti che egli ha contato il numero totale di granuli trovati su tutti e 12 i suoi nastri e che ha contato anche i granuli divisi per specie; solo così avrebbe senso la sua affermazione di dover escludere la contaminazione casuale. Sappiamo però che non l’ha fatto. Infatti in un altro punto dello stesso lavoro, Frei specifica espressamente di non aver eseguito il conteggio dei pollini:
«Ulteriori analisi di polvere della Sindone possibilmente permetteranno di studiare statisticamente la
frequenza delle specie e di sincronizzarla con lo spettro di frequenza del polline nei vari orizzonti di
sedimentazione del Mare Morto» [Frei 1979, p.199].
Dobbiamo inevitabilmente dedurre che Frei non ha per niente eseguito il conteggio dei pollini prelevati nel 1973 e il suo discorso sul ‘quantitativo del polline’ è assolutamente infondato: Frei fa affermazioni illogiche. Dall’elenco dei pollini presentati, Frei deduce che la Sindone è stata esposta all’aria nelle seguenti aree geografiche: Costantinopoli, Francia, Gerusalemme, Italia, Urfa (Edessa). La sua conclusione è categorica:
«Il lino ha quindi viaggiato e fu contaminato in luoghi diversi» [Frei 1979, p.197].
Aggiunge però una possibile eccezione:
«Lascio aperta la possibilità che una parte del polline provenga dalla fabbricazione del tessuto e forse
pure dalle sostanze aromatiche come l’aloe usate per i procedimenti funerari o dalla pelle umida del
corpo avvolto. Ma sicuramente i pollini posteriori sono di origine eolica durante le ostensioni»
[Frei 1979, p.197].
Le lacune logiche di tale osservazione sono state più volte sottolineate dai commentatori: come si fa a sapere quanta parte del polline può provenire dalla fabbricazione? Come si fa a distinguere quali sarebbero invece ‘i pollini posteriori’? Per esempio, potrebbe darsi che il polline tipico di Costantinopoli oppure il polline di Urfa provengano ‘dalla fabbricazione’?
Peraltro in proposito sorge spontanea un’altra domanda: è possibile che dei pollini si siano depositati sulla tela in una o più località dove essa può aver soggiornato nel periodo trascorso tra il momento della fabbricazione e il suo uso definitivo come telo funebre?
Infine dobbiamo prendere in esame l’ultima delle affermazioni di Frei in questo articolo:
«Se un falsario si fosse procurato un pezzo di tela di lino dalla Palestina (con indubbie difficoltà) recante
polvere di questa zona, sicuramente non avrebbe fatto venire polvere della Anatolia o di Costantinopoli
per simulare un passato della sua opera fraudolenta che in quel tempo non era in discussione»
[Frei 1979, p.200].
Non si riesce a capire quali potrebbero essere le difficoltà, nel XIV secolo, a Troyes, per trovare un telo fabbricato in Palestina, dato che le fiere della Champagne erano ancora famose come i più ricchi e frequentati mercati d’Europa. E un telo fabbricato in Palestina, con molta probabilità, prima di arrivare in Francia sarebbe passato dall’Asia Minore, magari fermandosi in vari mercati per essere messo in vendita.
Resterebbe ancora da parlare delle numerose foto di corredo a questo articolo, ma tratteremo delle foto in un capitolo a parte (Cap.16).
Vediamo ora di capire quale è stato il procedimento di lavoro di Frei:
«Non voglio sottacere le difficoltà pratiche enormi che erano da superare data la piccola dimensione
dei granuli di polline, e dato il fatto che nei libri di palinologia molte specie di piante non furono mai
studiate in ogni dettaglio. Era quindi necessario ricorrere agli erbari di tutti i paesi dove la Sindone
aveva avuto probabilità di esposizione all’aria libera.
Inoltre era necessario recarsi in Palestina, Turchia, a Cipro ed in Francia per collezionare materiale
pollinico di confronto e questo, ovviamente, nei diversi periodi e nelle diverse epoche di fioritura»
[Frei 1979, p.192].
Si ha quindi l’impressione (solo una impressione perché Frei non dice nulla chiaramente) che Frei abbia agito in questo modo: partendo da un granulo di polline proveniente dalla Sindone, ne ha cercato un altro simile proveniente da piante del posto che a lui sembrava più opportuno. Dato che molto spesso i pollini sono indistinguibili fra diverse specie dello stesso genere e a volte anche della stessa famiglia, ha trovato facilmente le affinità che cercava e dall’affinità ne ha dedotto una uguaglianza di specie.
Manca infatti nel lavoro di Frei la spiegazione del perché un dato granulo di polline sia identificato come appartenente a una determinata specie, cioè manca la specificazione di quali fossero, secondo lui, i caratteri che portano a classificare quel granulo come appartenente a una particolare specie e non invece ad altre specie che hanno pollini simili.
Frei cita nella sua bibliografia soltanto un atlante di pollini: una pubblicazione specifica per i dintorni di Istanbul, in cui solo uno dei pollini elencati da Frei (Epimedium pubigerum) è citato e raffigurato, con una foto al microscopio ottico [Aytuğ, p. 13]. Anche Frei nei suoi articoli ha raffigurato tale polline, ma le figure dei due Autori non hanno fra loro alcun punto in comune: i granuli presentati da Aytuğ [fig.4 e 5] sono sferoidali e hanno un diametro di 16-19 μ; i granuli di Frei [fig.6 e 7] sono di forma ovoidale e hanno il diametro di 11 μ. Non si vuole qui mettere in discussione se i granuli di Frei siano o non siano realmente E. pubigerum, potendosi trattare di granuli eccezionalmente più piccoli e fotografati sotto altre angolature.
Si vuole semplicemente sottolineare che essi non possono essere stati catalogati usando il testo e le figure di Aytuğ.
Frei cita inoltre un manuale di palinologia in cui nessuno dei pollini da lui elencati è raffigurato [Erdtmann].
Quindi se ne deve dedurre che tutte le identificazioni di Frei siano un lavoro fatto sulla base di ricerche nuove, da lui stesso effettuate e non ancora documentate. Dato che egli non fa riferimento a lavori di identificazione di pollini già esistenti, non ha alcun valore scientifico dire, come lui fa, che ha trovato sulla Sindone il polline di Anabasis aphylla o di qualsiasi altra delle piante elencate, se non si specifica come è il polline di Anabasis aphylla ricavato direttamente dalla pianta e non si fa vedere che esso è inconfondibilmente eguale a un particolare granulo trovato sulla Sindone, mettendolo anche a confronto, per distinguerlo, con tutti i granuli pollinici simili dello stesso genere o addirittura della stessa famiglia. La stessa cosa avrebbe dovuto fare per la Gundelia tournefortii e tutti gli altri pollini elencati. Ovviamente non è sufficiente che lui dichiari di aver effettuato i necessari confronti (comunque non ha mai dichiarato di averlo fatto), deve farlo vedere a tutti in una pubblicazione scientifica credibile, che possa essere accettata o motivatamente rifiutata dai suoi colleghi palinologi.
Fig.4 Fig.5 Fig.6 Fig.7
Le fig.4 e 5 sono fotografie al microscopio ottico di Epimedium pubigerum, tratte dal libro di Aytuğ, pag.13. Le fig.6 e 7 sono sempre foto di E. pubigerum tratte dall’articolo di Frei del 1979, pag.376, fig. 1 e fig.3. Aytuğ fornisce le misure nel testo, mentre Frei ha disegnato nelle foto una freccia che rappresenta i 10 μ.
b - La presentazione scritta dei risultati nel 1983
L’ultimo articolo di Frei pubblicato a stampa è uscito postumo nel 1983, negli atti del convegno tenutosi a Bologna nel 1981; si trattava del suo intervento in quel convegno e verteva sui risultati ricavati dal materiale raccolto nel 1978. Il ritrovamento sui preparati del 1978 di una decina di tipi di polline già visti sui preparati precedenti e dieci tipi di pollini nuovi non ha comportato per Frei la necessità di dover cambiare in nulla le sue precedenti conclusioni. Sul ritrovamento di un granulo di polline ‘americano’ ci soffermeremo in seguito in un apposito capitolo (Cap.18). Qui ci limitiamo a una osservazione riguardante la distribuzione dei pollini sulla superficie della Sindone:
«La distribuzione del polline sulla stoffa e nella teca di conservazione, secondo il mio punto di vista,
non presenta niente di anomalo» [Frei 1983, p.280].
E l’Autore si dilunga a spiegare che in effetti ci saremmo aspettati un’alta concentrazione di pollini anatolici nella zona del volto sindonico, dato che la Sindone è stata esposta per secoli a Urfa (Edessa) con il solo volto visibile; ma, aggiunge Frei, questo non è avvenuto e ne spiega la possibile ragione:
«Dato il fatto che il Lenzuolo è stato arrotolato, srotolato e piegato tante volte, in occasione della sua
venerazione durante i secoli, una distribuzione più o meno uguale di tutta la polvere su tutta la superficie
non è da escludere [Frei 1983, p.280].
Questa dichiarazione di Frei ci appare in forte contrasto con quanto osservato dagli studiosi che successivamente hanno studiato i suoi nastri. Per esempio un’alta e anomala concentrazione di pollini si ha su un nastro, quello etichettato 6Bd (premuto da Frei sulla Sindone al lato sinistro del volto).
Pertanto non si riesce a capire come Frei possa aver visto una distribuzione omogenea dei pollini sul telo.
Di questo aspetto tratteremo più diffusamente nei Cap.24 e 25.
Un punto rimane estremamente ambiguo in questo articolo. Mi riferisco alle frasi con cui Frei afferma di aver trovato un polline che non ha potuto riconoscere:
«Nel caso dei pollini della Sindone devo confessare che un esemplare molto bello non è ancora stato
possibile identificarlo e nessun altro palinologo, anche straniero, mi ha potuto essere di aiuto fornendomi
il relativo nome.
Un collega mi ha suggerito che potrebbe trattarsi di una pianta estinta e, pur allettato da quella che
sarebbe una splendida scoperta, devo rifiutare questa idea sino a quando non avrò una prova concreta
che dovrebbe risultare da un confronto con polline fossile» [Frei 1983, p.278].
Si trattava forse dell’unico granulo che egli non aveva riconosciuto? Nell’artico del 1983 non è chiaro se fosse l’unico granulo non identificato, ma nella lettera spedita a monsignor Giulio Ricci nel 1981, si specificava che erano 4 i granuli sindonici non identificati [Ricci 1985, p. 237]. Il fatto che sia definito “molto bello” che significato può avere? Come fa un palinologo a distinguere tra un granulo brutto, uno bello e uno molto bello? Perché afferma che trovare sulla Sindone il polline di una pianta estinta sarebbe “una splendida scoperta”?
Come potrebbe mettere in relazione il polline di questa eventuale pianta estinta con la Palestina di 2000 anni fa? Ammesso e non concesso che si abbia notizia di piante estinte in Palestina proprio 2000 anni fa.
Infatti simili considerazioni si possono applicare alle diverse epoche geologiche, non certo a qualche
migliaio di anni fa.
14. Altri articoli di Frei
Oltre i tre articoli in italiano che abbiamo già visto, pubblicati nel 1976, nel 1979 e nel 1983, Frei ha scritto altri due articoli sui pollini della Sindone di Torino, uno nel 1979 in tedesco [Frei p { margin-bottom: 0.21cm; }19792 ] e uno del 1982 in inglese [Frei 1982]. In essi l’Autore ripete gran parte delle affermazioni che si trovano anche negli articoli in italiano.
Per esempio ritroviamo la strana affermazione che i pellegrini non avevano modo di venire a contatto con la Sindone di Torino:
«A transport by migrating birds or a contamination with desert plants by pilgrims can be excluded because
they had no possibility of a direct contact with the Shroud» [Frei 1982, p.7].
(Si possono escludere il trasporto da parte di uccelli migratori o la contamizazione con piante del deserto da parte
di pellegrini, poiché essi non avevano nessuna possibilità di contatto diretto con la Sindone).
E ritroviamo anche la dichiarazione che i pollini della Sindone corrispondono in gran parte a pollini fossili, ma in questo caso, non essendoci il riferimento esplicito all’epoca di Gesù, l’affermazione perde qualsiasi significato in quel contesto:
«Many of the varieties represented on the Shroud have been found by Israeli scientists, embedded
as microfossils in the mud at the bottom of the Dead Sea and Lake Gennesareth» [Frei 1982, p.7].
(Molte delle varietà rappresentate sulla Sindone sono state trovate dagli scienziati israeliani inglobate
come microfossili nel fango sul fondo del Mar Morto e del Lago di Genezaret).
Da questi due articoli abbiamo la conferma che era usanza di Frei non corredare i suoi scritti sulla Sindone con nessuna bibliografia. In realtà nell’articolo in inglese, un riferimento bibliografico si trova in nota:
«MAX FREI, The Pollens of the Shroud of Turin, C. C. Pollen Company, Scottsdale, Arizona: in press»
[Frei 1982, p.5].
Peccato che questa opera non sia mai stata stampata, nonostante la dichiarazione di Frei che nel 1982 essa fosse già ‘in press’. La ‘C. C. Pollen Company’ esiste realmente, ma non risulta abbia mai pubblicato alcun libro e si limita a vendere prodotti dell’apicultura.
Poco dopo la morte di Frei, anche Aurelio Ghio, il suo amico, annunciò l’imminente uscita di un volume con gli studi inediti di Frei sui pollini sindonici, dal titolo: Atlante palinologico della Sindone, che però non vide mai la luce [Ghio 19862, p.256].
L’articolo di Frei pubblicato in inglese nel 1982 e quello del 1983, pur essendo pressocché contemporanei, su un punto si trovano in netto contrasto tra di loro: nell’articolo del 1982 Frei preannuncia che sta per uscire una sua monografia tutta dedicata ai pollini della Sindone, mentre nel 1983 comunica che non si interessa più dei pollini della Sindone ma ha cambiato argomento di ricerca.
15. La morte di Frei e il destino dei suoi materiali e appunti
Frei si era impegnato a consegnare tutti i materiali provenienti dalla Sindone al Centro Internazionale di Sindonologia di Torino:
«Tutte queste tracce sono conservate sotto forma di preparazioni permanenti in gelatina con glicerina e
come microfotografie e saranno depositate al centro Internazionale di Sindonologia di Torino per ulteriori
studi e futuri confronti con altri prelievi eventualmente fatti da altri scienziati» [Frei 1979, pp.193-4].
Però Frei non diede mai attuazione a tale promessa e dopo la sua morte, avvenuta nel gennaio 1983, tutti i materiali rimasero in possesso della sua vedova, Gertrud. Nel 1985 Paul Maloney scrisse, a nome dell’associazione americana ASSIST, alla vedova Gertrud per manifestarle l’intenzione di completare e pubblicare il lavoro lasciato incompiuto e che Frei stesso nel 1982 aveva dato come di imminente pubblicazione. Nel gennaio 1986 Maloney ricevette in risposta da Gertrud Frei due copie del manoscritto incompiuto e cinque dei nastri adesivi prelevati nel 1978 [Maloney 1989, p.1]. Il 16 febbraio 1986 nel laboratorio di biologia dell’Elizabethtown College della Pennsylvania si riunì un gruppo di studiosi tra cui Maloney stesso, Alan Adler e Walter MacCrone, il quale esaminò al microscopio il primo dei nastri, etichettato 10/9 Aa. Maloney racconta che su quel nastro McCrone identificò un polline con aspetto echinato [Maloney 1989, p.2]. Notiamo che sullo stesso nastro nel 1998 Baruch identificò 13 pollini e attribuì 4 di essi alla specie Gundelia tournefortii [Danin 1999, p.14], i cui pollini si presentano echinati. Nella stessa occasione i 5 nastri furono esaminati a lungo da Alan Adler, ma non si conosce nessun particolare relativo a tale esame [Maloney 1989, p.2].
Dopo la riunione del 16 febbraio, i nastri rimasero in possesso di Maloney, che continuò a studiarli da solo, dichiarò di aver trovato numerose particelle di vario genere oltre a pollini e annunciò che presto sarebbero stati presentati risultati dettagliati delle scoperte effettuate. Un rapporto preliminare sui risultati (dal titolo “Five sticky tapes in the Max Frei collection”, rimasto finora inedito) fu inviato a Gertrud Frei, la quale, in risposta, inoltrò allo ASSIST nel luglio 1987 un’offerta di vendita per tutto il materiale di Frei.
Un anno dopo, il 15 luglio 1988, alcuni rappresentanti dello ASSIST incontrarono Gertrud Frei all’Hotel Thalwiler Hof di Thalwil e ricevettero in consegna tutto il materiale di Frei, comprendente i 27 nastri del 1978 montati su vetrini, i vetrini preparati dal materiale del 1973, fotografie al SEM, diapositive al SEM, i vetrini con i pollini di controllo, i vetrini con il materiale prelevato dal Sudario di Oviedo, sei nastri prelevati dalla Corona di Spine e sei dalla Tunica di Argenteuil e infine un manoscritto in italiano che Frei era sul punto di pubblicare con una lunga serie di foto [Maloney 1989, pp.1-2]. Il prezzo della transazione non è mai stato reso pubblico.
In questo manoscritto mai pubblicato Frei aveva identificato altri 19 pollini presenti sulla Sindone, di cui Maloney nomina soltanto Hypecoum aegyptiacum Aschers & Schweinf,1837, una papaveracea diffusa in tutto il Mediterraneo [Maloney 1989, p.2].
Paul Maloney fu incaricato dallo ASSIST della custodia di tutto il materiale. Nel congresso che si tenne a Philadelphia il 23 luglio 1988, alcuni esempi della ‘tape collection’ di Frei furono esibiti tramite un microscopio collegato a un video e in questa circostanza Walter McCrone ebbe occasione di esaminarli tutti. Poi, non è chiaro come quando e perché, i nastri di Frei passarono ad Alan Whanger e sua moglie Mary, in data anteriore al settembre 1995 [Wilson 2000, p.82; Danin 2008, pp.13, 51].
Nel 1998 la ‘tape collection’ fu messa a disposizione del palinologo israeliano Uri Baruch, che ne fece una revisione [Danin 1999].
Il 20 giugno 1999 Ian Wilson e sua moglie Judith si recarono in visita in casa dei Whanger, a Durham in North Carolina, per vedere i nastri di Frei e i risultati degli studi dei Whanger in generale:
«The Frei sticky-tape collection, normally stored in a bank vault, had been specially brought out for us
and we found it comprised albums with carefully ordered slots for each different sample, each mounted
within a glass slide. At the original sampling each tape had been carefully folded back on itself to
hermetically seal in its contents, and it was quite obvious which section Frei had handled as ‘lead’
tape and which he had pressed directly against the Shroud, thus confounding claims that the pollen
was just modern contamination» [Wilson 2000, pp.87-88].
(La collezione di nastri adesivi di Frei, normalmente conservata nel caveau di una banca, era stata ritirata appositamente per noi e trovammo che comprendeva alcuni album con alloggiamenti accuratamente ordinati per ciascun differente esemplare, ciascuno montato su un vetrino. Al momento della campionatura originale ogni nastro era stato accuratamente ripiegato su se stesso per sigillare ermeticamente al suo interno il contenuto, e risultava evidente quale settore Frei aveva maneggiato come ‘guida’ del nastro e quale aveva premuto direttamente sulla Sindone, confutando così tutte le affermazioni che il polline fosse solo contaminazione moderna).
A parte il veloce esame dei nastri fatto da McCrone nel 1988 e la revisione operata da Baruch nel 1998, nel 2001 il professor Thomas Litt, dell’Istituto di Paleontologia dell’Università di Bonn, ha potuto osservare i reperti di Frei nel suo laboratorio di Bonn, ma non sappiamo i particolari. Il resoconto di tale esame è stato spedito da Litt a Danin e ai coniugi Whanger. I Whanger non hanno mai reso noto nulla sull’argomento, mentre Danin, in seguito a questo resoconto, cambiò idea rispetto alle sue precedenti convinzioni, rinnegando in pratica tutto il lavoro svolto insieme al suo collaboratore Baruch, e trasse la conclusione che dallo studio dei pollini sindonici non si poteva ricavare alcuna indicazione geografica:
«Mi rincresce che, da quel che ho appreso dalle nostre ricerche, attualmente non possiamo usare
il polline per definire alcuna indicazione geografica» [Danin 2008, p.54].
Sembra che da allora Baruch non si sia più interessato di pollini o di Sindone [Wilson 2010, p.65]. Danin, come è noto, continua a sostenere l’autenticità della Sindone sulla base delle centinaia di impronte di piante o parti di piante, da lui viste sul telo e sulle foto del telo. Non risulta che il materiale di Frei sia più stato studiato da specialisti palinologi. E siamo ormai a 28 anni dalla morte di Frei.
16. Provenienza delle foto al SEM
a – Le prove dell’imbroglio
Nel primo articolo di Frei, che trattava del materiale prelevato nel 1973 e fu pubblicato nel 1976, pur parlando di microfotografie, non si accennava a foto scattate al SEM [Frei 1976]. La prima notizia di foto al SEM dei pollini di Frei si ebbe al ‘II Congresso Internazionale di Sindonologia’, che terminò a Torino la mattina di domenica 8 ottobre 1978, poche ore prima che Frei attuasse il suo secondo prelievo di polveri tramite nastri adesivi. Durante questo convegno furono proiettate le foto, al microscopio ottico e al SEM, di 48 tipi di polline, interpretate dagli astanti come foto di granuli effettivamente ritrovati sulla Sindone. Ecco la frase in proposito
dello stesso Frei:
«Al Congresso Internazionale di Sindonologia del 1978 avevo esposto le fotografie e le microfotografie
al microscopio elettronico a scansione di 48 varietà di pollini» [Frei 1983, p.280].
L’esposizione di Frei al Convegno del 1978 suscitò forte emozione nei presenti, che si espresse in una standing ovation per l’Autore e si tradusse nella convinzione per tutti i presenti che quei granuli delle foto erano proprio granuli trovati sulla Sindone [Bonnet-Eymard 1979, p.22; Galán, 1997, p.119; Blanrue, 165-167]. Gli atti di quel congresso furono pubblicati nel mese di maggio 1979 [Frei, 1979]. Qui, per la prima volta a stampa, comparvero numerose foto del materiale di Frei, sia al microscopio ottico sia al SEM [Frei 1979].
Per l’esattezza si trattava di 9 tipi di polline fotografati al SEM e 8 tipi di polline fotografati al microscopio ottico. Ma relativamente a queste foto si pone un colossale problema. Nel testo dell’articolo non compare nessun riferimento alle tavole di foto che lo corredano e nelle didascalie delle tavole non compare nessuna indicazione, oltre il nome della specie botanica cui il polline appartiene, a parte una notizia generica, valida a quanto pare per tutte le foto al SEM, che spiega che le foto al SEM erano state prodotte dal Prof. E. Morano di Vercelli.
In effetti, come è stato chiarito qualche anno dopo e come qui di seguito sarà dimostrato, tutte le foto presentate da Frei nei convegni del 1978 e del 1981 e quelle pubblicate negli articoli del 1979 e del 1983 sono foto di pollini di controllo, cioè tratti da piante raccolte da Frei stesso o da collezioni botaniche già esistenti.
Frei non ha mai scritto nelle didascalie delle foto in questione che si trattava di granuli prelevati sulla Sindone di Torino, però si è espresso in maniera tale da indurre il lettore a crederlo. Ciascuno si faccia un’idea, rileggendo l’articolo di Frei. Come si dovrebbe chiamare l’indurre coscientemente i lettori in errore?
E infatti tutti sono caduti nel tranello ordito da Frei. Nelle decine di libri che hanno pubblicato foto al microscopio di pollini sindonici mai una volta si precisa che si tratta di pollini di controllo; nel Museo della Sindone esistente in Torino sono presentate ancora oggi foto dei pollini di controllo di Frei come fotografie di pollini trovati sulla Sindone. Ancora oggi, uno dei massimi sindonisti, Bruno Barberis, pubblica foto dei pollini di controllo di Frei con la seguente didascalia: «Alcuni granuli di polline trovati sulla Sindone» [Barberis 2009, p.20].
Aurelio Ghio, grande amico di Frei e suo collaboratore nelle ricerche botaniche, ci ha rivelato, forse involontariamente, un retroscena interessante su queste foto. Nell’articolo di Frei del 1983 una foto al SEM, in cui si vede un particolare di un granulo di polline (Phyllirea angustifolia) [fig.9], è pubblicata con accanto la didascalia:
«Nel materiale prelevato nel 1978 dalla Sindone sono stati identificati nove varietà di pollini che non
erano stati ritrovati nelle ricerche precedenti. In alto Pinus Halepensis, in basso Phyllirea Angustifolia»
[Frei 1983, tav.1 fig.2].
Ebbene qualche anno dopo Ghio, in un articolo incentrato sulla biografia di Frei, ha pubblicato lo stesso scatto dello stesso particolare dello stesso granulo di polline [fig.8] con la didascalia:
«Phyllirea angustifolia – Polline siciliano uguale per famiglia, genere e specie a quello sindonico»
[Ghio 1988, p.130 f.2].
Intendiamoci bene: non si tratta semplicemente della stessa specie di polline, ma proprio dello stesso particolare dello stesso scatto fotografico. Che un granulo sia presentato come polline sindonico e poi come polline siciliano mi sembra eccessivo, anche in un campo di studi in cui molti, senza esitazioni, tirano in ballo miracoli.
Le fig.4 e 5 sono fotografie al microscopio ottico di Epimedium pubigerum, tratte dal libro di Aytuğ, pag.13. Le fig.6 e 7 sono sempre foto di E. pubigerum tratte dall’articolo di Frei del 1979, pag.376, fig. 1 e fig.3. Aytuğ fornisce le misure nel testo, mentre Frei ha disegnato nelle foto una freccia che rappresenta i 10 μ.
b - La presentazione scritta dei risultati nel 1983
L’ultimo articolo di Frei pubblicato a stampa è uscito postumo nel 1983, negli atti del convegno tenutosi a Bologna nel 1981; si trattava del suo intervento in quel convegno e verteva sui risultati ricavati dal materiale raccolto nel 1978. Il ritrovamento sui preparati del 1978 di una decina di tipi di polline già visti sui preparati precedenti e dieci tipi di pollini nuovi non ha comportato per Frei la necessità di dover cambiare in nulla le sue precedenti conclusioni. Sul ritrovamento di un granulo di polline ‘americano’ ci soffermeremo in seguito in un apposito capitolo (Cap.18). Qui ci limitiamo a una osservazione riguardante la distribuzione dei pollini sulla superficie della Sindone:
«La distribuzione del polline sulla stoffa e nella teca di conservazione, secondo il mio punto di vista,
non presenta niente di anomalo» [Frei 1983, p.280].
E l’Autore si dilunga a spiegare che in effetti ci saremmo aspettati un’alta concentrazione di pollini anatolici nella zona del volto sindonico, dato che la Sindone è stata esposta per secoli a Urfa (Edessa) con il solo volto visibile; ma, aggiunge Frei, questo non è avvenuto e ne spiega la possibile ragione:
«Dato il fatto che il Lenzuolo è stato arrotolato, srotolato e piegato tante volte, in occasione della sua
venerazione durante i secoli, una distribuzione più o meno uguale di tutta la polvere su tutta la superficie
non è da escludere [Frei 1983, p.280].
Questa dichiarazione di Frei ci appare in forte contrasto con quanto osservato dagli studiosi che successivamente hanno studiato i suoi nastri. Per esempio un’alta e anomala concentrazione di pollini si ha su un nastro, quello etichettato 6Bd (premuto da Frei sulla Sindone al lato sinistro del volto).
Pertanto non si riesce a capire come Frei possa aver visto una distribuzione omogenea dei pollini sul telo.
Di questo aspetto tratteremo più diffusamente nei Cap.24 e 25.
Un punto rimane estremamente ambiguo in questo articolo. Mi riferisco alle frasi con cui Frei afferma di aver trovato un polline che non ha potuto riconoscere:
«Nel caso dei pollini della Sindone devo confessare che un esemplare molto bello non è ancora stato
possibile identificarlo e nessun altro palinologo, anche straniero, mi ha potuto essere di aiuto fornendomi
il relativo nome.
Un collega mi ha suggerito che potrebbe trattarsi di una pianta estinta e, pur allettato da quella che
sarebbe una splendida scoperta, devo rifiutare questa idea sino a quando non avrò una prova concreta
che dovrebbe risultare da un confronto con polline fossile» [Frei 1983, p.278].
Si trattava forse dell’unico granulo che egli non aveva riconosciuto? Nell’artico del 1983 non è chiaro se fosse l’unico granulo non identificato, ma nella lettera spedita a monsignor Giulio Ricci nel 1981, si specificava che erano 4 i granuli sindonici non identificati [Ricci 1985, p. 237]. Il fatto che sia definito “molto bello” che significato può avere? Come fa un palinologo a distinguere tra un granulo brutto, uno bello e uno molto bello? Perché afferma che trovare sulla Sindone il polline di una pianta estinta sarebbe “una splendida scoperta”?
Come potrebbe mettere in relazione il polline di questa eventuale pianta estinta con la Palestina di 2000 anni fa? Ammesso e non concesso che si abbia notizia di piante estinte in Palestina proprio 2000 anni fa.
Infatti simili considerazioni si possono applicare alle diverse epoche geologiche, non certo a qualche
migliaio di anni fa.
14. Altri articoli di Frei
Oltre i tre articoli in italiano che abbiamo già visto, pubblicati nel 1976, nel 1979 e nel 1983, Frei ha scritto altri due articoli sui pollini della Sindone di Torino, uno nel 1979 in tedesco [Frei p { margin-bottom: 0.21cm; }19792 ] e uno del 1982 in inglese [Frei 1982]. In essi l’Autore ripete gran parte delle affermazioni che si trovano anche negli articoli in italiano.
Per esempio ritroviamo la strana affermazione che i pellegrini non avevano modo di venire a contatto con la Sindone di Torino:
«A transport by migrating birds or a contamination with desert plants by pilgrims can be excluded because
they had no possibility of a direct contact with the Shroud» [Frei 1982, p.7].
(Si possono escludere il trasporto da parte di uccelli migratori o la contamizazione con piante del deserto da parte
di pellegrini, poiché essi non avevano nessuna possibilità di contatto diretto con la Sindone).
E ritroviamo anche la dichiarazione che i pollini della Sindone corrispondono in gran parte a pollini fossili, ma in questo caso, non essendoci il riferimento esplicito all’epoca di Gesù, l’affermazione perde qualsiasi significato in quel contesto:
«Many of the varieties represented on the Shroud have been found by Israeli scientists, embedded
as microfossils in the mud at the bottom of the Dead Sea and Lake Gennesareth» [Frei 1982, p.7].
(Molte delle varietà rappresentate sulla Sindone sono state trovate dagli scienziati israeliani inglobate
come microfossili nel fango sul fondo del Mar Morto e del Lago di Genezaret).
Da questi due articoli abbiamo la conferma che era usanza di Frei non corredare i suoi scritti sulla Sindone con nessuna bibliografia. In realtà nell’articolo in inglese, un riferimento bibliografico si trova in nota:
«MAX FREI, The Pollens of the Shroud of Turin, C. C. Pollen Company, Scottsdale, Arizona: in press»
[Frei 1982, p.5].
Peccato che questa opera non sia mai stata stampata, nonostante la dichiarazione di Frei che nel 1982 essa fosse già ‘in press’. La ‘C. C. Pollen Company’ esiste realmente, ma non risulta abbia mai pubblicato alcun libro e si limita a vendere prodotti dell’apicultura.
Poco dopo la morte di Frei, anche Aurelio Ghio, il suo amico, annunciò l’imminente uscita di un volume con gli studi inediti di Frei sui pollini sindonici, dal titolo: Atlante palinologico della Sindone, che però non vide mai la luce [Ghio 19862, p.256].
L’articolo di Frei pubblicato in inglese nel 1982 e quello del 1983, pur essendo pressocché contemporanei, su un punto si trovano in netto contrasto tra di loro: nell’articolo del 1982 Frei preannuncia che sta per uscire una sua monografia tutta dedicata ai pollini della Sindone, mentre nel 1983 comunica che non si interessa più dei pollini della Sindone ma ha cambiato argomento di ricerca.
15. La morte di Frei e il destino dei suoi materiali e appunti
Frei si era impegnato a consegnare tutti i materiali provenienti dalla Sindone al Centro Internazionale di Sindonologia di Torino:
«Tutte queste tracce sono conservate sotto forma di preparazioni permanenti in gelatina con glicerina e
come microfotografie e saranno depositate al centro Internazionale di Sindonologia di Torino per ulteriori
studi e futuri confronti con altri prelievi eventualmente fatti da altri scienziati» [Frei 1979, pp.193-4].
Però Frei non diede mai attuazione a tale promessa e dopo la sua morte, avvenuta nel gennaio 1983, tutti i materiali rimasero in possesso della sua vedova, Gertrud. Nel 1985 Paul Maloney scrisse, a nome dell’associazione americana ASSIST, alla vedova Gertrud per manifestarle l’intenzione di completare e pubblicare il lavoro lasciato incompiuto e che Frei stesso nel 1982 aveva dato come di imminente pubblicazione. Nel gennaio 1986 Maloney ricevette in risposta da Gertrud Frei due copie del manoscritto incompiuto e cinque dei nastri adesivi prelevati nel 1978 [Maloney 1989, p.1]. Il 16 febbraio 1986 nel laboratorio di biologia dell’Elizabethtown College della Pennsylvania si riunì un gruppo di studiosi tra cui Maloney stesso, Alan Adler e Walter MacCrone, il quale esaminò al microscopio il primo dei nastri, etichettato 10/9 Aa. Maloney racconta che su quel nastro McCrone identificò un polline con aspetto echinato [Maloney 1989, p.2]. Notiamo che sullo stesso nastro nel 1998 Baruch identificò 13 pollini e attribuì 4 di essi alla specie Gundelia tournefortii [Danin 1999, p.14], i cui pollini si presentano echinati. Nella stessa occasione i 5 nastri furono esaminati a lungo da Alan Adler, ma non si conosce nessun particolare relativo a tale esame [Maloney 1989, p.2].
Dopo la riunione del 16 febbraio, i nastri rimasero in possesso di Maloney, che continuò a studiarli da solo, dichiarò di aver trovato numerose particelle di vario genere oltre a pollini e annunciò che presto sarebbero stati presentati risultati dettagliati delle scoperte effettuate. Un rapporto preliminare sui risultati (dal titolo “Five sticky tapes in the Max Frei collection”, rimasto finora inedito) fu inviato a Gertrud Frei, la quale, in risposta, inoltrò allo ASSIST nel luglio 1987 un’offerta di vendita per tutto il materiale di Frei.
Un anno dopo, il 15 luglio 1988, alcuni rappresentanti dello ASSIST incontrarono Gertrud Frei all’Hotel Thalwiler Hof di Thalwil e ricevettero in consegna tutto il materiale di Frei, comprendente i 27 nastri del 1978 montati su vetrini, i vetrini preparati dal materiale del 1973, fotografie al SEM, diapositive al SEM, i vetrini con i pollini di controllo, i vetrini con il materiale prelevato dal Sudario di Oviedo, sei nastri prelevati dalla Corona di Spine e sei dalla Tunica di Argenteuil e infine un manoscritto in italiano che Frei era sul punto di pubblicare con una lunga serie di foto [Maloney 1989, pp.1-2]. Il prezzo della transazione non è mai stato reso pubblico.
In questo manoscritto mai pubblicato Frei aveva identificato altri 19 pollini presenti sulla Sindone, di cui Maloney nomina soltanto Hypecoum aegyptiacum Aschers & Schweinf,1837, una papaveracea diffusa in tutto il Mediterraneo [Maloney 1989, p.2].
Paul Maloney fu incaricato dallo ASSIST della custodia di tutto il materiale. Nel congresso che si tenne a Philadelphia il 23 luglio 1988, alcuni esempi della ‘tape collection’ di Frei furono esibiti tramite un microscopio collegato a un video e in questa circostanza Walter McCrone ebbe occasione di esaminarli tutti. Poi, non è chiaro come quando e perché, i nastri di Frei passarono ad Alan Whanger e sua moglie Mary, in data anteriore al settembre 1995 [Wilson 2000, p.82; Danin 2008, pp.13, 51].
Nel 1998 la ‘tape collection’ fu messa a disposizione del palinologo israeliano Uri Baruch, che ne fece una revisione [Danin 1999].
Il 20 giugno 1999 Ian Wilson e sua moglie Judith si recarono in visita in casa dei Whanger, a Durham in North Carolina, per vedere i nastri di Frei e i risultati degli studi dei Whanger in generale:
«The Frei sticky-tape collection, normally stored in a bank vault, had been specially brought out for us
and we found it comprised albums with carefully ordered slots for each different sample, each mounted
within a glass slide. At the original sampling each tape had been carefully folded back on itself to
hermetically seal in its contents, and it was quite obvious which section Frei had handled as ‘lead’
tape and which he had pressed directly against the Shroud, thus confounding claims that the pollen
was just modern contamination» [Wilson 2000, pp.87-88].
(La collezione di nastri adesivi di Frei, normalmente conservata nel caveau di una banca, era stata ritirata appositamente per noi e trovammo che comprendeva alcuni album con alloggiamenti accuratamente ordinati per ciascun differente esemplare, ciascuno montato su un vetrino. Al momento della campionatura originale ogni nastro era stato accuratamente ripiegato su se stesso per sigillare ermeticamente al suo interno il contenuto, e risultava evidente quale settore Frei aveva maneggiato come ‘guida’ del nastro e quale aveva premuto direttamente sulla Sindone, confutando così tutte le affermazioni che il polline fosse solo contaminazione moderna).
A parte il veloce esame dei nastri fatto da McCrone nel 1988 e la revisione operata da Baruch nel 1998, nel 2001 il professor Thomas Litt, dell’Istituto di Paleontologia dell’Università di Bonn, ha potuto osservare i reperti di Frei nel suo laboratorio di Bonn, ma non sappiamo i particolari. Il resoconto di tale esame è stato spedito da Litt a Danin e ai coniugi Whanger. I Whanger non hanno mai reso noto nulla sull’argomento, mentre Danin, in seguito a questo resoconto, cambiò idea rispetto alle sue precedenti convinzioni, rinnegando in pratica tutto il lavoro svolto insieme al suo collaboratore Baruch, e trasse la conclusione che dallo studio dei pollini sindonici non si poteva ricavare alcuna indicazione geografica:
«Mi rincresce che, da quel che ho appreso dalle nostre ricerche, attualmente non possiamo usare
il polline per definire alcuna indicazione geografica» [Danin 2008, p.54].
Sembra che da allora Baruch non si sia più interessato di pollini o di Sindone [Wilson 2010, p.65]. Danin, come è noto, continua a sostenere l’autenticità della Sindone sulla base delle centinaia di impronte di piante o parti di piante, da lui viste sul telo e sulle foto del telo. Non risulta che il materiale di Frei sia più stato studiato da specialisti palinologi. E siamo ormai a 28 anni dalla morte di Frei.
16. Provenienza delle foto al SEM
a – Le prove dell’imbroglio
Nel primo articolo di Frei, che trattava del materiale prelevato nel 1973 e fu pubblicato nel 1976, pur parlando di microfotografie, non si accennava a foto scattate al SEM [Frei 1976]. La prima notizia di foto al SEM dei pollini di Frei si ebbe al ‘II Congresso Internazionale di Sindonologia’, che terminò a Torino la mattina di domenica 8 ottobre 1978, poche ore prima che Frei attuasse il suo secondo prelievo di polveri tramite nastri adesivi. Durante questo convegno furono proiettate le foto, al microscopio ottico e al SEM, di 48 tipi di polline, interpretate dagli astanti come foto di granuli effettivamente ritrovati sulla Sindone. Ecco la frase in proposito
dello stesso Frei:
«Al Congresso Internazionale di Sindonologia del 1978 avevo esposto le fotografie e le microfotografie
al microscopio elettronico a scansione di 48 varietà di pollini» [Frei 1983, p.280].
L’esposizione di Frei al Convegno del 1978 suscitò forte emozione nei presenti, che si espresse in una standing ovation per l’Autore e si tradusse nella convinzione per tutti i presenti che quei granuli delle foto erano proprio granuli trovati sulla Sindone [Bonnet-Eymard 1979, p.22; Galán, 1997, p.119; Blanrue, 165-167]. Gli atti di quel congresso furono pubblicati nel mese di maggio 1979 [Frei, 1979]. Qui, per la prima volta a stampa, comparvero numerose foto del materiale di Frei, sia al microscopio ottico sia al SEM [Frei 1979].
Per l’esattezza si trattava di 9 tipi di polline fotografati al SEM e 8 tipi di polline fotografati al microscopio ottico. Ma relativamente a queste foto si pone un colossale problema. Nel testo dell’articolo non compare nessun riferimento alle tavole di foto che lo corredano e nelle didascalie delle tavole non compare nessuna indicazione, oltre il nome della specie botanica cui il polline appartiene, a parte una notizia generica, valida a quanto pare per tutte le foto al SEM, che spiega che le foto al SEM erano state prodotte dal Prof. E. Morano di Vercelli.
In effetti, come è stato chiarito qualche anno dopo e come qui di seguito sarà dimostrato, tutte le foto presentate da Frei nei convegni del 1978 e del 1981 e quelle pubblicate negli articoli del 1979 e del 1983 sono foto di pollini di controllo, cioè tratti da piante raccolte da Frei stesso o da collezioni botaniche già esistenti.
Frei non ha mai scritto nelle didascalie delle foto in questione che si trattava di granuli prelevati sulla Sindone di Torino, però si è espresso in maniera tale da indurre il lettore a crederlo. Ciascuno si faccia un’idea, rileggendo l’articolo di Frei. Come si dovrebbe chiamare l’indurre coscientemente i lettori in errore?
E infatti tutti sono caduti nel tranello ordito da Frei. Nelle decine di libri che hanno pubblicato foto al microscopio di pollini sindonici mai una volta si precisa che si tratta di pollini di controllo; nel Museo della Sindone esistente in Torino sono presentate ancora oggi foto dei pollini di controllo di Frei come fotografie di pollini trovati sulla Sindone. Ancora oggi, uno dei massimi sindonisti, Bruno Barberis, pubblica foto dei pollini di controllo di Frei con la seguente didascalia: «Alcuni granuli di polline trovati sulla Sindone» [Barberis 2009, p.20].
Aurelio Ghio, grande amico di Frei e suo collaboratore nelle ricerche botaniche, ci ha rivelato, forse involontariamente, un retroscena interessante su queste foto. Nell’articolo di Frei del 1983 una foto al SEM, in cui si vede un particolare di un granulo di polline (Phyllirea angustifolia) [fig.9], è pubblicata con accanto la didascalia:
«Nel materiale prelevato nel 1978 dalla Sindone sono stati identificati nove varietà di pollini che non
erano stati ritrovati nelle ricerche precedenti. In alto Pinus Halepensis, in basso Phyllirea Angustifolia»
[Frei 1983, tav.1 fig.2].
Ebbene qualche anno dopo Ghio, in un articolo incentrato sulla biografia di Frei, ha pubblicato lo stesso scatto dello stesso particolare dello stesso granulo di polline [fig.8] con la didascalia:
«Phyllirea angustifolia – Polline siciliano uguale per famiglia, genere e specie a quello sindonico»
[Ghio 1988, p.130 f.2].
Intendiamoci bene: non si tratta semplicemente della stessa specie di polline, ma proprio dello stesso particolare dello stesso scatto fotografico. Che un granulo sia presentato come polline sindonico e poi come polline siciliano mi sembra eccessivo, anche in un campo di studi in cui molti, senza esitazioni, tirano in ballo miracoli.
Fig.8 Fig.9
La fig.8 è la foto al SEM di un particolare di un granulo siciliano di Phyllirea angustifolia [Ghio 1988, p.130 fig.2], La fig.9 è la foto di un particolare di un granulo di P. angustifolia pubblicata da Frei nel 1983, tav.1 f.2, senza una precisa indicazione di provenienza, lasciando credere ai lettori che si tratta di un granulo ritrovato sulla Sindone.
Questa strana anomalia non si è presentata solo nell’articolo del 1983 riferito ai risultati sul materiale prelevato nel 1978, materiale che, come è stato già detto e ripetuto, non poteva essere sottoposto all’esame al SEM in quanto, allora e ancora oggi, esso è rimasto inglobato nel nastro adesivo. Un caso analogo si ha per una fotoal microscopio ottico presentata nell’articolo del 1979, rappresentante un granulo di polline di Laurus nobilis [Frei 1979, p.370 f.25]. Come già detto, Frei non specificava direttamente che le foto si riferivano a granuli trovati sulla Sindone, lo lasciava soltanto dedurre dal contesto [fig.11]. L’unica precisazione fornita da Frei in proposito specificava che si trattava di ‘microfotografie eseguite sotto il microscopio ottico a cura di A. Mahler, Zurigo’ [Frei 1979, p.378].
Ecco che nel 1989 la stessa foto (cioè lo stesso scatto fotografico dello stesso granulo) compare nell’articolo di Ghio [fig.10], con la didascalia:
«Laurus nobilis Polline rinvenuto in Sicilia, uguale per famiglia, genere e specie al corrispettivo
sindonico» [Ghio 1988, p.130 f.1].
La fig.8 è la foto al SEM di un particolare di un granulo siciliano di Phyllirea angustifolia [Ghio 1988, p.130 fig.2], La fig.9 è la foto di un particolare di un granulo di P. angustifolia pubblicata da Frei nel 1983, tav.1 f.2, senza una precisa indicazione di provenienza, lasciando credere ai lettori che si tratta di un granulo ritrovato sulla Sindone.
Questa strana anomalia non si è presentata solo nell’articolo del 1983 riferito ai risultati sul materiale prelevato nel 1978, materiale che, come è stato già detto e ripetuto, non poteva essere sottoposto all’esame al SEM in quanto, allora e ancora oggi, esso è rimasto inglobato nel nastro adesivo. Un caso analogo si ha per una fotoal microscopio ottico presentata nell’articolo del 1979, rappresentante un granulo di polline di Laurus nobilis [Frei 1979, p.370 f.25]. Come già detto, Frei non specificava direttamente che le foto si riferivano a granuli trovati sulla Sindone, lo lasciava soltanto dedurre dal contesto [fig.11]. L’unica precisazione fornita da Frei in proposito specificava che si trattava di ‘microfotografie eseguite sotto il microscopio ottico a cura di A. Mahler, Zurigo’ [Frei 1979, p.378].
Ecco che nel 1989 la stessa foto (cioè lo stesso scatto fotografico dello stesso granulo) compare nell’articolo di Ghio [fig.10], con la didascalia:
«Laurus nobilis Polline rinvenuto in Sicilia, uguale per famiglia, genere e specie al corrispettivo
sindonico» [Ghio 1988, p.130 f.1].
Fig.10 Fig.11
La fig.10 è la foto al microscopio ottico di un granulo di polline di Laurus nobilis raccolto in Sicilia, come si legge nella didascalia originale [Ghio 1988, p.130 fig.1]. La fig.11 è la stessa foto pubblicata da Frei senza una precisa didascalia [Frei 1979, p.370 fig.25], lasciando intendere che si trattava di un granulo rinvenuto sulla Sindone.
Alla luce di quanto involontariamente rivelato da Aurelio Ghio nel 1988, rileggiamo alcune frasi dellavoro di Frei presentato al congresso di Bologna nel 1981 e pubblicato nel 1983:
«Unicamente il microscopio a scansione permette di distinguere con assoluta certezza due specie dello
stesso genere, anche se la parentela è molto stretta … Risultati ottenuti sul nuovo materiale.
L’analisi al microscopio ottico ed il controllo al microscopio elettronico a scansione hanno dato i seguenti
risultati …» [Frei 1983, pp.277, 281].
Come ha eseguito Frei l’analisi al SEM del ‘nuovo materiale’ del 1978, se i singoli granuli non sono stati isolati? E se l’ha fatto in qualche modo, perché non dice quale è stata la tecnica da lui usata, che ha lasciato integro il nastro adesivo? E perché invece di pubblicare le foto al SEM del materiale sindonico, ha pubblicato foto di materiale di diversa provenienza, lasciando però credere che fosse quello da lui trovato sulla Sindone?
In realtà i 27 nastri raccolti da Frei nel 1978 erano conservati ancora integri nel 1999, come abbiamo già visto, e quindi nessuno ha fatto foto al SEM di quel materiale e le foto al SEM pubblicate, anche se viene fatto intendere che erano del materiale di Frei del 1978, provenivano da materiale diverso, comeha chiarito, involontariamente, Aurelio Ghio.
Baruch, che ha rivisto la raccolta di Frei nel 1999, ha scritto la seguente osservazione:
«In some cases, because of the sticky tape covering and of heavy deterioration of the grains, Frei’s
determinations could be only partially confirmed. … Unlike grains mounted in silicon oils, grains under
the sticky tapes are in a fixed position and thus cannot be micromanipulated» [Danin 1999, p.13].
(In qualche caso a motivo della copertura con il nastro adesivo e del grave deterioramento dei granuli, le determinazioni di Frei potrebbero essere soltanto parzialmente confermate … Diversamente dai granuli preparati con olio di silicone, i granuli sotto il nastro adesivo sono in una posizione fissa e così non possono essere micromanipolati).
Una nota deve essere rimarcata. Nella bibliografia citata da Frei sono soltanto due le opere che riportanofigure di pollini e che dovrebbero essergli servite per classificare gli esemplari sindonici [Erdtmann; Aytuğ], e si tratta di opere ricche di materiale iconografico. Ma della prima opera, il manuale di Erdtmann, nessuno dei pollini raffigurati in qualsiasi maniera compare anche negli elenchi di Frei; della seconda opera, quella di Aytuğ sui pollini dei dintorni di Istanbul, uno solo dei pollini raffigurati (Epimedium pubigerum) compare anche negli articoli di Frei. Purtroppo le due rappresentazioni, quella di Frei [fig.11] e quella di Aytuğ [fig.10], sono così diverse fra loro per dimensioni e forma che ben difficilmente, dalla sola osservazione delle foto, si potrebbero ritenere appartenenti alla stessa specie. Perché dunque Frei ha citato queste due opere, se per la stesura del suo articolo non hanno potuto aiutarlo in nulla? L’ha fatto soltanto per darsi un’apparenza di profondo conoscitore della palinologia, fidandosi della loro difficile reperibilità e della scarsa propensione ai controlli da parte dei Sindonisti?
Altre prove che le foto di Frei fossero solo foto di pollini di controllo, si ottiene dall’esame del materiale fotografico rimasto in possesso del dr. Ettore Morano. Ettore Morano, deceduto a 69 anni nel 1995, era stato tra il 1971 e il 1985 primario del laboratorio di anatomia e istologia patologica dell’ospedale di Vercelli.
Nel 1976-77 Frei chiese e ottenne la sua collaborazione per una lunga serie di foto al SEM di granuli di polline. Nell’articolo pubblicato nel 1979 Frei dà atto che le foto al SEM sono state eseguite da Ettore Morano nel suo laboratorio dell’ospedale di Vercelli. Non sappiamo che materiale Frei abbia passato a Morano in questa occasione, dato che non esiste un elenco in merito, Morano ottenne anche alcuni fili di tessuto proveniente dalla Sindone su cui eseguì una ricerca in proprio al SEM [Morano 1979].
Al momento del decesso del dr. Morano (novembre 1995) una certa quantità di materiale fotografico rimase nella sua abitazione, nella disponibilità della vedova, la quale anni dopo, in data incerta, cedette tutto questo materiale a fra Candido Capitano, priore del convento di San Domenico di Varazze e cultore degli studi sindonici. L’intento di questa cessione era esclusivamente quello di rendere il materiale accessibile agli interessati. Fra Candido da allora ha tenuto questo materiale a disposizione degli studiosi presso il suo convento a Varazze, cosicché Gian Marco Rinaldi e io abbiamo potuto guardarlo con comodo ed eseguire delle riproduzioni.
Le foto di questa raccolta consistono in tante serie, una per ogni tipo di polline, e ogni serie è formata da una decina di foto; nella prima foto di ogni serie, a minore ingrandimento, si vedono numerosi granuli tutti uguali; nelle foto successive si vedono diversi particolari della prima foto a ingrandimenti crescenti. Dato il grande numero e la freschezza dei granuli pollinici ne concludiamo che si tratta di granuli di controllo, presi direttamente da una pianta. Anche la numerazione di queste serie di foto, che arriva a più di 200, ci indica trattarsi di granuli di controllo e non certo di granuli sindonici, per i quali Frei è arrivato a un massimo di 60.
Ebbene fra le serie di foto pervenute nel convento domenicano di Varazze, molte di meno delle centinaia che costituivano l’archivio originale di Morano, se ne nota almeno una di cui un particolare è riprodotto fra le foto di Frei, quella della Althaea officinalis. Il fatto che la foto pubblicata da Frei contenente tre granuli di quel polline [fig.13] sia in realtà un particolare di una foto in cui i granuli sono almeno quindici e tutti freschi e perfetti [fig.12], è una ulteriore riprova che le foto di Frei erano tutte di granuli di controllo.
Intendevo pubblicare qui la foto in questione eseguita da Morano e in possesso dei Domenicani di Varazze, ma inopinatamente il priore di Varazze mi ha negato il permesso per la pubblicazione, dando la responsabilità di tale diniego alla vedova Morano. Il priore fra Candido ha anche rifiutato, di fatto, di mettere per scritto i motivi del diniego. Pertanto in ottemperanza alla promessa che a suo tempo avevo fatto di chiedere il permesso prima di una eventuale pubblicazione di foto tratte dall’archivio Morano, mi vedo qui costretto a omettere tale pubblicazione, considerando il diniego oppostomi come una vera e propria censura, nel tentativo di occultare una delle prove relativa alla non autenticità della Sindone di Torino.
[FOTO CENSURATA]
Fig.12
La fig.12 è la foto al SEM di un gruppo di granuli pollinici (almeno 15) di Althaea officinalis, eseguita da Morano e conservata nel monastero dei Domenicani di Varazze (etichettata sul retro: “Serie 235 n.12, Polline 226). I due cerchietti che si vedono in alto e in basso, vicini al margine sinistro, sono i fori praticati sulla foto allo scopo di inserirla in un raccoglitore.
La fig.10 è la foto al microscopio ottico di un granulo di polline di Laurus nobilis raccolto in Sicilia, come si legge nella didascalia originale [Ghio 1988, p.130 fig.1]. La fig.11 è la stessa foto pubblicata da Frei senza una precisa didascalia [Frei 1979, p.370 fig.25], lasciando intendere che si trattava di un granulo rinvenuto sulla Sindone.
Alla luce di quanto involontariamente rivelato da Aurelio Ghio nel 1988, rileggiamo alcune frasi dellavoro di Frei presentato al congresso di Bologna nel 1981 e pubblicato nel 1983:
«Unicamente il microscopio a scansione permette di distinguere con assoluta certezza due specie dello
stesso genere, anche se la parentela è molto stretta … Risultati ottenuti sul nuovo materiale.
L’analisi al microscopio ottico ed il controllo al microscopio elettronico a scansione hanno dato i seguenti
risultati …» [Frei 1983, pp.277, 281].
Come ha eseguito Frei l’analisi al SEM del ‘nuovo materiale’ del 1978, se i singoli granuli non sono stati isolati? E se l’ha fatto in qualche modo, perché non dice quale è stata la tecnica da lui usata, che ha lasciato integro il nastro adesivo? E perché invece di pubblicare le foto al SEM del materiale sindonico, ha pubblicato foto di materiale di diversa provenienza, lasciando però credere che fosse quello da lui trovato sulla Sindone?
In realtà i 27 nastri raccolti da Frei nel 1978 erano conservati ancora integri nel 1999, come abbiamo già visto, e quindi nessuno ha fatto foto al SEM di quel materiale e le foto al SEM pubblicate, anche se viene fatto intendere che erano del materiale di Frei del 1978, provenivano da materiale diverso, comeha chiarito, involontariamente, Aurelio Ghio.
Baruch, che ha rivisto la raccolta di Frei nel 1999, ha scritto la seguente osservazione:
«In some cases, because of the sticky tape covering and of heavy deterioration of the grains, Frei’s
determinations could be only partially confirmed. … Unlike grains mounted in silicon oils, grains under
the sticky tapes are in a fixed position and thus cannot be micromanipulated» [Danin 1999, p.13].
(In qualche caso a motivo della copertura con il nastro adesivo e del grave deterioramento dei granuli, le determinazioni di Frei potrebbero essere soltanto parzialmente confermate … Diversamente dai granuli preparati con olio di silicone, i granuli sotto il nastro adesivo sono in una posizione fissa e così non possono essere micromanipolati).
Una nota deve essere rimarcata. Nella bibliografia citata da Frei sono soltanto due le opere che riportanofigure di pollini e che dovrebbero essergli servite per classificare gli esemplari sindonici [Erdtmann; Aytuğ], e si tratta di opere ricche di materiale iconografico. Ma della prima opera, il manuale di Erdtmann, nessuno dei pollini raffigurati in qualsiasi maniera compare anche negli elenchi di Frei; della seconda opera, quella di Aytuğ sui pollini dei dintorni di Istanbul, uno solo dei pollini raffigurati (Epimedium pubigerum) compare anche negli articoli di Frei. Purtroppo le due rappresentazioni, quella di Frei [fig.11] e quella di Aytuğ [fig.10], sono così diverse fra loro per dimensioni e forma che ben difficilmente, dalla sola osservazione delle foto, si potrebbero ritenere appartenenti alla stessa specie. Perché dunque Frei ha citato queste due opere, se per la stesura del suo articolo non hanno potuto aiutarlo in nulla? L’ha fatto soltanto per darsi un’apparenza di profondo conoscitore della palinologia, fidandosi della loro difficile reperibilità e della scarsa propensione ai controlli da parte dei Sindonisti?
Altre prove che le foto di Frei fossero solo foto di pollini di controllo, si ottiene dall’esame del materiale fotografico rimasto in possesso del dr. Ettore Morano. Ettore Morano, deceduto a 69 anni nel 1995, era stato tra il 1971 e il 1985 primario del laboratorio di anatomia e istologia patologica dell’ospedale di Vercelli.
Nel 1976-77 Frei chiese e ottenne la sua collaborazione per una lunga serie di foto al SEM di granuli di polline. Nell’articolo pubblicato nel 1979 Frei dà atto che le foto al SEM sono state eseguite da Ettore Morano nel suo laboratorio dell’ospedale di Vercelli. Non sappiamo che materiale Frei abbia passato a Morano in questa occasione, dato che non esiste un elenco in merito, Morano ottenne anche alcuni fili di tessuto proveniente dalla Sindone su cui eseguì una ricerca in proprio al SEM [Morano 1979].
Al momento del decesso del dr. Morano (novembre 1995) una certa quantità di materiale fotografico rimase nella sua abitazione, nella disponibilità della vedova, la quale anni dopo, in data incerta, cedette tutto questo materiale a fra Candido Capitano, priore del convento di San Domenico di Varazze e cultore degli studi sindonici. L’intento di questa cessione era esclusivamente quello di rendere il materiale accessibile agli interessati. Fra Candido da allora ha tenuto questo materiale a disposizione degli studiosi presso il suo convento a Varazze, cosicché Gian Marco Rinaldi e io abbiamo potuto guardarlo con comodo ed eseguire delle riproduzioni.
Le foto di questa raccolta consistono in tante serie, una per ogni tipo di polline, e ogni serie è formata da una decina di foto; nella prima foto di ogni serie, a minore ingrandimento, si vedono numerosi granuli tutti uguali; nelle foto successive si vedono diversi particolari della prima foto a ingrandimenti crescenti. Dato il grande numero e la freschezza dei granuli pollinici ne concludiamo che si tratta di granuli di controllo, presi direttamente da una pianta. Anche la numerazione di queste serie di foto, che arriva a più di 200, ci indica trattarsi di granuli di controllo e non certo di granuli sindonici, per i quali Frei è arrivato a un massimo di 60.
Ebbene fra le serie di foto pervenute nel convento domenicano di Varazze, molte di meno delle centinaia che costituivano l’archivio originale di Morano, se ne nota almeno una di cui un particolare è riprodotto fra le foto di Frei, quella della Althaea officinalis. Il fatto che la foto pubblicata da Frei contenente tre granuli di quel polline [fig.13] sia in realtà un particolare di una foto in cui i granuli sono almeno quindici e tutti freschi e perfetti [fig.12], è una ulteriore riprova che le foto di Frei erano tutte di granuli di controllo.
Intendevo pubblicare qui la foto in questione eseguita da Morano e in possesso dei Domenicani di Varazze, ma inopinatamente il priore di Varazze mi ha negato il permesso per la pubblicazione, dando la responsabilità di tale diniego alla vedova Morano. Il priore fra Candido ha anche rifiutato, di fatto, di mettere per scritto i motivi del diniego. Pertanto in ottemperanza alla promessa che a suo tempo avevo fatto di chiedere il permesso prima di una eventuale pubblicazione di foto tratte dall’archivio Morano, mi vedo qui costretto a omettere tale pubblicazione, considerando il diniego oppostomi come una vera e propria censura, nel tentativo di occultare una delle prove relativa alla non autenticità della Sindone di Torino.
[FOTO CENSURATA]
Fig.12
La fig.12 è la foto al SEM di un gruppo di granuli pollinici (almeno 15) di Althaea officinalis, eseguita da Morano e conservata nel monastero dei Domenicani di Varazze (etichettata sul retro: “Serie 235 n.12, Polline 226). I due cerchietti che si vedono in alto e in basso, vicini al margine sinistro, sono i fori praticati sulla foto allo scopo di inserirla in un raccoglitore.
Fig.13 Fig.14
La fig.13 è la foto al SEM di tre granuli pollinici di Althaea officinalis, pubblicata da Frei nel 1979, pag. 371 Fig.6, con il solito accorgimento di lasciare intendere, senza dirlo, che si tratta di granuli trovati sulla Sindone. Risulta palese che la foto dei tre granuli è solamente un particolare della foto con 15 granuli di Morano. Per quanto sul retro delle foto di Morano non risulti specificato che si tratta di granuli di controllo, è ovvio che di questo si tratta, data l’abbondanza e la freschezza dei granuli.
La fig.14 è un’altra foto di Morano, etichettata “Serie 235, n.15, Polline 226”. Chiaramente questa foto è uguale a quella pubblicata da Frei 1979, pag.371 Fig.6.
In conclusione, possiamo sostenere che Frei ha pubblicato solo foto di granuli di controllo e non di granuli tratti dalla Sindone, lasciando però credere che fossero proprio granuli della Sindone.
b – Wilson, l’ultimo difensore di Frei
Ian Wilson è colui che accompagnò Frei nei suoi viaggi in Palestina e Turchia nel 1977. La sua teoria che il Mandylion di Edessa fosse in realtà la Sindone di Torino ripiegata si appoggiò molto alla ‘prova dei pollini’ di Frei. Wilson è fra coloro che, senza esitare, ha dichiarato nei suoi libri che le foto al SEM di Frei erano di granuli pollinici ritrovati proprio sulla Sindone:
«Linum mucronatum, one of the pollen found on the Shroud» [Wilson 1978, tav. fuori testo non
numerata (tav.17)].
(Linum mucronatum, uno dei pollini trovati sulla Sindone).
«Pollen grain of the plant Linum mucronatum one of the variety of non-European pollen found among
Shroud dust by Dr. Max Frei» [Wilson 1986, didascalia della fig. a pag.40].
(Granulo pollinico della pianta Linum mucronatum, una varietà di polline non europeo trovato tra la polvere della Sindone dal Dr. Max Frei).
Proprio questa foto è una di quelle che abbiamo trovato fra le foto dei pollini campione di Morano, conservate presso il convento dei Domenicani di Varazze:
La fig.13 è la foto al SEM di tre granuli pollinici di Althaea officinalis, pubblicata da Frei nel 1979, pag. 371 Fig.6, con il solito accorgimento di lasciare intendere, senza dirlo, che si tratta di granuli trovati sulla Sindone. Risulta palese che la foto dei tre granuli è solamente un particolare della foto con 15 granuli di Morano. Per quanto sul retro delle foto di Morano non risulti specificato che si tratta di granuli di controllo, è ovvio che di questo si tratta, data l’abbondanza e la freschezza dei granuli.
La fig.14 è un’altra foto di Morano, etichettata “Serie 235, n.15, Polline 226”. Chiaramente questa foto è uguale a quella pubblicata da Frei 1979, pag.371 Fig.6.
In conclusione, possiamo sostenere che Frei ha pubblicato solo foto di granuli di controllo e non di granuli tratti dalla Sindone, lasciando però credere che fossero proprio granuli della Sindone.
b – Wilson, l’ultimo difensore di Frei
Ian Wilson è colui che accompagnò Frei nei suoi viaggi in Palestina e Turchia nel 1977. La sua teoria che il Mandylion di Edessa fosse in realtà la Sindone di Torino ripiegata si appoggiò molto alla ‘prova dei pollini’ di Frei. Wilson è fra coloro che, senza esitare, ha dichiarato nei suoi libri che le foto al SEM di Frei erano di granuli pollinici ritrovati proprio sulla Sindone:
«Linum mucronatum, one of the pollen found on the Shroud» [Wilson 1978, tav. fuori testo non
numerata (tav.17)].
(Linum mucronatum, uno dei pollini trovati sulla Sindone).
«Pollen grain of the plant Linum mucronatum one of the variety of non-European pollen found among
Shroud dust by Dr. Max Frei» [Wilson 1986, didascalia della fig. a pag.40].
(Granulo pollinico della pianta Linum mucronatum, una varietà di polline non europeo trovato tra la polvere della Sindone dal Dr. Max Frei).
Proprio questa foto è una di quelle che abbiamo trovato fra le foto dei pollini campione di Morano, conservate presso il convento dei Domenicani di Varazze:
Fig.15 Fig.16
La fig.15 è una foto scattata al SEM da Morano ed etichettata sul retro “Serie n.123, Foto n.3, Polline n.2, Ingrandimento 1750x”. La Fig.16 è tratta da Wilson 1986, p.40. Si tratta evidentemente dello stesso scatto fotografico.
Nel suo ultimo libro sulla Sindone di Torino Ian Wilson ha cercato di rivalutare il lavoro di Frei, in seguito alle smentite che erano circolate dopo che i nastri adesivi di Frei erano stati revisionati da Baruch e Litt, i quali avevano, in particolare, dichiarato che i granuli inseriti nella colla del nastro adesivo non erano assolutamente classificabili. Wilson riporta un lungo brano di un articolo di Maloney in cui si spiega una tecnica usata da Frei per estrarre granuli di polline dai nastri adesivi, tecnica descritta nel manoscritto di Frei che all’epoca era in possesso di Maloney e consisteva nel praticare delle piccole incisioni triangolari sul nastro nel punto voluto e asportare così un lembo di nastro con il granulo scelto. Secondo Wilson tali incisioni triangolari si possono vedere sui nastri di Frei:
«Litt quickly noted that Baruch, unlike Frei, had not removed any of the pollen grains from the
sticky tapes» [Wilson 2010, p.65].
(Litt segnalò che Baruch, diversamente da Frei, non aveva rimosso nessun granulo pollinico dai nastri adesivi).
«That Frei had done all this was quite evident from tiny incisions he had made in some of his tapes to
extract the specimens he identified» [Wilson 2010, p.65].
(Che Frei ha fatto tutto ciò era reso evidente con chiarezza dalle piccole incisioni che egli praticò in alcuni dei suoi nastri per estrarre esemplari che poi ha identificato).
Ma Maloney non aveva fatto alcun cenno a queste incisioni che si osserverebbero sui nastri di Frei, limitandosi a descrivere la tecnica come si ricavava dal manoscritto di Frei. Aveva soltanto pubblicato la foto di un vetrino in cui si poteva osservare un lembo di nastro adesivo con un granulo sopra. Esso era uno dei vetrini tratto dal materiale del 1973, non del 1978, etichettato fa Frei con la scritta ‘Secale’.
Nessuno fra coloro che hanno osservato i nastri del 1978 ha mai fatto cenno a incisioni che si potevano vedere su di essi, non Baruch, né Litt, né Maloney, né Wilson stesso che nel 1999 potè osservare uno di tali nastri presso la casa dei coniugi Whanger. Simili incisioni triangolari non compaiono neanche nella foto di quattro dei nastri di Frei, unica foto che è circolata in rete.
La fig.15 è una foto scattata al SEM da Morano ed etichettata sul retro “Serie n.123, Foto n.3, Polline n.2, Ingrandimento 1750x”. La Fig.16 è tratta da Wilson 1986, p.40. Si tratta evidentemente dello stesso scatto fotografico.
Nel suo ultimo libro sulla Sindone di Torino Ian Wilson ha cercato di rivalutare il lavoro di Frei, in seguito alle smentite che erano circolate dopo che i nastri adesivi di Frei erano stati revisionati da Baruch e Litt, i quali avevano, in particolare, dichiarato che i granuli inseriti nella colla del nastro adesivo non erano assolutamente classificabili. Wilson riporta un lungo brano di un articolo di Maloney in cui si spiega una tecnica usata da Frei per estrarre granuli di polline dai nastri adesivi, tecnica descritta nel manoscritto di Frei che all’epoca era in possesso di Maloney e consisteva nel praticare delle piccole incisioni triangolari sul nastro nel punto voluto e asportare così un lembo di nastro con il granulo scelto. Secondo Wilson tali incisioni triangolari si possono vedere sui nastri di Frei:
«Litt quickly noted that Baruch, unlike Frei, had not removed any of the pollen grains from the
sticky tapes» [Wilson 2010, p.65].
(Litt segnalò che Baruch, diversamente da Frei, non aveva rimosso nessun granulo pollinico dai nastri adesivi).
«That Frei had done all this was quite evident from tiny incisions he had made in some of his tapes to
extract the specimens he identified» [Wilson 2010, p.65].
(Che Frei ha fatto tutto ciò era reso evidente con chiarezza dalle piccole incisioni che egli praticò in alcuni dei suoi nastri per estrarre esemplari che poi ha identificato).
Ma Maloney non aveva fatto alcun cenno a queste incisioni che si osserverebbero sui nastri di Frei, limitandosi a descrivere la tecnica come si ricavava dal manoscritto di Frei. Aveva soltanto pubblicato la foto di un vetrino in cui si poteva osservare un lembo di nastro adesivo con un granulo sopra. Esso era uno dei vetrini tratto dal materiale del 1973, non del 1978, etichettato fa Frei con la scritta ‘Secale’.
Nessuno fra coloro che hanno osservato i nastri del 1978 ha mai fatto cenno a incisioni che si potevano vedere su di essi, non Baruch, né Litt, né Maloney, né Wilson stesso che nel 1999 potè osservare uno di tali nastri presso la casa dei coniugi Whanger. Simili incisioni triangolari non compaiono neanche nella foto di quattro dei nastri di Frei, unica foto che è circolata in rete.
Fig.17
Foto tratta da un articolo di Schafersmann pubblicato in rete [Schafersmann].
Wilson, che è sempre molto attento nelle sue citazioni delle fonti, questa volta ha omesso di spiegare chi aveva visto le ‘tiny incisions’ sui nastri di Frei del 1978. Forse si è confuso sulla testimonianza di Maloney, che riferiva della tecnica di Frei applicata sul materiale del 1973, ritenendola erroneamente applicata anche al materiale del 1978.
A questo punto è il caso di richiamare alla mente il limite che, per forza di cose, ci siamo imposti all’inizio di questo studio: non è possibile per l’Autore accedere al materiale tratto dalla Sindone. Infatti basterebbela semplice osservazione dei nastri di Frei per chiarire se ci sono o no dei piccoli tagli triangolari su qualcuno di essi. Come ciò non è possibile per l’Autore, altrettanto impossibile lo è stato per Wilson, che, a quanto egli stesso racconta, ha potuto osservare uno solo di tali nastri, mentre noi ne possiamo osservare quattro nella foto di Fig.17.
L’Autore inoltre è confortato nelle proprie affermazioni, oltre che da tutti gli indizi esposti sopra, dal parere espresso in proposito in una email indirizzata a Gian Marco Rinaldi da Paul Maloney, che in data 2 dicembre 2008 così scriveva:
«Dr. Frei’s published work is premised solely and entirely on the 12 sticky tape samples he took in 1973 –
the 1978 samples never play a role in his further published researches – not a single pollen grain was
ever removed from any of the 1978 tapes».
(Le pubblicazioni di Frei sono basate unicamente e interamente sui 12 nastri adesivi presi nel 1973. I campioni del 1978 non hanno avuto alcun ruolo nelle sue successive pubblicazioni. Neanche un granulo è stato mai rimosso da alcuno dei nastri del 1978.)
17. Sconfessione dei risultati di Frei
Steven Schafersman fu il primo a lanciare un’accusa di frode scientifica nei confronti di Frei nel 1982. Ecco come egli riferì le sue impressioni sui risultati di Frei, dopo aver visto il documentario ‘Witness of the Shroud’:
«I first suspected that Max Frei’s data were faked when I saw the movie “Witness of the Shroud” on
television. One segment showed Frei addressing the assembled shroud devotes with huge projections
of SEM photomicrographs of his pollen. In the dozen of illustrations, each species was represented by
four or five perfectly preserved specimens; the pollen looked fresh-as-new. In the four published SEM
photo micrographs, each illustration shows four or five pollen grains piled up, with perhaps more
underneath. What a treasure trove! Frei had been lucky enough to discover hundreds of perfectly-
preserved pollen grains on the Shroud, a number of each species» [McCrone, p.306].
(Ho sospettato per la prima volta che i dati di Frei fossero falsi quando ho visto alla televisione il documentario “Il testimone della Sindone”. Uno spezzone mostrava Frei che si rivolgeva ai devoti della Sindone riuniti con lunghissime proiezioni di microfotografie dei suoi pollini al SEM. Nelle dozzine di illustrazioni ciascuna specie era rappresentata da quattro o cinque esemplari perfettamente conservati; i pollini sembravano freschi come nuovi. Nelle quattro foto al SEM pubblicate a stampa, ciascuna illustrazione mostra quattro o cinque granuli di polline ravvicinati, con forse altri ancora al di sotto. Che fantastico ritrovamento! Frei era stato fortunato abbastanza da scoprire sulla Sindone centinaia di granuli pollinici perfettamente conservati, e molti per ciascuna specie).
Un altro che si è scagliato contro i lavori di Frei è stato frate Bruno Bonnet-Eymard, l’irriducibile sindonista che, come abbiamo già visto, aveva esultato nel 1978 per i clamorosi annunci di Frei (Cap.12).
Dopo due lunghe colonne della sua rivista in cui il frate francese si accaniva a sottolineare l’inconsistenza dei risultati di Frei sui pollini sindonici, correggendo e rimagiandosi quanto aveva scritto lui stesso cinque anni prima, l’Autore proseguiva:
«Mais alors, les magnifiques photos des quarante-huit pollens trouvés sur le Saint-Suaire, qui firent
au Congrès de Turin la gloire de Frei, que j’ai moi-même publiée avec son aimable autorisation (et
moyennant finance)? Ce sont les photos des pollens de reference, voyons! Tout propres, tout neufs,
comme au premier jour de la creation …» [Bonnet-Eymard 1984, p.84].
(E allora le magnifiche foto dei 48 pollini trovati sulla Santa Sindone, che al Congresso di Torino fecero la gloria di Frei, che io stesso ho pubblicato con la sua graziosa autorizzazione (dopo aver pagato)? Ecco, sono le foto dei pollini di riferimento. Tutti perfetti, tutti nuovi come il primo giorno della creazione …).
Ci colpisce, in mezzo alla sarcastica e veemente filippica contro Frei, quell’inciso ‘et moyennant finance’.
È questa la più velenosa delle critiche, in quanto sottintendeva che uno degli scopi di Frei fosse il vantaggio economico.
Anche Giovanni Riggi nel 1988, dopo una brevissima analisi dei risultati raggiunti da altri e da lui stesso, concludeva così:
«Credo di poter definire la storia dei pollini come una esaltazione del mezzo moderno per fornire false,
incomplete e non determinanti notizie al fine di forzare un risultato piuttosto che un altro»
[Riggi 1988, p.141].
Dobbiamo, con energia, sottolineare il termine usato da Riggi ‘false notizie’, che se non è una palese accusa di falsificazione nei confronti di Frei, poco ci manca.
Sia Bruno Bonnet-Eymard sia Giovanni Riggi non erano palinologi professionisti. Passiamo quindi a esaminare il parere di qualche palinologo professionista che si è occupato di sottoporre a una revisione critica i lavori di Frei. I palinologi che hanno esaminato semplicemente la lista dei nomi di piante messa a punto da Frei non hanno potuto fare altro che confermare che quel gruppo di piante richiamava un ambiente palestinese. Quando Maloney sottopose l’elenco dei pollini di Frei al dr. Aharon Horowitz, questi dovette confermare che:
«The spectrum on the Shroud as represented in Dr. Frei’s work matches that of Israel not North Africa»
[Maloney 1990, p.3].
(Lo spettro della sindone, come presentato nel lavoro di Frei, corrisponde a quello di Israele e non del Nord Africa).
Ben diversa è stata la valutazione effettuata da Silvano Scannerini, professore di botanica all’Università di Torino, direttore del Centro di Microscopia Elettronica, membro della Commissione per la Conservazione della Sindone e del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, deceduto nel 2005, figura molto apprezzata da tutti i Sindonisti, tanto da essere nominato presidente del congresso internazionale di Sindonologia tenutosi a Torino il 2-5 marzo 2000. Egli nel 1989 e poi nel 2000 fece una valutazione estremamente negativa sull’attendibilità dei dati contenuti nei lavori di Frei. Ecco come si esprimeva in proposito:
«Dalla documentazione ritrovata (altra ne sarebbe ovviamente benvenuta) non c’è prova che siano stati
rispettati gli obblighi metodologici della palinologia che nella fattispecie sono schematizzabili in:
1.Evitare gli inquinamenti secondari del reperto e/o discriminarli dallo spettro pollinico originario.
2.Estrarre con metodi appropriati tutti i residui vegetali e i granuli pollinici presenti nel tessuto.
3.Sottoporre le polveri prelevate ad analisi microscopica quali-quantitativa secondo le regole delle schede
polliniche onde stabilire la pianta di provenienza dei singoli pollini e quantizzare la loro presenza percentuale
sul supporto.
4.Confrontare lo spettro pollinico così ottenuto e i dati sui residui vegetali con gli spettri archeopalinologici
delle zone floristiche vegetazionali dei territori indiziati per la presenza della Sindone …»
[Scannerini 1996, p.86].
E finiva per concludere:
«Alla luce di quanto abbiamo rilevato, le attuali conoscenze sui pollini della Sindone non possono
(per la loro nebulosità metodologica e la mancanza di documentazione convalidabile secondo la
prassi della palinologia) essere considerate definitive circa il viaggio da Gerusalemme a Edessa
quindi a Costantinopoli e infine in Europa» [Scannerini 1996, p.87].
Difficilmente Scannerini avrebbe potuto essere più esplicito di così nel negare qualsiasi validità ai lavori di Frei. Purtroppo però lo stesso Scannerini non è stato altrettanto chiaro in altri suoi lavori; per esempio nel 1997, un anno dopo la stesura dell’articolo precedente, affermava:
«I risultati di Frei documentano quindi che la Sindone ha realmente soggiornato in Palestina, Anatolia e …
in Savoia e in Piemonte» [Scannerini 1997, p.50].
Anche se poi nelle pagine successive si metteva in risalto come i dati di Frei fossero tutt’altro che sicuri, questo lavoro di Scannerini ha continuato a essere citato a conferma dell’esattezza della ‘prova scientifica’ dei pollini.
18. Il caso del polline americano
Il giorno 8 ottobre 1978, durante la riunione degli scienziati italiani e americani dello STURP, Frei attuò per la seconda volta l’operazione di raccolta di polvere dalla Sindone con del nastro adesivo. In quel momento gli scienziati americani inorridirono alla vista di Frei, che metteva una mano in tasca, tirava
fuori un rotolo di nastro adesivo trasparente di tipo economico e si apprestava a mani nude a pressarlo sulla Sindone, svolgendolo da un comunissimo dispenser di plastica rossa. Tentarono di convincerlo, senza riuscirci, a usare del nastro adesivo speciale che loro si erano portati dietro appositamente dall’America. Lo convinsero soltanto, o meglio lo costrinsero, a indossare dei guanti di cotone, anche questi appositamente portati dall’America, per non contaminare il telo con quanto poteva trovarsi sulle sue mani.
Così, in una famosissima foto, vediamo Frei, con guanti bianchi di cotone, compiere la sua operazione apparentemente banale, sorvegliato da un corrucciato scienziato americano, Ray Rogers. I testimoni alla scena ci assicurano che gli americani erano veramente contrariati nel vedere Frei lavorare in modo così poco scientifico, secondo loro, disprezzando così clamorosamente i loro costosi, sofisticati, ingombranti e pesanti mezzi e macchinari americani. Ma anche Frei era contrariato per le pretese e le proteste degli americani e decise di vendicarsi al momento opportuno.
Infatti, analizzando i pollini prelevati con i nastri del 1978, egli scoprì anche un granulo di una pianta tipicamente americana, molto diffusa e nota - con il nome di ragweed - per la sua elevata capacità di provocare reazioni allergiche. Presentando i risultati delle sue nuove ricerche al Convegno tenutosi a Bologna il 27-29 novembre 1981, così Frei riferì di questo ritrovamento:
«Non considero l’Ambrosia coronopifolia T. e G. ritrovata in un nastro collante. Si tratta di una pianta
americana che negli Stati Uniti produce gravi allergie: il polline di questa pianta (Ragweed in americano)
probabilmente aderiva ai guanti di cotone, che i periti americani mi avevano pregato di portare per
«proteggere» la Sindone contro eventuali contaminazioni causate dalle mie ricerche. Ma essi stessi
non avevano controllato lo stato di purezza dei guanti!» [Frei 1983, p.281].
La velenosa frecciata di Frei agli americani dello STURP sembra che non abbia avuto, sul momento, nessun seguito. Frei era una celebrità intoccabile nell’Olimpo della Sindone, addirittura era il presidente del Convegno di Bologna 1981 e di lì a poco sarebbe morto. Così nessuno gli rispose.
Possibile che gli americani dello STURP abbiano veramente fornito a Frei nel 1978 dei guanti contaminati? Naturalmente tutto è possibile, ma le cose non stanno necessariamente così.
La Ambrosia coronopifolia - non occorre essere un botanico per accedere a questa informazione - è un fiore tipicamente nordamericano; questa e altre specie simili “si sono naturalizzate in varie località italiane, specialmente alla periferia delle città e nei gerbidii” [Botanica, p.601]. Eppure per dar conto di un ritrovamento spiegabilissimo, il palinologo Frei ha preferito una spiegazione che gli consentiva di dare sfogo al suo rancore. O Frei era veramente uno sprovveduto in botanica, oppure dobbiamo pensare che egli si sia semplicemente voluto vendicare degli americani dello STURP, beffandoli, dimostrando nel contempo che costoro non erano neanche in grado di accorgersi della beffa giocata.
19. I mancati risultati dei prelievi di altri ricercatori
Oltre Frei, altri tre studiosi nel 1978 raccolsero materiale che speravano contenesse pollini. Riggi aveva messo a punto un aspiratore collegato con un filtro ad acqua. Il giorno 2 ottobre 1978, mentre era ancora in corso l’ostensione della Sindone in duomo, egli si recò al Palazzo Reale per compiere prelievi di polvere dalla teca-contenitore della Sindone e dagli oggetti in essa racchiusi. Riggi ci lascia alcune osservazioni sull’interno di questo contenitore:
«Sul fondo, specialmente negli angoli, polveri e particelle di dimensioni visibili abbondavano per ogni dove,
pronte ad essere raccolte dai nostri strumenti» [Riggi 1982, p.82].
In quella occasione, oltre ai prelievi effettuati da Riggi con aspiratore [Riggi 1982, pp.88-94], Baima Bollone procedette al prelievo di polveri tramite pezzi di nastro adesivo (strips) applicati alle superfici interne della teca, usando un rotolo acquistato poco prima in una tabaccheria di Torino, come da accordi intercorsi con Frei:
«Alle ore 9 del 2 ottobre raccolsi materiali e collaboratori … giunse il Prof. Baima che doveva trasportarci
con la sua vettura … Una breve fermata presso un tabaccaio del centro consentì al prof. Baima di
approvvigionarsi del nastro adesivo per i prelievi secondo la tecnica degli Strips che dovevano essere
compiuti per il Prof. Frei» [Riggi 1982, p.75].
«Per volontà del Prof. Baima Bollone e su espresso desiderio del Prof. Frei furono compiuti quindi
prelievi secondo la tecnica descritta …» [Riggi 1982, p.86].
La notte fra l’8 e il 9 ottobre 1978, dopo che Frei ebbe eseguito i suoi prelievi, Riggi mise mano al suo aspiratore e prelevò campioni dal retro della Sindone, nella intercapedine aperta tra il tessuto sindonico e la tela d’Olanda di supporto [Riggi 1982, pp.151-163].
Fu poi la volta di Ray Rogers:
«In due tempi compì prelievi di polveri superficiali sul Recto della S. Sindone a mezzo di nastro adesivo
applicato accortamente mediante uno strumento che regolava la pressione del nastro sulla stoffa …
Nessuna modificazione dei valori di fluorescenza fu rilevato a causa dei 22 prelievi che furono effettuati»
[Riggi 1982, pp.181-182].
Data la massima esaltazione raggiunta nel 1978 con la presentazione dei risultati di Frei relativi ai prelievi del 1973, tutti erano convinti che gli abbondanti prelievi del 1978 avrebbero confermato e aggiunto nuove prove alla teoria dell’autenticità della Sindone di Torino. Con questa premessa è possibile immaginarsi la delusione e la rabbia dei ricercatori constatando di aver ottenuto risultati ben diversi da quelli di Frei e assolutamente inutilizzabili. Così si esprime Riggi nel 1982:
«Anche la strada offerta dal riconoscimento dei pollini fu presto abbandonata perché offrì il fianco a
numerosissime critiche all’interno del gruppo. Infatti quasi tutti i pollini trovati sui nastri adesivi in
America [prelievi di Ray Rogers] e quelli del grandissimo numero da me ritrovati nelle polveri, non
consentono riconoscimento alcuno perché ricoperti da incrostazioni che ne mascherano l’aspetto e le
forme caratteristiche. Per poter scoprire il volto nascosto di ciascuno di essi, inserito in un nugolo di altri
granelli minerali e biologici, era ed è necessario intaccare chimicamente la crosticina di ricopertura che al
contatto di acidi si scioglie insieme a tutto il contorno di altri reperti e alle informazioni in essi contenute.
Inoltre sembra incerta la possibilità di mantenere indenne l’aspetto della superficie caratteristica del polline
in conseguenza del brutale trattamento e di conseguenza è possibile errare nella determinazione della
specie della pianta originaria» [Riggi 1982, p.206].
La conclusione cui giunse Riggi dopo chissà quanti mesi di faticoso lavoro, comporta un’implicita sconfessione totale dei risultati di Frei: i pollini trovati sulla Sindone di Torino non sono identificabili a livello di specie, che è proprio l’esatto contrario di quanto sostenuto da Frei. Meraviglia perciò trovare nel lavoro di Riggi, qualche pagina dopo le frasi prima riportate, un breve riassunto del lavoro di Frei presentato nel 1981, senza nessuna nota critica:
«Il prof. Max Frei che compì rapidi prelievi di polveri con nastri adesivi, primo fra tutti i ricercatori nell’ormai
lontana notte del 9 ottobre, nel congresso di Bologna del 1981 annunciò la scoperta di nuovi pollini, alcuni
dei quali riferibili all’Asia Minore e affermò ancora una volta l’importanza di una indagine statistica sulla
presenza di questi microscopici elementi d’indizio» [Riggi 1982, p.212].
Max Frei nella sua relazione al convegno del 1981, pubblicata nel 1983, riferisce brevemente di aver studiato anche i nastri adevisi preparati da Baima Bollone il 2-12-78 e da Ray Rogers la notte tra l’8 e il 9 dello stesso mese, sui quali però non fa alcun commento e non fornisce nessuna specificazione:
«Nel frattempo avevo avuto occasione di studiare altro materiale e precisamente:
a) I nastri collanti prelevati in data 8 ottobre 1978 in occasione della riunione degli scienziati americani
ed italiani per lo studio della Sindone;
b) polvere prelevata in data 6 ottobre 1978 [errore per 2 ottobre] da Baima Bollone e Coll.
nella teca di conservazione della Sindone» [Frei 1983, p.281].
Frei, subito dopo, aggiunge un’osservazione sui reperti ottenuti tramite aspirazione da Riggi:
«c) fotografie al microscopio elettronico di polvere prelevata, per mezzo di aspiratore speciale, da
Riggi in data 8 ottobre 1978, in parte sul retro della Sindone nello spazio tra il lino e il supporto aggiunto
nel ‘500. Riggi mi ha gentilmente mostrato una gran parte delle sue fotografie che in verità non
contenevano pollini identificabili» [Frei 1983, p.281].
Una notizia sui risultati ottenuti dallo studio dei nastri di Baima Bollone, si trova in una lettera di Frei a monsignor Giulio Ricci, datata 1981 e pubblicata nel 1985:
«Prelievi fatti il 6.10.78 [in realtà 2-10-78] dal Prof. Baima Bollone e collaboratori all’interno della teca
di conservazione della Sindone. 6 nastri collanti che contenevano 5 varietà di pollini, una delle quali
non ancora ritrovata nelle ricerche precedenti» [Ricci 1985, p.234].
Non saprei dire dove sono conservati adesso i nastri di Baima Bollone e se siano mai stati guardati o studiati da altri.
Riguardo ai risultati ottenuti da Ray Rogers tramite il prelievo dei suoi nastri nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 1978, oltre la telegrafica nota negativa pubblicata da Riggi, come abbiamo visto sopra, una breve informativa è stata fornita da Giulio Fanti, il quale ha fatto riferimenti a notizie che gli sono pervenute a voce:
«R. ROGERS in diverse discussioni private 2003-2004 dichiarò di avere analizzato i suoi nastri adesivi,
prelevati dalla Sindone, per studiare il polline. Egli affermò però di aver trovato una quantità assai più
ridotta di quella dichiarata da altri studiosi e aggiunse che i granuli pollinici rinvenuti non erano di così facile
identificazione» [Fanti, p.493].
In effetti, secondo altre fonti in tutti i nastri prelevati da Ray Rogers fu trovato solamente un granulo di polline:
«Frei had identified … 58 different pollen types …, while STURP, also using a sticky-tape method,
was only able to pick up one single pollen grain» [Maloney 1989, p.2].
(Frei aveva identificato 58 tipi diversi di polline, mentre lo STURP, pur usando il metodo dei nastri adesivi, fu in grado di prelevare solamente un singolo granulo di polline).
«STURP’s single pollen as been identified as ragweed which grows in profusion around Turin»
[Maloney 1990, p.4].
(Il singolo polline dello STURP è stato identificato come ragweed [pianta delle Ambrosiacee], che cresce in abbondanza intorno a Torino).
Quindi sembra di notare una apparente contraddizione, riguardo ai pollini presenti sui nastri di Rogers, tra chi parla di pochi granuli incrostati e non riconoscibili e chi parla di un solo granulo trovato [ragweed].
È però possibile supporre che chi parla di un solo granulo trovato, si riferisca al solo granulo riconoscibile, mentre tutti gli altri granuli erano forse incrostati e irriconoscibili.
È stata effettuata una ulteriore ricerca, non mirata direttamente allo studio dei pollini. Si tratta di uno studio al microscopio elettronico a scansione (SEM) su un filo sindonico, presentata al convegno del1978. Così descrive i risultati il dr. Ettore Morano, autore della ricerca:
«Si osserva la presenza, oltre che di materiale inquinante di tipo francamente amorfo, di un discreto
numero di corpuscoli rotondeggianti od ovalari adesi tenacemente alla superficie delle fibre, o
semplicemente compresi tra di essi … A forte ingrandimento … tutti questi corpuscoli mostrano
avere una superficie «organizzata» o comunque di tipo biologico. La maggior parte di essi hanno
una forma rotondeggiante, un diametro medio di 4-5 micron ed una superficie che definiremmo di tipo
«echinocitario», con presenza di rilevatezze regolari intercalate a piccoli avvallamenti. Il loro numero
appare rilevante, se pensiamo alla esiguità della superficie del frammento di filo esaminato (1 mm circa). …
allo stato attuale possiamo avanzare una valida ipotesi; che si tratti cioè di materiale biologico catalogabile
nella categoria delle spore o pollini» [Morano, p.202].
Oltre il testo, Morano pubblicò una serie di microfotografie in cui si notano dei granuli, molto probabilmente pollini, con aspetto superficiale deteriorato e incrostato [Morano, pp.382-384].
Infine, in occasione dell’intervento di restauro effettuato in tutta segretezza il 2 luglio 2002, sono stati eseguiti ulteriori prelievi in dieci punti sul retro della Sindone, sia con aspiratore sia con nastri adesivi, a opera del Prof. Baima Bollone, ma non si sa se qualcuno li abbia mai studiati ai fini palinologici [Fanti, pp.461-462; Flury-Lemberg, p.128].
20. Le ricerche di Gerard Lucotte
Nel maggio 2010 è stato dato alle stampe da Gerard Lucotte un libro sulla Sindone di Torino che arricchisce lo studio dei pollini sindonici, praticamente fermo dopo la morte di Max Frei nel gennaio 1983. Il professor Lucotte, docente alla École d’Anthropologie de Paris, famoso genetista specializzato in antropologia molecolare, lo studioso a cui viene addebitata la scoperta del «chromosome juif», da molti anni studioso di Sindonologia, ultimamente si è dedicato a un nuovo campo: la palinologia sindonica. Lucotte ha letto i lavori di Frei e riporta sul suo libro le conclusioni del criminologo svizzero in maniera assolutamente acritica. Ci racconta di essersi dedicato a questo studio nel 2007, giudicandolo abbastanza semplice dopo la lettura di Frei. A esso ha dedicato due anni di lavoro,prima della stesura del libro.
Lucotte ha ricevuto della polvere che era stata raccolta con aspiratore dalla faccia posteriore (quella senza figura) della Sindone di Torino, operazione effettuata da Giovanni Riggi nel 1978 e 1988, e poi depositata su carta adesiva (papier collant); aveva ricevuto inoltre il filtro di un aspiratore usato nel 1988 e altra polvere sindonica non meglio precisata, consegnatagli dal professor Giulio Fanti, già depositata su un substrato speciale, particolarmente adatto per le foto al microscopio elettronico a scansione (SEM o MEB in francese) [Lucotte, pp.9,33].
Su tutto il materiale esaminato e le centinaia di foto ricavate, Lucotte ha riconosciuto 88 granuli come pollini, ma per 54 di essi il riconoscimento era solo probabile. Per i restanti 34 granuli, l’Autore è sicuro trattarsi di polline. Solo per 16 di questi 34 egli ha potuto proporre una classificazione: per 7 la classificazione si è fermata a livello di famiglia (Chenopodiacee e Leguminacee) e per 9 a livello di genere (salice e nocciòlo).
Nessun granulo ha potuto essere classificato a livello di specie [Lucotte, pp.104-105].
Questi risultati, essendo basati su numeri molto ridotti e su classificazioni incomplete, sono naturalmante poco significativi e certo non confermano i risultati di Frei, in quanto sono semplicemente indizio che la Sindone è stata in ambiente europeo.
I granuli, di cui Lucotte presenta le foto, hanno la superficie coperta di incrostazioni e non si distingue la struttura superficiale della exina (ornamentazione), elemento indispensabile per distinguere i vari tipi di polline. Inoltre i granuli erano fissi sul loro supporto e non potevano essere mossi per osservare le varie proiezioni.
Un punto su cui occorre essere molto cauti è la distinzione che l’Autore fa tra granuli recenti e granuli antichi, sulla base della quantità di detriti depositati sul singolo granulo: se esso presenta pochi detriti sarebbe recente, se presenta molti detriti sarebbe antico [Lucotte, pp.104-5]. L’Autore non si sbilancia a quantificare l’antichità, che quindi potrebbe essere intesa variabile da pochi giorni a qualche settimana oppure da pochi anni a qualche secolo o millennio. Inoltre su questo punto non fornisce nessuna indicazione bibliografica dove si dimostri il suo assunto, che quindi al momento non può essere preso come dato accertato.
Una considerazione finale, marginale rispetto ai risultati presentati da Lucotte, può gettare delle ombre sull’accuratezza del suo operato. Egli infatti, dopo aver citato i tre principali articoli di Frei, sostiene che Frei ha pubblicato solamente una foto di un granulo pollinico: “Suaeda aegyptica” (sic) [Lucotte, p.108 nota 15].
In realtà Frei ha pubblicato 24 foto di pollini nel 1979 [Frei 1981], 4 foto nell’articolo del 1982 [Frei 1982] e 4 nell’articolo del 1983 [Frei 1983], che sono i tre articoli citati in bibliografia da Lucotte. Delle complessive 32 foto nei tre articoli detti, nessuna rappresentava Suaeda aegyptiaca, che invece compare nell’articolo scritto in tedesco da Frei nel 1979 per una rivista tedesca, in cui peraltro le foto di pollini erano due [Frei 19792]. Come si evince dalle sue note, Lucotte si è limitato a consultare delle traduzioni inglesi degli articoli di Frei, che probabilmente erano prive del corredo fotografico.
21. Il caso dei pollini sul Santo Sudario di Oviedo
Nel novembre del 1978 monsignor Giulio Ricci, presidente del Centro Romano di Sindonologia, in accordo con l’arcivescovo di Oviedo, decise di effettuare uno studio sui pollini del Santo Sudario di Oviedo; a tal fine, in data 18-11-1978, dette incarico a Max Frei di effettuare prelievi di polvere mediante nastri adesivi anche a Oviedo, come aveva già fatto per la Sindone di Torino. Ricci stesso, in data 29-11-1978, effettuò dei prelievi di stoffa e di fili dal Sudario di Oviedo. Poi tra il 15 e il 17 maggio 1979 Frei giunse a Oviedo e attuò i previsti prelievi: 25 nastri su una faccia del tessuto (quella definita faccia anteriore) e 16 sull’altra faccia; altri 5 nastrifurono approntati con i residui contenuti all’interno del reliquiario.
Un’altra operazione fu compiuta da Frei a Oviedo in quell’occasione. Egli tagliò due pezzetti del Sudario di circa 15-20 mg ciascuno, che poi furono inviati a Tucson per la datazione al C14, la quale dette come risposta che il telo era stato fabbricato nell’8° secolo d.C. [Moroni & al. 2009, par. 3.4].
I risultati dello studio sui pollini, redatti sotto forma di lettera indirizzata da Frei a Ricci nel 1981 e pubblicati a stampa nel 1985, in un libro di monsignor Ricci, anche questa volta furono clamorosi: 13 furono i pollini identificati a livello di specie; fra essi, oltre a piante tipiche della Spagna, vi erano 4 tipi di polline di piante esclusive della Palestina e nessuna dell’Anatolia o di Costantinopoli. Alcuni pollini poi indicavano, con probabilità se non con certezza, un soggiorno del Sudario di Oviedo nell’Africa del Nord [Ricci 1985, pp.233-238].
Un prelievo di polvere dal Sudario di Oviedo per l’esame microscopico fu eseguito nuovamente il 24 maggio 1985 dal Ricci stesso, il quale applicò 12 nastri adesivi al tessuto [Ricci 1997, p.184], ma non si è più saputo se e da chi siano stati analizzati e che risultati questa analisi possa aver dato.
Purtroppo per Frei lo studio dei pollini del Sudario di Oviedo è stato ripetuto nel periodo 1989-1994, con modalità di prelievo e tecniche di studio meglio descritte e più credibili. I risultati sono stati ben diversi.
Innanzitutto i prelievi di polvere dal Santo Sudario sono stati effettuati con un aspiratore collegato a un filtro a membrana:
«Para la toma del polvo adherido al lienzo utilizamos una bomba de vacío regulable, acoplada a un
sistema Millepore con una membrana de Teflón de 5 micras de tamaño de poro y 47 mm. de diámetro.
La toma se hizo a una depresión muy pequeña con el fin de non dañar la parte del lienzo donde se
realizaron las tomas e syn tocar la superficie del mismo.
Se ha empleado este procedimiento por ser a nuestro modo de ver mucho más limpio e inofensivo
para el lienzo, que el clásico de pegar cintas adhesivas directamente sobre la tela, además de
proporcionar muestras no solo de la superficie sino también de la partes más profundas del tejido»
[Montero Ortego, p.70].
(Per il prelievo della polvere depositata sul telo abbiamo utilizzato una pompa a vuoto regolabile, abbinata a un sistema Millepore con una membrana di teflon con pori larghi 5 micron e del diametro di 47 mm. Si è effettuato il prelievo utilizzando un piccolo abbassamento di pressione per non danneggiare la parte del telo su cui si attuava il prelievo e senza toccare la superficie di esso. Si è impiegato questo procedimento in quanto, a nostro modo di vedere, più pulito e meno dannoso per il telo rispetto al classico metodo di attaccare nastri adesivi direttamente sopra la tela, con il vantaggio, inoltre, di procurarci campioni non solo della superficie ma anche delle parti più profonde del tessuto).
Notiamo a questo punto che l’Autore spagnolo è il terzo studioso di microscopia e palinologia a sostenere che il prelievo con una pompa a vuoto, anche a pressione bassa, è il sistema migliore per prelevare polvere da un tessuto ai fini di ricerche palinologiche, in quanto in grado di prelevare campioni anche penetrati in profondità nel tessuto e non solo quelli superficiali, come si ottiene con il metodo del nastro adesivo. Gli altri studiosi che avevano fatto la stessa osservazione, come abbiamo già visto, erano stati Scannerini e Mariotti Lippi. Questo particolare risulterà importante al momento di trarre le conclusioni sui lavori di Frei.
Poi il materiale raccolto è stato sottoposto a trattamento acetolitico e studiato sia al microscopio ottico che al microscopio elettronico a scansione (SEM) dalla dottoressa Carmen Gómez Ferreras, professoressa del Dipartimento di Biologia vegetale della Università Complutense di Madrid. I granuli così riportati al naturale, sono stati classificati ed elencati in uno spettro pollinico, cioè una tabella in cui sono riportate tutte le specie identificate con il numero di granuli ritrovati per ogni specie [Gómez Ferreras].
Sottolineiamo a questo punto che l’Autrice dello studio si riferisce correttamente a uno spettro pollinico (Espectro Polínico). Ciò è ben diverso da quanto aveva fatto Frei, che aveva chiamato ‘spettro pollinico’ il semplice elenco dei nomi delle varie specie, senza nessuna indicazione della quantità di granuli per ogni specie (Cap.6).
In questo studio sono stati identificati 141 granuli di polline, appartenenti a 25 specie vegetali. Nessuna di queste specie è esclusiva della Palestina e nessuna è assente dalla Spagna. Solo una specie delle 13 ‘scoperte’ da Frei compare anche nell’elenco di questa studiosa spagnola [Gómez Ferreras].
In conclusione uno studio di poco posteriore e con caratteristiche di serietà e credibilità maggiori non ha confermato in niente i risultati di Frei. Nonostante questa conclusione completamente negativa,
i Sindonisti della sottobranca di Oviedo, sostengono invece che il lavoro della dottoressa Gómez Ferreras ha confermato e convalidato i risultati di Frei. Così infatti si è espresso Mark Guscin:
«Dr Carmen Gómez Ferreras, who teaches biology at the Complutense University in Madrid, spoke
about the pollen found in the sudarium. She has continued Max Frei’s work in this field, and has
confirmed that there is pollen from Palestine present on the cloth. The pollen she has found is Quercus
caliprinus (a species of oak) and tamaris, both of which are limited to the area of Palestine.
The second of these species is extremely difficult to identify» [Guscin 1998, pp.54-55].
«La dottoressa Carmen Gómez Ferreras, docente di Biologia presso l’Università Complutense di Madrid, [nel convegno di Oviedo 1994] parlò del polline individuato sul telo. Portando avanti il lavoro compiuto in questo campo da Max Frei, la studiosa confermò la presenza di polline proveniente dalla Palestina, in particolare di Quercus caliprinus (un tipo di quercia) e di tamerice (estremamente difficile da identificare), entrambi originari dell’area» [Guscin 2007, p.72].
In realtà la studiosa, secondo ciò che si legge nel suo lavoro, ha identificato 5 granuli pollinici di Quercus perennifolius e non di Quercus calliprinus o di altre specie di quercia. Parlando in generale del genere Quercus, Gómez Ferreras nomina anche Quercus calliprinus e ci fa sapere che “el género Quercus es europalino”, cioè presenta una grande varietà di forme di polline, e conclude affermando che tale genere non si presta a essere considerato come indicatore geografico: “no es válido el género Quercus como indicator geográfico”.
Riguardo alla tamerice, ricordata da Guscin come limitata alla Palestina, notiamo che la Gómez Ferreras ha inserito nel suo elenco dei pollini trovati sul Sudario di Oviedo solamente 4 granuli di Tamarix africana, diffusa nel Nord Africa e in Europa (Tamarix dalmatica è un suo sinonimo), precisando che sarebbe indicatore geografico di provenienza dalla Palestina solo il ritrovamento di pollini di una delle nove specie di Tamarix esclusive della Palestina, fra le quali ovviamente non rientra Tamarix africana.
Che pensare delle affermazioni di Guscin? Dato che egli non cita in bibliografia l’articolo della Gómez Ferreras, stampato nel 1996, immagino che abbia ascoltato la relazione della stessa fatta a voce durante il convegno del 1994 e abbia profondamente equivocato il significato delle sue parole.
22. Conclusione di superficialità e scorrettezza nei lavori di Frei
Numerosi argomenti a favore di un elevato grado di incompetenza emergono dagli articoli di Frei sui pollini. Proviamo a elencarli:
1. Frei sbaglia sostenendo che i granuli di polline si conservano indefinitamente integri in ambiente secco, mentre invece vengono attaccati e distrutti da ossigeno, batteri e funghi. Sembra non conoscere le condizioni in cui i pollini si conservano e si fossilizzano (ambiente anaerobico, senza ossigeno) e quelle in cui vengono più o meno rapidamente alterati e distrutti (ambiente aerobico, con ossigeno).
2. Sembra non aver capito che cosa sia uno ‘spettro pollinico’, confondendo una tabella con le quantità o percentuali dei vari tipi di granuli (spettro pollinico) con una tabella che elenca solo i nomi delle varie specie vegetali (elenco delle specie). Gli elenchi da lui pubblicati non costituiscono uno ‘spettro pollinico’, mancando le quantità o le percentuali di ogni tipo di polline. Le conclusioni che egli ne trae, che sarebbero corrette se basate su uno spettro pollinico, nel suo caso sono assolutamente infondate e arbitrarie.
Ricordiamo che i lavori sui pollini da lui citati in bibliografia usano correttamente il termine ‘spettro pollinico’, sia in lingua inglese che in francese.
3. Sbaglia nelle sue determinazioni di specie, che a detta di altri non sono possibili al microscopio ottico e spesso neanche al SEM. Sembra non rendersi conto, nell’identificare le varie specie, che per essere credibile deve poter escludere tutte le altre specie vegetali che hanno pollini simili o indistinguibili.
4. Sbaglia nel sostenere che negli ultimi secoli la Sindone di Torino non è stata toccata da nessuno e non può aver subito inquinamenti da parte di pellegrini. Sembra non conoscere una nozione basilare sulla Sindone, che molti Sindonisti hanno più volte sottolineato, cioè che il telo sindonico per secoli (o millenni?) è stato toccato e baciato da innumerevoli folle di pellegrini e toccato con i più svariati oggetti al fine di creare ‘reliquie per contatto’.
5. Sembra non rendersi conto della facilità con cui oggetti lasciati all’aria si inquinano velocemente con pollini.
6. Pur avendo fatto raccogliere polvere sindonica dalla teca di conservazione della Sindone, sembra non rendersi conto che i pollini cadono in continuazione dalla tela e che è da 2000 anni che dalla Sindone cadono pollini, se essa è veramente vecchia di 2000 anni.
7. Sbaglia nel sostenere che il granulo pollinico da lui trovato di Ambrosia coronopifolia poteva provenire soltanto dai guanti americani, che lui era stato costretto a indossare la notte tra l’8 e il 9 ottobre 1978: la pianta, di origine americana, in realtà era già diffusa in Italia. Sembra non sapere che numerose piante, come la Ambrosia coronopifolia, pur originarie di una specifica regione, si erano già diffuse in varie parti del mondo come piante infestanti o da giardino e non accenna a ricerche in tal senso per escludere questa eventualità.
Se si assumessero come ‘sincere’ certe affermazioni di Frei sui pollini sindonici, dovremmo arrivare a delle conclusioni drastiche sulla sua competenza. È possibile che tutte queste carenze di nozioni basilari siano presenti in una sola persona, che è nota aver studiato l’argomento pollini e fatto ricerche nel campo, in una persona famosa e apprezzata per le sue competenze scientifiche e tecniche come Frei? Oppure è possibile che Frei abbia fatto finta di non conoscere gli aspetti prima citati, pur di sostenere la sua tesi?
Altri punti negli articoli di Frei, invece, non si spiegano ipotizzando semplici sbagli da parte sua:
1. Come è possibile che Frei sostenga di aver fatto foto al SEM del materiale del 1978, mentre ciò è
materialmente impossibile, dato che i suoi nastri del 1978 sono ancora oggi integri?
2. Come è possibile che Frei lasci intendere che le foto al SEM da lui presentate ai congressi e negli articoli a stampa siano di granuli trovati sulla Sindone di Torino, mentre sono tratti da esemplari di controllo?
3. Come è possibile che Frei sostenga che il polline più frequente sulla Sindone di Torino corrisponda al polline più frequente nei sedimenti palestinesi di 2000 anni fa? Egli non ha mai fatto il conteggio dei pollini sulla Sindone e gli articoli sui pollini nei sedimenti, da lui citati, non parlano affatto di sedimenti di 2000 anni fa.
Con queste ultime considerazioni dobbiamo giungere alla conclusione che l’incompetenza, da sola, non può spiegare questi fatti. Dobbiamo supporre che in qualche modo egli abbia ritenuto di aggiustare i suoi risultati per farli diventare una prova a sostegno della sua teoria iniziale, che la Sindone risalga al primo secolo d.C. e sia da identificare col Mandylion di Edessa.
23. Da dove provengono i pollini sindonici?
I pollini arrivano dappertutto e in continuazione, a meno che un oggetto sia conservato in ambiente sigillato. In continuazione sono anche distrutti e cadono dagli oggetti. Sarebbe impensabile che sulla Sindone di Torino non ce ne fossero, perché fino al 2002 è stata conservata in contenitore non sigillato e perché è stata esposta all’aperto innumerevoli volte, in occasione delle ostensioni.
È il vento soprattutto che porta i pollini, ma li portano anche gli insetti. Oggetti e persone che passano vicino alla Sindone o meglio ancora che la toccano, possono trasmettere pollini. Per questo un granulo o pochi granuli, che possono essere pervenuti sulla superficie di un oggetto per le più varie e impensabili cause,
non ci dicono nulla sulla storia di quell’oggetto. Infatti i palinologi presentano sempre nei loro studi dati sul totale dei granuli e sulle percentuali dei vari pollini. Tutti i palinologi tranne Frei, che ha presentato solo
degli elenchi.
Frei ha sostenuto con determinazione che i pollini sulla Sindone di Torino possono essere arrivati solo per l’azione del vento. Ha studiato la direzione dei venti e ha tratto la conclusione che i venti non possono aver portato pollini dalla Palestina e dalla Turchia fino in Italia e in Francia. A suo dire ciò costituiva la prova inoppugnabile che il telo sindonico era stato, in qualche epoca, in Palestina e in Turchia.
Purtroppo per lui, il suo elenco comprendeva una maggioranza di pollini (32 su 57) trasportati da insetti (entomofili) rispetto a quelli trasportati dal vento (anemofili), secondo il parere espresso a voce dal professor A. Orville Dahl, docente di palinologia all’Università della Pennsylvania, quando nel maggio 1986 Maloney gli mostrò il manoscritto di Frei [Maloney 1990, p.5]. È ovvio che anche i pollini entomofili possono talvolta essere portati dal vento, ma in misura molto minore, dato che la loro struttura e il peso non sono adatti al trasporto nell’aria e dato soprattutto che essi sono prodotti in quantità infinitamente minore rispetto ai pollini anemofili. Le conclusioni di Frei su questo punto sono, ancora una volta, inaccettabili.
Se poi, ed è successo chissà quante volte per la Sindone di Torino, dei fiori sono stati appoggiati sopra o comunque l’hanno toccata, i pollini possono esservi caduti sopra in abbondanza. Nessuno può escludere che anche dei fiori provenienti dal Medio Oriente siano venuti in contatto con la Sindone. È stata anche avanzata l’ipotesi che la Sindone di Torino sia servita come telo per coprire l’altare durante la celebrazione della messa e che un massiccio arrivo di pollini su di essa sia avvenuto proprio in quella o quelle occasioni [Maloney 1990, pp.5-6]. Se i pollini sindonici fossero il risultato del contatto tra fiori palestinesi (o turchi) e Sindone, non ci sarebbe nessuna prova che questo contatto sia avvenuto in Palestina o Turchia e non in qualsiasi altro luogo, dove i fiori potrebbero benissimo essere stati portati da pellegrini e poi dedicati alla Sindone.
Quando i Sindonisti avanzano l’ipotesi che i pollini siano il risultato, non del trasporto tramite vento, ma del contatto diretto tra fiori e Sindone, e nel contempo non sottolineano che Frei ha preso una grossa cantonata su questo punto, commettono una grave scorrettezza, in quanto accettano per dato certo una parte del lavoro di Frei e fanno finta di non sapere che egli ha espresso giudizi perentori su un argomento estremamente opinabile, il che getterebbe un’ombra di discredito su tutto il suo lavoro.
Ma questa dei fiori appoggiati sulla Sindone per devozione è solo una ipotesi stentata, sostenuta da alcuni che non vogliono abbandonare, come non attendibili, i risultati di Frei. Se invece si ammette che le identificazioni di Frei non sono accettabili, come appare inevitabile da quanto fin qui esposto, di questa ipotesi marginale e improbabile se ne può fare a meno.
Gli studi successivi, documentati dalle foto pubblicate da Morano e ultimamente da Lucotte, ci dicono ben altro. Realmente i pollini sulla Sindone esistono in abbondanza. Qualcuno è stato estratto con il sistema dei nastri adesivi premuti sulla superficie. In misura maggiore sono stati estratti con il sistema dell’aspirazione, anche se i risultati non sono mai stati pubblicati. Sulla quantità di pollini prelevati con l’aspirazione dalla Sindone, è stato molto chiaro Giovanni Riggi:
«Io stesso, detentore ancora oggi di una piccola parte delle polveri sindoniche … dopo averne
osservati mille e più sullo schermo del Microscopio Elettronico a Scansione …» [Riggi 1988, p.141].
In misura ancora maggiore si evidenziano pollini sui fili di tessuto staccato dalla Sindone:
«Il loro numero appare rilevante, se pensiamo alla esiguità della superficie del frammento di filo
esaminato (1 mm circa)» [Morano 1979, p.202].
Il problema principale, ai fini dello studio di tali pollini, è che essi sono incrostati e deteriorati, quindi difficilmente classificabili. In proposito non risulta, nel caso di pollini sindonici prelevati con l’aspirazione, che sia stata utilizzata la comune pratica dell’acetolisi per eliminare tutte le incrostazioni e impurità. Riggi ha fornito una sua spiegazione del perché, sul materiale da lui aspirato, non abbia usato l’acetolisi per isolare e ripulire i granuli:
«Il trattamento di ripulitura avrebbe potuto far perdere infiniti altri dati che per la nostra indagine
avevano importanza infinitamente più grande» [Riggi 1978, p.206].
«L’analisi delle incrostazioni [dei pollini] fornisce dati maggiori di quelli relativi all’individuazione del
polline stesso» [Riggi 1988, p.133].
La motivazione di Riggi probabilmente è stata fatta propria anche dagli altri ricercatori, che pertanto non hanno mai usato l’acetolisi. A questo punto si può accettare come valida una osservazione fatta da Maloney:
«A comparison of the contest of the STURP tape with the body of Frei’s tapes show they are quite
similar» [Maloney 1990, p.4].
(Un confronto fra l’aspetto dei nastri dello STURP e quello del corpo dei nastri di Frei mostra che essi sono molto simili).
L’affermazione di Maloney, che ha studiato a lungo i nastri di Frei, deve essere accettata come valida: i granuli presenti nel ‘corpo’ di tali nastri sono tutti o quasi ricoperti da detriti, così come i granuli raccolti con nastri o aspiratori da altri ricercatori.
L’unico tentativo attendibile di identificazione dei pollini incrostati e deteriorati, risulta quello messo in atto da Lucotte su polvere prelevata da Riggi nel 1978 e 1988 e su altro materiale. Abbiamo visto il suo lavoro e i suoi risultati nel Cap.20. Qui ci limitiamo a ripetere che dal suo lavoro emerge il quadro di una flora europea e nulla si può dire riguardo all’età dei pollini ritrovati. Il dato di Lucotte è confortato dall’unica identificazione nota fatta sui pollini prelevati con i nastri adesivi da Ray Rogers, il quale avrebbe riconosciuto solamente un granulo di ‘ragweed’ (Ambrosia coronopifolia?).
In conclusione i dati attendibili noti sui pollini prelevati dalla Sindone tendono a confermare l’ipotesi più semplice di tutte: i pollini si sono depositati sulla Sindone portati dal vento, da insetti o da altri agenti inquinanti poco prima del prelievo delle polveri, che siano ore, giorni, mesi o anni prima.
24. Quanti sono i pollini sui nastri di Frei?
In un momento imprecisato (‘at one of our London microscopy meetings’) Walter McCrone chiese a Frei quanti pollini aveva trovato nei suoi nastri. La risposta di Frei fu: “Uno per centimetro” [Nickell].
Poi il 23 luglio 1988 McCrone esaminò al microscopio ottico 26 nastri di Frei del 1978 e disse di aver trovato 2-3 granuli per nastro, tranne che in uno (il nastro 6Bd), in cui ve ne erano centinaia in una unica macchia:
«I have examined 58 Shroud tapes (32 STURP and 26 of Dr. Frei’s tapes taken in 1978). I saw few
pollen grains on his tapes, an average of 2-3 on all but one of Max Frei’s tapes which had several
hundred (!) pollen grains in one heavy smear. I asked Dr. Frei what concentration of pollen he had
found on the Shroud tapes and he answered “One per centimeter”. This is not too different from
my estimate of 2-3 pollen/tape since each tape measured about 5 cm2» [McCrone, p.29].
(Ho esaminato 58 nastri sindonici, 32 dello STURP e 26 di Frei presi nel 1978. Ho visto pochi granuli nei suoi nastri, una media di 2-3 per ciascuno, tranne che in uno, dove ce n’erano parecchie centinaia in una sola grossolana macchia.
Ho chiesto al dr. Frei che concentrazione di pollini aveva trovato sui nastri sindonici e lui ha risposto “Uno per centimetro”. Il che non è troppo diverso dalla mia stima di 2-3 pollini per nastro, dato che ogni nastro misurava circa 5 cm2).
Ecco la descrizione che nel 1990 fece Maloney in merito a quel 23 luglio 1988, quando i nastri di Frei furono esaminati da McCrone:
«On Saturday, July 23, 1988, a diverse group of Shroud scholars and investigators assembled in
Philadelphia … Mr. Maloney introduced the two gentlemen whose experience and expertise would
be relied upon to verify the scientific value of the slide samples: Dr. Alan Adler and Dr. Walter McCrone …
Each slide was then handed to Dr. McCrone at the microscope who focused the slides variously at
100x and 200x magnification. The group was able to observe the microscope field on two video monitors
as Dr. McCrone examined the slides … As a result of Frei’s sampling method, virtually all the pollen
are present in the first one-half inch of the sticky tapes that have been examined. Also the numbers
of pollen found thus varies greatly from one area of the cloth to another» [Maloney 1989, p,4].
(Sabato 23 luglio 1988 un numeroso gruppo di studiosi e ricercatori si riunì a Philadelphia … Maloney introdusse due signori sulla cui esperienza e perizia si faceva affidamento per verificare il valore scientifico dei vetrini: il dr. Alan Adler e il dr. Walter McCrone … Quindi ogni vetrino veniva passato al dr. McCrone al microscopio, il quale metteva a fuoco i vetrini alternativamente a 100 e 200 ingrandimenti. Il gruppo poteva osservare il campo del microscopio su due monitor, via via che il dr. McCrone esaminava i vetrini … Come risultato del sistema di campionatura di Frei, praticamente tutto il polline era presente nel primo mezzo pollice [1,25 cm] del nastro adesivo esaminato. Inoltre la quantità di polline così trovato, variava fortemente da un’area all’altra).
Nel 1998, quando 24 nastri furono esaminati da Uri Baruch, si ebbero i seguenti conteggi di granuli: 5, 9, 5, 1, 7, 6, 20, 7, 7, 4, 107, 2, 3, 10, 11, 17, 13, 2, 2, 3, 15, 1, 11, 23; per un totale di 291 granuli e con una media di 12-13 granuli per nastro (8 granuli per nastro se non si conta il nastro anomalo con 107 granuli) [Danin 1999, p.14]. Ora il conteggio di Baruch e quello dichiarato da Frei e riportato da McCrone coincidono a sufficienza, se non si conta il nastro anomalo, mentre il conteggio di McCrone risulterebbe troppo basso, differenza spiegabile forse col fatto che McCrone esaminò i nastri in modo veloce: tutti e 26 in mezza giornata e quindi ha dato risultati meno attendibili.
Anche Paul Maloney ha attuato il conteggio dei pollini su alcuni nastri di Frei, ottenendo i seguenti risultati per tre di essi: 80, 160, 275 [Maloney 1990]. Altra grossa differenza tra la descrizione di McCrone e le osservazioni di Maloney è che quest’ultimo afferma che in generale sui nastri di Frei i pollini sono in maggior numero nel breve tratto iniziale del nastro (che lui chiama ‘lead’) dove Frei avrebbe esercitato col pollice una pressione maggiore che sul resto nel nastro; mentre McCrone rileva questa anomalia solamente per un nastro.
La differenza potrebbe spiegarsi col fatto che McCrone avrebbe omesso di esaminare la parte ‘lead’ dei nastri (‘McCrone did not examine the leads during his marathon inspection’) [Nickell].
Che conclusioni se ne possono trarre? Maloney, ora in pensione, è stato insegnante di Archeologia, Greco e Nuovo Testamento in un college della Iowa (Professor of Archaeology, Greek and Old Testament at Vennard College [Iowa]) e in un college della Pennsylvania (United Wesleyan College ad Allentown).
Finché non pubblicherà qualche lavoro che specifichi meglio il suo studio sui pollini di Frei, queste sue affermazioni rimangono un po’ sospese in aria, come in attesa di giudizio.
A livello di pura ipotesi si può ricordare che altri studiosi, quali Morano e Lucotte, hanno dichiarato di non essere in grado, per la maggior parte dei granuli, di distinguere se si trattava di pollini o altro. È stato Maloney in grado di fare ciò che altri non hanno fatto? Forse egli, a ragione o a torto, ha interpretato come pollini dei granuli che altri non erano stati in grado di determinare e questa può essere la ragione delle divergenze nei conteggi.
25. Sospetta concentrazione di pollini nel tratto iniziale dei nastri di Frei
Possiamo essere sicuri di un fatto importante relativo al numero e alla distribuzione dei pollini sui nastri del 1978. Se Frei avesse visto uno o più punti in qualcuno dei suoi nastri in cui vi era una elevatissima concentrazione di pollini (100 o più invece che 1 per cm) sicuramente non avrebbe mai potuto dire che la distribuzione dei pollini sulla Sindone era omogenea e per di più affannarsi a dare una spiegazione razionale di questa omogeneità. Dallo studio della frequenza dei pollini sindonici era attesa non una distribuzione omogea, ma una maggiore concentrazione ai lati del volto, in quanto secondo la teoria di Ian Wilson, che identificava la Sindone di Torino con il Mandylion di Edessa, il telo sindonico era stato tenuto per secoli ripiegato, lasciando esposta soltanto la zona del volto. Teniamo presente che il nastro con la concentrazione in un punto di un centinaio di pollini (oppure centinaia) è il nastro etichettato 6Bd, cioè proprio il nastro che nel 1978 è stato applicato da Frei sul tessuto a lato del volto sindonico.
Dobbiamo concludere che quella macchia con un centinaio di pollini (oppure centinaia) non esisteva quando i nastri erano in mano a Frei, a meno che non si voglia sostenere che Frei ha mentito sui suoi nastri allo scopo sminuirne il valore e avrebbe falsamente negato un fatto che poteva giovare alle sue tesi.
Viene inevitabile l’amara conclusione che dopo la morte di Frei almeno un nastro sia stato manomesso.
Un sospetto di manomissione cominciò a serpeggiare fin dal 1988, quando McCrone esaminò i nastri. Nickell ne parla apertamente nel suo articolo del 1994 [Nickell]. Per questo motivo qualcuno dei Sindonisti si è ingegnato a dimostrare che i nastri non potevano essere stati alterati, affermando che essi nel 1978 erano stati da Frei ripiegati su se stessi proprio al momento del prelievo; pertanto, dato che sono ancora integri, ogni sospetto di manomissione doveva essere per forza di cose rigettato [Wilson 2000, pp.87-8].
In realtà i nastri di Frei del 1978 non sono stati ripiegati su se stessi, ma sono stati applicati e ripiegati intorno a un vetrino da laboratorio. Abbiamo una conferma su questo punto da una email che Paul Maloney ha indirizzato a Gian Marco Rinaldi nel 2009. La constatazione che quasi tutti i pollini nei preparati di Frei (o almeno in uno dei suoi nastri) si ritrovano proprio sotto il mezzo pollice iniziale del nastro adesivo ha turbato per un certo periodo i Sindonisti. Fino a che non è stata immaginata una possibile spiegazione: il primo centimetro di ogni nastro è stato chiamato ‘lead’, cioè ‘guida’ e si è detto che su di esso ha agito una particolare pressione del pollice di Frei, facendo in modo che proprio in quel punto il nastro adesivo raccogliesse una maggior quantità di materiali, che nella mente dei Sindonisti non potevano essere che pollini in gran quantità.
Sia Frei che i presenti ai prelievi del 1973 e del 1978 hanno parlato di una leggera pressione esercitata sui nastri applicati alla Sindone, ma naturalmente questa pressione non era misurata o misurabile e chiunque può fare tutte le affermazioni che vuole a proposito di un fatto passato e non controllato.
Ecco come Maloney espresse una teoria che spiegava le differenze dei risultati ottenuti nei prelievi di
polline dai vari ricercatori:
«It will also be useful here to make a brief comparison of the three methods of sample removal: Dr.
Frei’s, STURPS’s and the vacuum method used by Dr. Giovanni Riggi. We have already noted above
that Dr. Frei pressed on the tape with finger or thumb before removing the sample. The plasticity of the
tape allowed it to pick up the pollen the valleys between the crowns of the threads. Early on it was a
puzzle that STURP was only able to obtain on single pollen grain in 34 tape samples and Frei was
finding a lot of pollen. The STURP method limited the pounds per square inch to about 60 and thus
only removed material from the crowns of the threads. There clearly was stratification of the debris
on the Shroud. STURP’s single pollen as been identified as ragweed which grows in profusion around
Turin. A comparison of the contest of the STURP tape with the body of Frei’s tapes show they are quite
similar.
But more puzzling still are the findings of Dr. Riggi who vacuumed his samples from the backside
of the Shroud – i.e. the side which does not bear the image. He has related that he found pollen
grains with a mineral coating. During my discussion with Dr. Riggi he looked at the photoinventory
of the pollen on tape “4Bd” and noted that possibly only one of the more than 160 grains on that
tape was actually mineral coated! He informed me that fully 50% of all his pollen samples were
mineral coated. He must resolve the question: “Why are nearly all of the mineral coated grains on
the backside of the Shroud with few if any on the front”» [Maloney 1990, p.4].
(Inoltre sarà utile a questo punto fare un breve paragone dei tre metodi di prelievo dei campioni: quello del dr. Frei, quello dello STURP e il metodo del vuoto usato dal dr. Riggi. Abbiamo già notato sopra che il dr. Frei premeva sul nastro con un dito o col pollice prima di rimuovere il campione. La plasticità del nastro permetteva di portar via il polline dalle insenature fra le sommità dei fili. Prima era un dilemma il perché lo STURP era stato in grado di ottenere soltanto un singolo granello di polline in 34 nastri mentre Frei trovava un sacco di pollini. Il metodo dello STURP limitava la pressione a circa 60 libbre per pollice quadrato e così rimuoveva soltanto il materiale dalle sommità dei fili. Chiaramente vi era una stratificazione dei detriti sulla Sindone. Il singolo polline dello STURP è stato identificato come una pianta delle Ambrosiaceae (ragweed), che crescono in abbondanza attorno a Torino.
Ancora più difficili da spiegare sono i reperti del dr. Riggi, che aspirò sotto vuoto i suoi campioni dal retro della Sindone, cioè dal lato su cui non vi è l’immagine. Egli ha riportato di aver trovato granuli di polline con un rivestimento minerale. Nel corso di una discussione col dr. Riggi, egli guardò l’inventario fotografico del polline sul nastro “4Bd” e notò che forse solo uno dei 160 granuli presenti nel nastro aveva effettivamente un rivestimento minerale! Quindi dobbiamo risolvere la seguente questione: “Perché quasi tutti i granuli sul retro della Sindone hanno un rivestimento minerale, mentre sul lato frontale pochi ce l’hanno”).
Un paio di punti sostanziali, alla base della ipotesi di Maloney, vanno però corretti; secondo Riggi la percentuale dei pollini con incrostatazioni rispetto a quelli dall’apparenza fresca non era del 50%, come aveva capito Maloney, ma quasi del 100 %; e non solo i granuli presi sul retro, ma anche quelli presi da Rogers sulla superficie frontale erano tutti o quasi incrostati:
«Infatti quasi tutti i pollini trovati sui nastri adesivi in America e quelli del grandissimo numero da me ritrovati
nelle polveri, non consentono riconoscimento alcuno perché ricoperti di incrostazioni che ne mascherano
l’aspetto e le forme caratteristiche» [Riggi 1982, p.206].
Il problema quindi si pone in termini diversi: prelievi ottenuti con nastri adesivi danno pochi pollini e quasi tutti incrostati e irriconoscibili; prelievi ottenuti con aspiratore danno molti pollini e quasi tutti incrostati e irriconoscibili. Questa differenza di quantità è spiegabile con la constatazione che tramite aspiratore si ottengono maggiori quantità di polline dai tessuti, anche dalle profondità del tessuto. Sembra anche che fra recto e verso della Sindone non ci siano differenze significative come qualità dei pollini prelevati. In sostanza si può accettare per valida l’osservazione di Maloney, riportata poco sopra, che i nastri di Rogers appaiono analoghi al ‘corpo’ dei nastri di Frei:
«A comparison of the contest of the STURP tape with the body of Frei’s tapes show they are quite
similar» [Maloney 1990, p.4].
(Un confronto fra l’aspetto dei nastri dello STURP e quello del corpo dei nastri di Frei mostra che essi sono molto simili).
L’unica eccezione che non rientra in questo quadro è costituita da quei millimetri iniziali (lied) di uno (o più) dei nastri di Frei, che sono ricchi di pollini all’apparenza freschi, a volte anche in numero di qualche centinaio su un solo vetrino. Come va interpretata questa discrasia? Non certo con l’affermazione che Frei abbia premuto di più su quel punto, perché con l’aspirazione tramite pompa a vuoto, lo ripetiamo ancora una volta, secondo il parere degli esperti già citati [Scannerini, Mariotti Lippi, Montero Ortego] si ottiene un numero maggiore di granuli, anche provenienti dalle profondità del tessuto. Rimane il dubbio che qualcuno abbia manomesso i nastri in un momento successivo alla morte di Frei.
26. È compatibile un’accusa di superficialità e scorrettezza con la grande fama di Frei?
A questo punto dobbiamo domandarci se è lecito lanciare un’accusa di superficialità o magari di scorrettezza nei confronti di uno studioso di fama come Max Frei. Egli è stato fondatore e direttore del laboratorio di polizia scientifica di Zurigo, perito di tribunale in Svizzera, Germania, Italia, presidente della commissione ONU di indagine sulla morte di Dag Hammarskjöld, docente universitario di criminologia a Zurigo e in Germania, fondatore e responsabile di una rivista di criminologia, autore di lavori botanici a lungo utilizzati come testi di studio nelle università svizzere.
Tutto ciò in realtà non può costituire una prova della validità dei suoi studi sui pollini sindonici. L’ipse dixit viene rifiutato a livello scientifico ormai da secoli: i lavori scientifici devono essere valutati per il loro valore intrinseco, non in base alla reputazione di chi li ha redatti.
Comunque la carriera di Max Frei non è sempre stata così cristallina come i Sindonisti vorrebbero farci credere: Frei ha alcune macchie significative nel suo curriculum a prescindere dal caso dei pollini sindonici.
Si tratta soprattutto del cosiddetto ‘caso Gross’, che vale la pena di raccontare in quanto poco noto in Italia.
La mattina del 24 maggio 1958, fra le rovine del castello di Baden, nel cantone dell’Argovia, in Svizzera, fu trovato gravemente ferito e in coma un certo Christian Bätscher, un ubriacone, che poi morì senza più riprendere conoscenza. Testimoni dissero che la sera prima era stato visto in compagnia di un uomo con la giacca rossastra. Il 26 maggio fu perciò arrestato Walter Gross, uno sbandato di 45 anni, proprietario appunto di una giacca di quel colore. Gross ammise senza difficoltà che quella sera aveva trovato il Bätscher, ubriaco, ferito per una caduta dalla bicicletta, non più in grado di camminare, e l’aveva accompagnato
alla panchina presso le rovine del castello, dove altre volte lo aveva visto trascorrere la notte. Aggiunse di aver notato nei pressi due italiani sospetti e altre persone. Fu decisa una perizia sull’arma del delitto, identificata in un pezzo di legno, e sugli indumenti di Gross. Max Frei fu incaricato della perizia. Egli trovò nei pantaloni di Gross delle fibre che identificò con altre prelevate sul pezzo di legno arma del delitto; dichiarò che le fibre provavano che gli abiti di Gross erano stati in contatto con l’arma del delitto. Inoltre sulle scarpe di Gross fu evidenziata una macchia di sangue. Alla fine del processo, il 21 settembre 1959, la giuria popolare, sulla base della perizia di Frei, condannò all’ergastolo Walter Gross per omicidio a scopo di rapina.
Un anno dopo un avvocato della difesa riuscì a ottenere una dichiarazione da parte dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Berna riguardante la perizia di Frei, che avanzava dubbi sulla conclusività delle prove in essa contenute. Così la difesa presentò una richiesta di revisione del processo e infine la ottenne.
Nel corso del nuovo processo, iniziato nel luglio 1971, il Dipartimento Penale dell’Alta Corte dell’Argovia e la corte composta da giurati nominarono tre nuovi periti, per riesaminare la perizia di Frei e tutte le prove. I risultati della nuova perizia furono clamorosi: non era stata prodotta una prova, scientificamente certa, che quel pezzo di legno costituisse l’arma del delitto. Due dei tre periti aggiunsero che secondo loro non esisteva un test scientifico che con certezza potesse stabilire la provenienza dallo stesso pezzo di tessuto di fibre diverse comparate l’una con l’altra e per di più le fibre non erano state identificate sulla base dei test scientifici più recenti e più validi. Infine dissero che “fibre artificiali commercializzate”, come quelle descritte da Frei, non si trovavano affatto sui pantaloni di Gross e in realtà non esistevano sul mercato. Da sottolineare in proposito che i preparati di Frei con le fibre in questione, nel frattempo, erano misteriosamente spariti. Inoltre la prova della traccia di sangue non resse a un esame critico: la giacca indossata da Gross la notte del delitto non mostrava tracce di sangue; invece, secondo i due periti, questa giacca avrebbe dovuto essere cosparsa dappertutto di schizzi di sangue, se fosse stata realmente indossata dall’aggressore.
Infine fu contestata la modalità di conduzione degli esami: basandosi sul fatto che esisteva un imputato, tutti gli esami e la raccolta delle prove si concentrarono solo su di lui. Altre tracce non furono preservate e non furono fatti confronti con i vestiti di altre persone dell’ambiente della vittima. Nonostante il disastroso risultato della nuova perizia, Frei ribadì le sue opinioni e confessò semplicemente di essere andato troppo oltre nelle conclusioni. Alla domanda perché egli avesse accettato la colpevolezza di Gross come unica possibilità, Frei rispose: «Non potevamo escludere Gross come colpevole; da ciò noi abbiamo tratto la conclusione conseguente (Retourschluß): ‘Se non possiamo escluderlo allora è lui’».
Nel dibattimento si sottolineò anche che era stato trascurato un fatto importante: Gross avrebbe ucciso allo scopo di rubare il portafoglio, ma il 5 ottobre 1958 il portafoglio della vittima fu ritrovato sulla scalinata della chiesa di St. Nicholas in un posto ben in vista e Gross era in carcere fin dal 26 maggio 1958.
Il nuovo processo si concluse a Wettingen nel novembre 1971: Gross fu assolto e liberato dopo 12 anni di carcere, fra gli applausi del pubblico. Infine egli ricevette 130.000 franchi come risarcimento e il suo difensore una parcella di 7360,60 franchi.
La combinazione tra i rapporti falsi e le proteste pubbliche convinse il governo di Zurigo a istituire una commissione indipendente per verificare le attività svolte da Frei. Tale commissione giunse alla seguente conclusione: «Il dr. Frei-Sulzer è stato poco critico nel valutare i risultati dei suoi esami e nelle conclusioni si è spinto anche più in là. La perizia potrebbe dare l’impressione che qualcuno dovesse essere dichiarato colpevole del fatto a tutti i costi». Nel rispondere alla domanda se Frei fosse giunto alle sue conclusioni affrettatamente, la commissione aggiunse: «La commissione considera i casi di conclusioni avventate o troppo in là così numerosi e gravi, che non possono essere dovuti solamente al caso».
Frei però prevenne le conclusioni della commissione e nel 1972 si dimise dalla polizia [Lüscher & Bosonnet; Mauz]. Il clamore suscitato dal ‘caso Gross’ non si è ancora del tutto sopito in Svizzera: il 9 settembre 2009, a un’asta online di eBay, una ‘giacca di Walter Gross’ è stata venduta per 14,99 Euro.
Riguardo alle altre attività svolte da Frei, è stato sottolineato dalla commissione d’inchiesta che l’attività di perito svolta in forma privata da Frei un paio di volte avrebbe potuto mettere in imbarazzo lo stato svizzero: la perizia assegnata a Frei nel 1961 sulle cause della caduta dell’aereo del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld, non avrebbe dovuto essere da lui accettata, perché violava la neutralità della Svizzera coinvolgendola in questioni politiche riguardanti altri stati ed enti internazionali di cui la Svizzera non fa parte, anche se all’epoca la questione non fu sollevata. Avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzata dai superiori di Frei anche la perizia sui ‘suicidi’ dei componenti della RAF (Rote Armee Fraktion), che Frei svolse e concluse dichiarando scientificamente accertati i suicidi dei terroristi tedeschi.
Un caso del 1967 comportò effettivamente qualche problema per la Svizzera. Una casa editrice chiese a Frei di autenticare dei documenti, che gli fece avere tramite un certo dr. Kaul di Berlino. Alcuni di questi riguardavano il presidente della Repubblica Federale di Germania, Lübke, ed erano piante di campi concentramento dell’epoca nazista, recanti proprio la firma di Lübke. Prima che Frei potesse rispondere se accettava o no l’incarico, il capo della polizia di Zurigo intervenne, in quanto si era scoperto che il dr. Kaul era un esponente della Zona Sovietica di Berlino e un rappresentante del governo della Repubblica Democratica di Germania (DDR): lo svolgimento della perizia avrebbe violato la neutralità della Svizzera.
A Frei fu ordinato di rifiutare la perizia e di depositare presso una banca svizzera quanto fino ad allora gli era stato consegnato. La commissione d’inchiesta, che segnalò questi fatti, precisò anche che Frei non era qualificato per svolgere perizie su manoscritti [Mauz].
Nonostante il parere della commissione d’inchiesta, Frei, che negli anni ’50 aveva scritto un articolo sul riconoscimento dei manoscritti contraffatti, era comunemente ritenuto a livello internazionale un esperto nel campo. Nel 1982 egli fu uno dei tre periti che, per conto del settimanale Stern, esaminarono i 62 diari di Hitler da poco ritrovati e li dichiararono autentici. Nell’aprile 1983 la casa editrice Stern annunciò con grande clamore l’acquisto dei diari per 2,3 milioni di dollari e iniziò le pubblicazioni. Poco dopo però, il 6 maggio 1983, gli Archivi Federali della Germania stabilirono che si trattava di falsificazioni. Sia il giornalista che aveva convinto Stern ad acquistarli (Gerd Heidemann), sia il falsario (Konrad Kujau) furono arrestati,
processati e condannati a 4 anni e mezzo di carcere. [Hitler Diaries]. Frei però non vide la tragica conclusione di questa sua ultima perizia, perché morì improvvisamente il 14 gennaio 1983.
Una curiosa nota deve essere aggiunta a questa disamina sulla reputazione di Frei. Il suo grande amico Aurelio Ghio, che si proclamava il ‘portavalige’ di Frei e si vantava di aver appreso da Frei la passione per il mestiere di perito e tutti i segreti dell’arte [Ghio 1988], nel 1995 incappò in una disavventura giudiziaria, ben più grave di quelle di Frei. Ecco il racconto dei fatti.
Il 26 agosto 1984 il boss della camorra Carmine Alfieri, insieme a due suoi gregari, Ferdinando Cesarano e Gennaro Brasiello compirono un agguato a Torre Annunziata, in cui furono uccise 8 persone. A causa di un’impronta digitale lasciata da Gennaro Brasiello sul pullman che aveva trasportato i killer sul luogo dell’agguato, tutti e tre furono riconosciuti colpevoli e condannati all’ergastolo. Ma nel processo d’appello terminato il 30 gennaio 1990, il perito della difesa, Aurelio Ghio, e il perito d’ufficio del tribunale, Luigi Macchiarelli, dimostrarono che l’identificazione di quell’impronta non era corretta; così il procuratore Ciro Demma chiese e ottenne l’assoluzione di tutti gli imputati. In seguito Carmine Alfieri e molti altri camorristi divennero pentiti e raccontarono, tra l’altro, i retroscena di quel processo d’appello. Raccontarono che Aurelio Ghio era colluso con la camorra e la sua funzione era quella di corrompere i periti d’ufficio nei processi importanti. Dissero che in un primo momento era stato scelto Pier Luigi Baima Bollone come perito del tribunale. Presso di lui a Torino si recarono Aurelio Ghio e Ferdinando Cesarano, uno degli imputati, per corromperlo offrendogli una rilevante cifra, ma Baima Bollone rifiutò l’offerta e addirittura rinunciò all’incarico di perito per quel processo. Il tribunale quindi incaricò come perito d’ufficio un professore universitario di Roma, Luigi Macchiarelli. Secondo i pentiti, Aurelio Ghio ottenne la complicità di Luigi Macchiarelli e gli consegnò in pagamento 500 milioni di lire. Sempre secondo i pentiti, anche il procuratore Ciro Demma, che chiese l’assoluzione degli imputati, era sul libro paga della camorra.
Un’altra gravissima accusa fatta a Ghio dai pentiti fu quella di aver fornito più volte ai camorristi pistole, fucili e mitra. Nel gennaio 1995 Aurelio Ghio fu arrestato e messo in carcere preventivo, non saprei dire per quanto tempo. Il processo relativo si concluse solo nel giugno 2000: Ghio fu condannato a 9 anni di carcere, in quanto riconosciuto colpevole di associazione camorristica, detenzione abusiva di armi e corruzione in atti giudiziari. Non ho trovato notizie su un eventuale processo d’appello. Dato il pessimo funzionamento della giustizia in Italia, sospetto che i reati siano caduti in prescrizione e tutto sia finito nel nulla [D’Errico 1995; D’Errico 1995 (2) ; Travaglio; Camorra].
Pur non potendo addebitare a Frei ipotetiche colpe o crimini commessi da Ghio, sembra inevitabile dover sottolineare che oltre al lungo e profondo sodalizio che li ha abbinati, entrambi sono stati accomunati da sospetti e accuse di perizie affrettate o addirittura infedeli.
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APPENDICE 1
Elenco dei pollini sindonici di Frei.
Nell’elenco, presentato in ordine alfabetico, sono inseriti anche alcuni nomi usati come sinonimi da Frei e/o da altri studiosi, naturalmente essi sono senza numero progressivo e rimandano al nome usato negli elenchi di Frei.
1.Acacia albida Delille,1813
2.Alnus glutinosa (Linneo) Gaertner,1790 [sin. Betula glutinosa Vill.]
3.Althaea officinalis Linneo,1753
4.Amaranthus lividus Linneo,1753 [sin. Amaranthus lividus DC.(Moquin-Tandol in De Candolle,1849)]
5.Ambrosia coronopifolia T. e G.
Amygdalus arabica Oliv. vedi: Prunus spartioides
6.Anabasis aphylla L.
7.Anemone coronaria L.
8.Artemisia herba-alba Asso
9.Atraphaxis spinosa L.
10.Bassia muricata Asch.
11.Capparis species
12.Carduus personata (Linneo) Jacquin
13.Carpinus betulus L
14.Cedrus libani Lk. [sin. Cedrus libanotica Lk.]
15.Cistus creticus L.
16.Corylus avellana L.
17.Cupressus sempervirens L.
18.Echinops glaberrimus DC.
19.Epimedium pubigerum DC.
20.Fagonia mollis Del.
21.Fagus sylvatica L.
22.Glaucium grandiflorum B. & H.
23.Gundelia tournefortii L.
24.Haloxylon persicum BG.
25.Haplophyllum tuberculatum Juss.
26.Helianthemum vesicarium Boiss.
27.Hyoscyamus aureus L.
28.Hyoscyamus reticulatus L.
29.Ixiolirion montanum Herb. [sin. Ixolirium montanum Herb.]
30.Juniperus oxycedrus L.
31.Laurus nobilis L.
32.Linum mucronatum Bert.
Lomelosia prolifera (L.) v. Scabiosa prolifera
33.Lythrum salicaria L.
34.Oligomeris subulata (Del.) Boiss.
35.Onosma orientalis L. (sin. Onosma syriacum Labill.)
36.Oryza sativa L.
37.Paliurus spina-christi Mill.
38.Peganum harmala L.
39.Phyllirea angustifolia (Linneo,1753)
40.Pinus halepensis L.
41.Pistacia lentiscus L.
42.Pistacia vera L.
43.Platanus orientalis L.
44.Poterium spinosum L. [sin. Sarcopterium spinosum (Linneo)]
45.Prosopis farcta Macbr. [Prosopis farcta (Banks & Solander ex Russell) J.F.Macbride. Sinonimi: Prosopis stephaniana (Bieb.) Kunth ex Sprengel; Mimosa farcta]
46.Prunus spartioides Spach. [sin. Amygdalus arabica]
47.Pteranthus dichotomus Forsk.
48.Reamuria hirtella Joub. et Sp.
49.Ricinus communis L.
50.Ridolfia segetum Moris
51.Roemeria hybrida (L.) DC.
52.Scabiosa prolifera (L.) Greuter & Burdet [sin. Lomelosa prolifera]
53.Scirpus triquetrus L.
54.Secale species [Secondo Ghio 1986,tav.35, la specie di secale ritrovata da Frei sulla Sindone sarebbe Secale montanum]
55.Silene conoidea L.
56.Suaeda aegyptiaca Zoh.
57.Tamarix nilotica Bunge
58.Taxus baccata Yew. L.
59.Zygophyllum dumosum Boiss.
60.Polline molto bello, non classificato
Foto tratta da un articolo di Schafersmann pubblicato in rete [Schafersmann].
Wilson, che è sempre molto attento nelle sue citazioni delle fonti, questa volta ha omesso di spiegare chi aveva visto le ‘tiny incisions’ sui nastri di Frei del 1978. Forse si è confuso sulla testimonianza di Maloney, che riferiva della tecnica di Frei applicata sul materiale del 1973, ritenendola erroneamente applicata anche al materiale del 1978.
A questo punto è il caso di richiamare alla mente il limite che, per forza di cose, ci siamo imposti all’inizio di questo studio: non è possibile per l’Autore accedere al materiale tratto dalla Sindone. Infatti basterebbela semplice osservazione dei nastri di Frei per chiarire se ci sono o no dei piccoli tagli triangolari su qualcuno di essi. Come ciò non è possibile per l’Autore, altrettanto impossibile lo è stato per Wilson, che, a quanto egli stesso racconta, ha potuto osservare uno solo di tali nastri, mentre noi ne possiamo osservare quattro nella foto di Fig.17.
L’Autore inoltre è confortato nelle proprie affermazioni, oltre che da tutti gli indizi esposti sopra, dal parere espresso in proposito in una email indirizzata a Gian Marco Rinaldi da Paul Maloney, che in data 2 dicembre 2008 così scriveva:
«Dr. Frei’s published work is premised solely and entirely on the 12 sticky tape samples he took in 1973 –
the 1978 samples never play a role in his further published researches – not a single pollen grain was
ever removed from any of the 1978 tapes».
(Le pubblicazioni di Frei sono basate unicamente e interamente sui 12 nastri adesivi presi nel 1973. I campioni del 1978 non hanno avuto alcun ruolo nelle sue successive pubblicazioni. Neanche un granulo è stato mai rimosso da alcuno dei nastri del 1978.)
17. Sconfessione dei risultati di Frei
Steven Schafersman fu il primo a lanciare un’accusa di frode scientifica nei confronti di Frei nel 1982. Ecco come egli riferì le sue impressioni sui risultati di Frei, dopo aver visto il documentario ‘Witness of the Shroud’:
«I first suspected that Max Frei’s data were faked when I saw the movie “Witness of the Shroud” on
television. One segment showed Frei addressing the assembled shroud devotes with huge projections
of SEM photomicrographs of his pollen. In the dozen of illustrations, each species was represented by
four or five perfectly preserved specimens; the pollen looked fresh-as-new. In the four published SEM
photo micrographs, each illustration shows four or five pollen grains piled up, with perhaps more
underneath. What a treasure trove! Frei had been lucky enough to discover hundreds of perfectly-
preserved pollen grains on the Shroud, a number of each species» [McCrone, p.306].
(Ho sospettato per la prima volta che i dati di Frei fossero falsi quando ho visto alla televisione il documentario “Il testimone della Sindone”. Uno spezzone mostrava Frei che si rivolgeva ai devoti della Sindone riuniti con lunghissime proiezioni di microfotografie dei suoi pollini al SEM. Nelle dozzine di illustrazioni ciascuna specie era rappresentata da quattro o cinque esemplari perfettamente conservati; i pollini sembravano freschi come nuovi. Nelle quattro foto al SEM pubblicate a stampa, ciascuna illustrazione mostra quattro o cinque granuli di polline ravvicinati, con forse altri ancora al di sotto. Che fantastico ritrovamento! Frei era stato fortunato abbastanza da scoprire sulla Sindone centinaia di granuli pollinici perfettamente conservati, e molti per ciascuna specie).
Un altro che si è scagliato contro i lavori di Frei è stato frate Bruno Bonnet-Eymard, l’irriducibile sindonista che, come abbiamo già visto, aveva esultato nel 1978 per i clamorosi annunci di Frei (Cap.12).
Dopo due lunghe colonne della sua rivista in cui il frate francese si accaniva a sottolineare l’inconsistenza dei risultati di Frei sui pollini sindonici, correggendo e rimagiandosi quanto aveva scritto lui stesso cinque anni prima, l’Autore proseguiva:
«Mais alors, les magnifiques photos des quarante-huit pollens trouvés sur le Saint-Suaire, qui firent
au Congrès de Turin la gloire de Frei, que j’ai moi-même publiée avec son aimable autorisation (et
moyennant finance)? Ce sont les photos des pollens de reference, voyons! Tout propres, tout neufs,
comme au premier jour de la creation …» [Bonnet-Eymard 1984, p.84].
(E allora le magnifiche foto dei 48 pollini trovati sulla Santa Sindone, che al Congresso di Torino fecero la gloria di Frei, che io stesso ho pubblicato con la sua graziosa autorizzazione (dopo aver pagato)? Ecco, sono le foto dei pollini di riferimento. Tutti perfetti, tutti nuovi come il primo giorno della creazione …).
Ci colpisce, in mezzo alla sarcastica e veemente filippica contro Frei, quell’inciso ‘et moyennant finance’.
È questa la più velenosa delle critiche, in quanto sottintendeva che uno degli scopi di Frei fosse il vantaggio economico.
Anche Giovanni Riggi nel 1988, dopo una brevissima analisi dei risultati raggiunti da altri e da lui stesso, concludeva così:
«Credo di poter definire la storia dei pollini come una esaltazione del mezzo moderno per fornire false,
incomplete e non determinanti notizie al fine di forzare un risultato piuttosto che un altro»
[Riggi 1988, p.141].
Dobbiamo, con energia, sottolineare il termine usato da Riggi ‘false notizie’, che se non è una palese accusa di falsificazione nei confronti di Frei, poco ci manca.
Sia Bruno Bonnet-Eymard sia Giovanni Riggi non erano palinologi professionisti. Passiamo quindi a esaminare il parere di qualche palinologo professionista che si è occupato di sottoporre a una revisione critica i lavori di Frei. I palinologi che hanno esaminato semplicemente la lista dei nomi di piante messa a punto da Frei non hanno potuto fare altro che confermare che quel gruppo di piante richiamava un ambiente palestinese. Quando Maloney sottopose l’elenco dei pollini di Frei al dr. Aharon Horowitz, questi dovette confermare che:
«The spectrum on the Shroud as represented in Dr. Frei’s work matches that of Israel not North Africa»
[Maloney 1990, p.3].
(Lo spettro della sindone, come presentato nel lavoro di Frei, corrisponde a quello di Israele e non del Nord Africa).
Ben diversa è stata la valutazione effettuata da Silvano Scannerini, professore di botanica all’Università di Torino, direttore del Centro di Microscopia Elettronica, membro della Commissione per la Conservazione della Sindone e del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, deceduto nel 2005, figura molto apprezzata da tutti i Sindonisti, tanto da essere nominato presidente del congresso internazionale di Sindonologia tenutosi a Torino il 2-5 marzo 2000. Egli nel 1989 e poi nel 2000 fece una valutazione estremamente negativa sull’attendibilità dei dati contenuti nei lavori di Frei. Ecco come si esprimeva in proposito:
«Dalla documentazione ritrovata (altra ne sarebbe ovviamente benvenuta) non c’è prova che siano stati
rispettati gli obblighi metodologici della palinologia che nella fattispecie sono schematizzabili in:
1.Evitare gli inquinamenti secondari del reperto e/o discriminarli dallo spettro pollinico originario.
2.Estrarre con metodi appropriati tutti i residui vegetali e i granuli pollinici presenti nel tessuto.
3.Sottoporre le polveri prelevate ad analisi microscopica quali-quantitativa secondo le regole delle schede
polliniche onde stabilire la pianta di provenienza dei singoli pollini e quantizzare la loro presenza percentuale
sul supporto.
4.Confrontare lo spettro pollinico così ottenuto e i dati sui residui vegetali con gli spettri archeopalinologici
delle zone floristiche vegetazionali dei territori indiziati per la presenza della Sindone …»
[Scannerini 1996, p.86].
E finiva per concludere:
«Alla luce di quanto abbiamo rilevato, le attuali conoscenze sui pollini della Sindone non possono
(per la loro nebulosità metodologica e la mancanza di documentazione convalidabile secondo la
prassi della palinologia) essere considerate definitive circa il viaggio da Gerusalemme a Edessa
quindi a Costantinopoli e infine in Europa» [Scannerini 1996, p.87].
Difficilmente Scannerini avrebbe potuto essere più esplicito di così nel negare qualsiasi validità ai lavori di Frei. Purtroppo però lo stesso Scannerini non è stato altrettanto chiaro in altri suoi lavori; per esempio nel 1997, un anno dopo la stesura dell’articolo precedente, affermava:
«I risultati di Frei documentano quindi che la Sindone ha realmente soggiornato in Palestina, Anatolia e …
in Savoia e in Piemonte» [Scannerini 1997, p.50].
Anche se poi nelle pagine successive si metteva in risalto come i dati di Frei fossero tutt’altro che sicuri, questo lavoro di Scannerini ha continuato a essere citato a conferma dell’esattezza della ‘prova scientifica’ dei pollini.
18. Il caso del polline americano
Il giorno 8 ottobre 1978, durante la riunione degli scienziati italiani e americani dello STURP, Frei attuò per la seconda volta l’operazione di raccolta di polvere dalla Sindone con del nastro adesivo. In quel momento gli scienziati americani inorridirono alla vista di Frei, che metteva una mano in tasca, tirava
fuori un rotolo di nastro adesivo trasparente di tipo economico e si apprestava a mani nude a pressarlo sulla Sindone, svolgendolo da un comunissimo dispenser di plastica rossa. Tentarono di convincerlo, senza riuscirci, a usare del nastro adesivo speciale che loro si erano portati dietro appositamente dall’America. Lo convinsero soltanto, o meglio lo costrinsero, a indossare dei guanti di cotone, anche questi appositamente portati dall’America, per non contaminare il telo con quanto poteva trovarsi sulle sue mani.
Così, in una famosissima foto, vediamo Frei, con guanti bianchi di cotone, compiere la sua operazione apparentemente banale, sorvegliato da un corrucciato scienziato americano, Ray Rogers. I testimoni alla scena ci assicurano che gli americani erano veramente contrariati nel vedere Frei lavorare in modo così poco scientifico, secondo loro, disprezzando così clamorosamente i loro costosi, sofisticati, ingombranti e pesanti mezzi e macchinari americani. Ma anche Frei era contrariato per le pretese e le proteste degli americani e decise di vendicarsi al momento opportuno.
Infatti, analizzando i pollini prelevati con i nastri del 1978, egli scoprì anche un granulo di una pianta tipicamente americana, molto diffusa e nota - con il nome di ragweed - per la sua elevata capacità di provocare reazioni allergiche. Presentando i risultati delle sue nuove ricerche al Convegno tenutosi a Bologna il 27-29 novembre 1981, così Frei riferì di questo ritrovamento:
«Non considero l’Ambrosia coronopifolia T. e G. ritrovata in un nastro collante. Si tratta di una pianta
americana che negli Stati Uniti produce gravi allergie: il polline di questa pianta (Ragweed in americano)
probabilmente aderiva ai guanti di cotone, che i periti americani mi avevano pregato di portare per
«proteggere» la Sindone contro eventuali contaminazioni causate dalle mie ricerche. Ma essi stessi
non avevano controllato lo stato di purezza dei guanti!» [Frei 1983, p.281].
La velenosa frecciata di Frei agli americani dello STURP sembra che non abbia avuto, sul momento, nessun seguito. Frei era una celebrità intoccabile nell’Olimpo della Sindone, addirittura era il presidente del Convegno di Bologna 1981 e di lì a poco sarebbe morto. Così nessuno gli rispose.
Possibile che gli americani dello STURP abbiano veramente fornito a Frei nel 1978 dei guanti contaminati? Naturalmente tutto è possibile, ma le cose non stanno necessariamente così.
La Ambrosia coronopifolia - non occorre essere un botanico per accedere a questa informazione - è un fiore tipicamente nordamericano; questa e altre specie simili “si sono naturalizzate in varie località italiane, specialmente alla periferia delle città e nei gerbidii” [Botanica, p.601]. Eppure per dar conto di un ritrovamento spiegabilissimo, il palinologo Frei ha preferito una spiegazione che gli consentiva di dare sfogo al suo rancore. O Frei era veramente uno sprovveduto in botanica, oppure dobbiamo pensare che egli si sia semplicemente voluto vendicare degli americani dello STURP, beffandoli, dimostrando nel contempo che costoro non erano neanche in grado di accorgersi della beffa giocata.
19. I mancati risultati dei prelievi di altri ricercatori
Oltre Frei, altri tre studiosi nel 1978 raccolsero materiale che speravano contenesse pollini. Riggi aveva messo a punto un aspiratore collegato con un filtro ad acqua. Il giorno 2 ottobre 1978, mentre era ancora in corso l’ostensione della Sindone in duomo, egli si recò al Palazzo Reale per compiere prelievi di polvere dalla teca-contenitore della Sindone e dagli oggetti in essa racchiusi. Riggi ci lascia alcune osservazioni sull’interno di questo contenitore:
«Sul fondo, specialmente negli angoli, polveri e particelle di dimensioni visibili abbondavano per ogni dove,
pronte ad essere raccolte dai nostri strumenti» [Riggi 1982, p.82].
In quella occasione, oltre ai prelievi effettuati da Riggi con aspiratore [Riggi 1982, pp.88-94], Baima Bollone procedette al prelievo di polveri tramite pezzi di nastro adesivo (strips) applicati alle superfici interne della teca, usando un rotolo acquistato poco prima in una tabaccheria di Torino, come da accordi intercorsi con Frei:
«Alle ore 9 del 2 ottobre raccolsi materiali e collaboratori … giunse il Prof. Baima che doveva trasportarci
con la sua vettura … Una breve fermata presso un tabaccaio del centro consentì al prof. Baima di
approvvigionarsi del nastro adesivo per i prelievi secondo la tecnica degli Strips che dovevano essere
compiuti per il Prof. Frei» [Riggi 1982, p.75].
«Per volontà del Prof. Baima Bollone e su espresso desiderio del Prof. Frei furono compiuti quindi
prelievi secondo la tecnica descritta …» [Riggi 1982, p.86].
La notte fra l’8 e il 9 ottobre 1978, dopo che Frei ebbe eseguito i suoi prelievi, Riggi mise mano al suo aspiratore e prelevò campioni dal retro della Sindone, nella intercapedine aperta tra il tessuto sindonico e la tela d’Olanda di supporto [Riggi 1982, pp.151-163].
Fu poi la volta di Ray Rogers:
«In due tempi compì prelievi di polveri superficiali sul Recto della S. Sindone a mezzo di nastro adesivo
applicato accortamente mediante uno strumento che regolava la pressione del nastro sulla stoffa …
Nessuna modificazione dei valori di fluorescenza fu rilevato a causa dei 22 prelievi che furono effettuati»
[Riggi 1982, pp.181-182].
Data la massima esaltazione raggiunta nel 1978 con la presentazione dei risultati di Frei relativi ai prelievi del 1973, tutti erano convinti che gli abbondanti prelievi del 1978 avrebbero confermato e aggiunto nuove prove alla teoria dell’autenticità della Sindone di Torino. Con questa premessa è possibile immaginarsi la delusione e la rabbia dei ricercatori constatando di aver ottenuto risultati ben diversi da quelli di Frei e assolutamente inutilizzabili. Così si esprime Riggi nel 1982:
«Anche la strada offerta dal riconoscimento dei pollini fu presto abbandonata perché offrì il fianco a
numerosissime critiche all’interno del gruppo. Infatti quasi tutti i pollini trovati sui nastri adesivi in
America [prelievi di Ray Rogers] e quelli del grandissimo numero da me ritrovati nelle polveri, non
consentono riconoscimento alcuno perché ricoperti da incrostazioni che ne mascherano l’aspetto e le
forme caratteristiche. Per poter scoprire il volto nascosto di ciascuno di essi, inserito in un nugolo di altri
granelli minerali e biologici, era ed è necessario intaccare chimicamente la crosticina di ricopertura che al
contatto di acidi si scioglie insieme a tutto il contorno di altri reperti e alle informazioni in essi contenute.
Inoltre sembra incerta la possibilità di mantenere indenne l’aspetto della superficie caratteristica del polline
in conseguenza del brutale trattamento e di conseguenza è possibile errare nella determinazione della
specie della pianta originaria» [Riggi 1982, p.206].
La conclusione cui giunse Riggi dopo chissà quanti mesi di faticoso lavoro, comporta un’implicita sconfessione totale dei risultati di Frei: i pollini trovati sulla Sindone di Torino non sono identificabili a livello di specie, che è proprio l’esatto contrario di quanto sostenuto da Frei. Meraviglia perciò trovare nel lavoro di Riggi, qualche pagina dopo le frasi prima riportate, un breve riassunto del lavoro di Frei presentato nel 1981, senza nessuna nota critica:
«Il prof. Max Frei che compì rapidi prelievi di polveri con nastri adesivi, primo fra tutti i ricercatori nell’ormai
lontana notte del 9 ottobre, nel congresso di Bologna del 1981 annunciò la scoperta di nuovi pollini, alcuni
dei quali riferibili all’Asia Minore e affermò ancora una volta l’importanza di una indagine statistica sulla
presenza di questi microscopici elementi d’indizio» [Riggi 1982, p.212].
Max Frei nella sua relazione al convegno del 1981, pubblicata nel 1983, riferisce brevemente di aver studiato anche i nastri adevisi preparati da Baima Bollone il 2-12-78 e da Ray Rogers la notte tra l’8 e il 9 dello stesso mese, sui quali però non fa alcun commento e non fornisce nessuna specificazione:
«Nel frattempo avevo avuto occasione di studiare altro materiale e precisamente:
a) I nastri collanti prelevati in data 8 ottobre 1978 in occasione della riunione degli scienziati americani
ed italiani per lo studio della Sindone;
b) polvere prelevata in data 6 ottobre 1978 [errore per 2 ottobre] da Baima Bollone e Coll.
nella teca di conservazione della Sindone» [Frei 1983, p.281].
Frei, subito dopo, aggiunge un’osservazione sui reperti ottenuti tramite aspirazione da Riggi:
«c) fotografie al microscopio elettronico di polvere prelevata, per mezzo di aspiratore speciale, da
Riggi in data 8 ottobre 1978, in parte sul retro della Sindone nello spazio tra il lino e il supporto aggiunto
nel ‘500. Riggi mi ha gentilmente mostrato una gran parte delle sue fotografie che in verità non
contenevano pollini identificabili» [Frei 1983, p.281].
Una notizia sui risultati ottenuti dallo studio dei nastri di Baima Bollone, si trova in una lettera di Frei a monsignor Giulio Ricci, datata 1981 e pubblicata nel 1985:
«Prelievi fatti il 6.10.78 [in realtà 2-10-78] dal Prof. Baima Bollone e collaboratori all’interno della teca
di conservazione della Sindone. 6 nastri collanti che contenevano 5 varietà di pollini, una delle quali
non ancora ritrovata nelle ricerche precedenti» [Ricci 1985, p.234].
Non saprei dire dove sono conservati adesso i nastri di Baima Bollone e se siano mai stati guardati o studiati da altri.
Riguardo ai risultati ottenuti da Ray Rogers tramite il prelievo dei suoi nastri nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 1978, oltre la telegrafica nota negativa pubblicata da Riggi, come abbiamo visto sopra, una breve informativa è stata fornita da Giulio Fanti, il quale ha fatto riferimenti a notizie che gli sono pervenute a voce:
«R. ROGERS in diverse discussioni private 2003-2004 dichiarò di avere analizzato i suoi nastri adesivi,
prelevati dalla Sindone, per studiare il polline. Egli affermò però di aver trovato una quantità assai più
ridotta di quella dichiarata da altri studiosi e aggiunse che i granuli pollinici rinvenuti non erano di così facile
identificazione» [Fanti, p.493].
In effetti, secondo altre fonti in tutti i nastri prelevati da Ray Rogers fu trovato solamente un granulo di polline:
«Frei had identified … 58 different pollen types …, while STURP, also using a sticky-tape method,
was only able to pick up one single pollen grain» [Maloney 1989, p.2].
(Frei aveva identificato 58 tipi diversi di polline, mentre lo STURP, pur usando il metodo dei nastri adesivi, fu in grado di prelevare solamente un singolo granulo di polline).
«STURP’s single pollen as been identified as ragweed which grows in profusion around Turin»
[Maloney 1990, p.4].
(Il singolo polline dello STURP è stato identificato come ragweed [pianta delle Ambrosiacee], che cresce in abbondanza intorno a Torino).
Quindi sembra di notare una apparente contraddizione, riguardo ai pollini presenti sui nastri di Rogers, tra chi parla di pochi granuli incrostati e non riconoscibili e chi parla di un solo granulo trovato [ragweed].
È però possibile supporre che chi parla di un solo granulo trovato, si riferisca al solo granulo riconoscibile, mentre tutti gli altri granuli erano forse incrostati e irriconoscibili.
È stata effettuata una ulteriore ricerca, non mirata direttamente allo studio dei pollini. Si tratta di uno studio al microscopio elettronico a scansione (SEM) su un filo sindonico, presentata al convegno del1978. Così descrive i risultati il dr. Ettore Morano, autore della ricerca:
«Si osserva la presenza, oltre che di materiale inquinante di tipo francamente amorfo, di un discreto
numero di corpuscoli rotondeggianti od ovalari adesi tenacemente alla superficie delle fibre, o
semplicemente compresi tra di essi … A forte ingrandimento … tutti questi corpuscoli mostrano
avere una superficie «organizzata» o comunque di tipo biologico. La maggior parte di essi hanno
una forma rotondeggiante, un diametro medio di 4-5 micron ed una superficie che definiremmo di tipo
«echinocitario», con presenza di rilevatezze regolari intercalate a piccoli avvallamenti. Il loro numero
appare rilevante, se pensiamo alla esiguità della superficie del frammento di filo esaminato (1 mm circa). …
allo stato attuale possiamo avanzare una valida ipotesi; che si tratti cioè di materiale biologico catalogabile
nella categoria delle spore o pollini» [Morano, p.202].
Oltre il testo, Morano pubblicò una serie di microfotografie in cui si notano dei granuli, molto probabilmente pollini, con aspetto superficiale deteriorato e incrostato [Morano, pp.382-384].
Infine, in occasione dell’intervento di restauro effettuato in tutta segretezza il 2 luglio 2002, sono stati eseguiti ulteriori prelievi in dieci punti sul retro della Sindone, sia con aspiratore sia con nastri adesivi, a opera del Prof. Baima Bollone, ma non si sa se qualcuno li abbia mai studiati ai fini palinologici [Fanti, pp.461-462; Flury-Lemberg, p.128].
20. Le ricerche di Gerard Lucotte
Nel maggio 2010 è stato dato alle stampe da Gerard Lucotte un libro sulla Sindone di Torino che arricchisce lo studio dei pollini sindonici, praticamente fermo dopo la morte di Max Frei nel gennaio 1983. Il professor Lucotte, docente alla École d’Anthropologie de Paris, famoso genetista specializzato in antropologia molecolare, lo studioso a cui viene addebitata la scoperta del «chromosome juif», da molti anni studioso di Sindonologia, ultimamente si è dedicato a un nuovo campo: la palinologia sindonica. Lucotte ha letto i lavori di Frei e riporta sul suo libro le conclusioni del criminologo svizzero in maniera assolutamente acritica. Ci racconta di essersi dedicato a questo studio nel 2007, giudicandolo abbastanza semplice dopo la lettura di Frei. A esso ha dedicato due anni di lavoro,prima della stesura del libro.
Lucotte ha ricevuto della polvere che era stata raccolta con aspiratore dalla faccia posteriore (quella senza figura) della Sindone di Torino, operazione effettuata da Giovanni Riggi nel 1978 e 1988, e poi depositata su carta adesiva (papier collant); aveva ricevuto inoltre il filtro di un aspiratore usato nel 1988 e altra polvere sindonica non meglio precisata, consegnatagli dal professor Giulio Fanti, già depositata su un substrato speciale, particolarmente adatto per le foto al microscopio elettronico a scansione (SEM o MEB in francese) [Lucotte, pp.9,33].
Su tutto il materiale esaminato e le centinaia di foto ricavate, Lucotte ha riconosciuto 88 granuli come pollini, ma per 54 di essi il riconoscimento era solo probabile. Per i restanti 34 granuli, l’Autore è sicuro trattarsi di polline. Solo per 16 di questi 34 egli ha potuto proporre una classificazione: per 7 la classificazione si è fermata a livello di famiglia (Chenopodiacee e Leguminacee) e per 9 a livello di genere (salice e nocciòlo).
Nessun granulo ha potuto essere classificato a livello di specie [Lucotte, pp.104-105].
Questi risultati, essendo basati su numeri molto ridotti e su classificazioni incomplete, sono naturalmante poco significativi e certo non confermano i risultati di Frei, in quanto sono semplicemente indizio che la Sindone è stata in ambiente europeo.
I granuli, di cui Lucotte presenta le foto, hanno la superficie coperta di incrostazioni e non si distingue la struttura superficiale della exina (ornamentazione), elemento indispensabile per distinguere i vari tipi di polline. Inoltre i granuli erano fissi sul loro supporto e non potevano essere mossi per osservare le varie proiezioni.
Un punto su cui occorre essere molto cauti è la distinzione che l’Autore fa tra granuli recenti e granuli antichi, sulla base della quantità di detriti depositati sul singolo granulo: se esso presenta pochi detriti sarebbe recente, se presenta molti detriti sarebbe antico [Lucotte, pp.104-5]. L’Autore non si sbilancia a quantificare l’antichità, che quindi potrebbe essere intesa variabile da pochi giorni a qualche settimana oppure da pochi anni a qualche secolo o millennio. Inoltre su questo punto non fornisce nessuna indicazione bibliografica dove si dimostri il suo assunto, che quindi al momento non può essere preso come dato accertato.
Una considerazione finale, marginale rispetto ai risultati presentati da Lucotte, può gettare delle ombre sull’accuratezza del suo operato. Egli infatti, dopo aver citato i tre principali articoli di Frei, sostiene che Frei ha pubblicato solamente una foto di un granulo pollinico: “Suaeda aegyptica” (sic) [Lucotte, p.108 nota 15].
In realtà Frei ha pubblicato 24 foto di pollini nel 1979 [Frei 1981], 4 foto nell’articolo del 1982 [Frei 1982] e 4 nell’articolo del 1983 [Frei 1983], che sono i tre articoli citati in bibliografia da Lucotte. Delle complessive 32 foto nei tre articoli detti, nessuna rappresentava Suaeda aegyptiaca, che invece compare nell’articolo scritto in tedesco da Frei nel 1979 per una rivista tedesca, in cui peraltro le foto di pollini erano due [Frei 19792]. Come si evince dalle sue note, Lucotte si è limitato a consultare delle traduzioni inglesi degli articoli di Frei, che probabilmente erano prive del corredo fotografico.
21. Il caso dei pollini sul Santo Sudario di Oviedo
Nel novembre del 1978 monsignor Giulio Ricci, presidente del Centro Romano di Sindonologia, in accordo con l’arcivescovo di Oviedo, decise di effettuare uno studio sui pollini del Santo Sudario di Oviedo; a tal fine, in data 18-11-1978, dette incarico a Max Frei di effettuare prelievi di polvere mediante nastri adesivi anche a Oviedo, come aveva già fatto per la Sindone di Torino. Ricci stesso, in data 29-11-1978, effettuò dei prelievi di stoffa e di fili dal Sudario di Oviedo. Poi tra il 15 e il 17 maggio 1979 Frei giunse a Oviedo e attuò i previsti prelievi: 25 nastri su una faccia del tessuto (quella definita faccia anteriore) e 16 sull’altra faccia; altri 5 nastrifurono approntati con i residui contenuti all’interno del reliquiario.
Un’altra operazione fu compiuta da Frei a Oviedo in quell’occasione. Egli tagliò due pezzetti del Sudario di circa 15-20 mg ciascuno, che poi furono inviati a Tucson per la datazione al C14, la quale dette come risposta che il telo era stato fabbricato nell’8° secolo d.C. [Moroni & al. 2009, par. 3.4].
I risultati dello studio sui pollini, redatti sotto forma di lettera indirizzata da Frei a Ricci nel 1981 e pubblicati a stampa nel 1985, in un libro di monsignor Ricci, anche questa volta furono clamorosi: 13 furono i pollini identificati a livello di specie; fra essi, oltre a piante tipiche della Spagna, vi erano 4 tipi di polline di piante esclusive della Palestina e nessuna dell’Anatolia o di Costantinopoli. Alcuni pollini poi indicavano, con probabilità se non con certezza, un soggiorno del Sudario di Oviedo nell’Africa del Nord [Ricci 1985, pp.233-238].
Un prelievo di polvere dal Sudario di Oviedo per l’esame microscopico fu eseguito nuovamente il 24 maggio 1985 dal Ricci stesso, il quale applicò 12 nastri adesivi al tessuto [Ricci 1997, p.184], ma non si è più saputo se e da chi siano stati analizzati e che risultati questa analisi possa aver dato.
Purtroppo per Frei lo studio dei pollini del Sudario di Oviedo è stato ripetuto nel periodo 1989-1994, con modalità di prelievo e tecniche di studio meglio descritte e più credibili. I risultati sono stati ben diversi.
Innanzitutto i prelievi di polvere dal Santo Sudario sono stati effettuati con un aspiratore collegato a un filtro a membrana:
«Para la toma del polvo adherido al lienzo utilizamos una bomba de vacío regulable, acoplada a un
sistema Millepore con una membrana de Teflón de 5 micras de tamaño de poro y 47 mm. de diámetro.
La toma se hizo a una depresión muy pequeña con el fin de non dañar la parte del lienzo donde se
realizaron las tomas e syn tocar la superficie del mismo.
Se ha empleado este procedimiento por ser a nuestro modo de ver mucho más limpio e inofensivo
para el lienzo, que el clásico de pegar cintas adhesivas directamente sobre la tela, además de
proporcionar muestras no solo de la superficie sino también de la partes más profundas del tejido»
[Montero Ortego, p.70].
(Per il prelievo della polvere depositata sul telo abbiamo utilizzato una pompa a vuoto regolabile, abbinata a un sistema Millepore con una membrana di teflon con pori larghi 5 micron e del diametro di 47 mm. Si è effettuato il prelievo utilizzando un piccolo abbassamento di pressione per non danneggiare la parte del telo su cui si attuava il prelievo e senza toccare la superficie di esso. Si è impiegato questo procedimento in quanto, a nostro modo di vedere, più pulito e meno dannoso per il telo rispetto al classico metodo di attaccare nastri adesivi direttamente sopra la tela, con il vantaggio, inoltre, di procurarci campioni non solo della superficie ma anche delle parti più profonde del tessuto).
Notiamo a questo punto che l’Autore spagnolo è il terzo studioso di microscopia e palinologia a sostenere che il prelievo con una pompa a vuoto, anche a pressione bassa, è il sistema migliore per prelevare polvere da un tessuto ai fini di ricerche palinologiche, in quanto in grado di prelevare campioni anche penetrati in profondità nel tessuto e non solo quelli superficiali, come si ottiene con il metodo del nastro adesivo. Gli altri studiosi che avevano fatto la stessa osservazione, come abbiamo già visto, erano stati Scannerini e Mariotti Lippi. Questo particolare risulterà importante al momento di trarre le conclusioni sui lavori di Frei.
Poi il materiale raccolto è stato sottoposto a trattamento acetolitico e studiato sia al microscopio ottico che al microscopio elettronico a scansione (SEM) dalla dottoressa Carmen Gómez Ferreras, professoressa del Dipartimento di Biologia vegetale della Università Complutense di Madrid. I granuli così riportati al naturale, sono stati classificati ed elencati in uno spettro pollinico, cioè una tabella in cui sono riportate tutte le specie identificate con il numero di granuli ritrovati per ogni specie [Gómez Ferreras].
Sottolineiamo a questo punto che l’Autrice dello studio si riferisce correttamente a uno spettro pollinico (Espectro Polínico). Ciò è ben diverso da quanto aveva fatto Frei, che aveva chiamato ‘spettro pollinico’ il semplice elenco dei nomi delle varie specie, senza nessuna indicazione della quantità di granuli per ogni specie (Cap.6).
In questo studio sono stati identificati 141 granuli di polline, appartenenti a 25 specie vegetali. Nessuna di queste specie è esclusiva della Palestina e nessuna è assente dalla Spagna. Solo una specie delle 13 ‘scoperte’ da Frei compare anche nell’elenco di questa studiosa spagnola [Gómez Ferreras].
In conclusione uno studio di poco posteriore e con caratteristiche di serietà e credibilità maggiori non ha confermato in niente i risultati di Frei. Nonostante questa conclusione completamente negativa,
i Sindonisti della sottobranca di Oviedo, sostengono invece che il lavoro della dottoressa Gómez Ferreras ha confermato e convalidato i risultati di Frei. Così infatti si è espresso Mark Guscin:
«Dr Carmen Gómez Ferreras, who teaches biology at the Complutense University in Madrid, spoke
about the pollen found in the sudarium. She has continued Max Frei’s work in this field, and has
confirmed that there is pollen from Palestine present on the cloth. The pollen she has found is Quercus
caliprinus (a species of oak) and tamaris, both of which are limited to the area of Palestine.
The second of these species is extremely difficult to identify» [Guscin 1998, pp.54-55].
«La dottoressa Carmen Gómez Ferreras, docente di Biologia presso l’Università Complutense di Madrid, [nel convegno di Oviedo 1994] parlò del polline individuato sul telo. Portando avanti il lavoro compiuto in questo campo da Max Frei, la studiosa confermò la presenza di polline proveniente dalla Palestina, in particolare di Quercus caliprinus (un tipo di quercia) e di tamerice (estremamente difficile da identificare), entrambi originari dell’area» [Guscin 2007, p.72].
In realtà la studiosa, secondo ciò che si legge nel suo lavoro, ha identificato 5 granuli pollinici di Quercus perennifolius e non di Quercus calliprinus o di altre specie di quercia. Parlando in generale del genere Quercus, Gómez Ferreras nomina anche Quercus calliprinus e ci fa sapere che “el género Quercus es europalino”, cioè presenta una grande varietà di forme di polline, e conclude affermando che tale genere non si presta a essere considerato come indicatore geografico: “no es válido el género Quercus como indicator geográfico”.
Riguardo alla tamerice, ricordata da Guscin come limitata alla Palestina, notiamo che la Gómez Ferreras ha inserito nel suo elenco dei pollini trovati sul Sudario di Oviedo solamente 4 granuli di Tamarix africana, diffusa nel Nord Africa e in Europa (Tamarix dalmatica è un suo sinonimo), precisando che sarebbe indicatore geografico di provenienza dalla Palestina solo il ritrovamento di pollini di una delle nove specie di Tamarix esclusive della Palestina, fra le quali ovviamente non rientra Tamarix africana.
Che pensare delle affermazioni di Guscin? Dato che egli non cita in bibliografia l’articolo della Gómez Ferreras, stampato nel 1996, immagino che abbia ascoltato la relazione della stessa fatta a voce durante il convegno del 1994 e abbia profondamente equivocato il significato delle sue parole.
22. Conclusione di superficialità e scorrettezza nei lavori di Frei
Numerosi argomenti a favore di un elevato grado di incompetenza emergono dagli articoli di Frei sui pollini. Proviamo a elencarli:
1. Frei sbaglia sostenendo che i granuli di polline si conservano indefinitamente integri in ambiente secco, mentre invece vengono attaccati e distrutti da ossigeno, batteri e funghi. Sembra non conoscere le condizioni in cui i pollini si conservano e si fossilizzano (ambiente anaerobico, senza ossigeno) e quelle in cui vengono più o meno rapidamente alterati e distrutti (ambiente aerobico, con ossigeno).
2. Sembra non aver capito che cosa sia uno ‘spettro pollinico’, confondendo una tabella con le quantità o percentuali dei vari tipi di granuli (spettro pollinico) con una tabella che elenca solo i nomi delle varie specie vegetali (elenco delle specie). Gli elenchi da lui pubblicati non costituiscono uno ‘spettro pollinico’, mancando le quantità o le percentuali di ogni tipo di polline. Le conclusioni che egli ne trae, che sarebbero corrette se basate su uno spettro pollinico, nel suo caso sono assolutamente infondate e arbitrarie.
Ricordiamo che i lavori sui pollini da lui citati in bibliografia usano correttamente il termine ‘spettro pollinico’, sia in lingua inglese che in francese.
3. Sbaglia nelle sue determinazioni di specie, che a detta di altri non sono possibili al microscopio ottico e spesso neanche al SEM. Sembra non rendersi conto, nell’identificare le varie specie, che per essere credibile deve poter escludere tutte le altre specie vegetali che hanno pollini simili o indistinguibili.
4. Sbaglia nel sostenere che negli ultimi secoli la Sindone di Torino non è stata toccata da nessuno e non può aver subito inquinamenti da parte di pellegrini. Sembra non conoscere una nozione basilare sulla Sindone, che molti Sindonisti hanno più volte sottolineato, cioè che il telo sindonico per secoli (o millenni?) è stato toccato e baciato da innumerevoli folle di pellegrini e toccato con i più svariati oggetti al fine di creare ‘reliquie per contatto’.
5. Sembra non rendersi conto della facilità con cui oggetti lasciati all’aria si inquinano velocemente con pollini.
6. Pur avendo fatto raccogliere polvere sindonica dalla teca di conservazione della Sindone, sembra non rendersi conto che i pollini cadono in continuazione dalla tela e che è da 2000 anni che dalla Sindone cadono pollini, se essa è veramente vecchia di 2000 anni.
7. Sbaglia nel sostenere che il granulo pollinico da lui trovato di Ambrosia coronopifolia poteva provenire soltanto dai guanti americani, che lui era stato costretto a indossare la notte tra l’8 e il 9 ottobre 1978: la pianta, di origine americana, in realtà era già diffusa in Italia. Sembra non sapere che numerose piante, come la Ambrosia coronopifolia, pur originarie di una specifica regione, si erano già diffuse in varie parti del mondo come piante infestanti o da giardino e non accenna a ricerche in tal senso per escludere questa eventualità.
Se si assumessero come ‘sincere’ certe affermazioni di Frei sui pollini sindonici, dovremmo arrivare a delle conclusioni drastiche sulla sua competenza. È possibile che tutte queste carenze di nozioni basilari siano presenti in una sola persona, che è nota aver studiato l’argomento pollini e fatto ricerche nel campo, in una persona famosa e apprezzata per le sue competenze scientifiche e tecniche come Frei? Oppure è possibile che Frei abbia fatto finta di non conoscere gli aspetti prima citati, pur di sostenere la sua tesi?
Altri punti negli articoli di Frei, invece, non si spiegano ipotizzando semplici sbagli da parte sua:
1. Come è possibile che Frei sostenga di aver fatto foto al SEM del materiale del 1978, mentre ciò è
materialmente impossibile, dato che i suoi nastri del 1978 sono ancora oggi integri?
2. Come è possibile che Frei lasci intendere che le foto al SEM da lui presentate ai congressi e negli articoli a stampa siano di granuli trovati sulla Sindone di Torino, mentre sono tratti da esemplari di controllo?
3. Come è possibile che Frei sostenga che il polline più frequente sulla Sindone di Torino corrisponda al polline più frequente nei sedimenti palestinesi di 2000 anni fa? Egli non ha mai fatto il conteggio dei pollini sulla Sindone e gli articoli sui pollini nei sedimenti, da lui citati, non parlano affatto di sedimenti di 2000 anni fa.
Con queste ultime considerazioni dobbiamo giungere alla conclusione che l’incompetenza, da sola, non può spiegare questi fatti. Dobbiamo supporre che in qualche modo egli abbia ritenuto di aggiustare i suoi risultati per farli diventare una prova a sostegno della sua teoria iniziale, che la Sindone risalga al primo secolo d.C. e sia da identificare col Mandylion di Edessa.
23. Da dove provengono i pollini sindonici?
I pollini arrivano dappertutto e in continuazione, a meno che un oggetto sia conservato in ambiente sigillato. In continuazione sono anche distrutti e cadono dagli oggetti. Sarebbe impensabile che sulla Sindone di Torino non ce ne fossero, perché fino al 2002 è stata conservata in contenitore non sigillato e perché è stata esposta all’aperto innumerevoli volte, in occasione delle ostensioni.
È il vento soprattutto che porta i pollini, ma li portano anche gli insetti. Oggetti e persone che passano vicino alla Sindone o meglio ancora che la toccano, possono trasmettere pollini. Per questo un granulo o pochi granuli, che possono essere pervenuti sulla superficie di un oggetto per le più varie e impensabili cause,
non ci dicono nulla sulla storia di quell’oggetto. Infatti i palinologi presentano sempre nei loro studi dati sul totale dei granuli e sulle percentuali dei vari pollini. Tutti i palinologi tranne Frei, che ha presentato solo
degli elenchi.
Frei ha sostenuto con determinazione che i pollini sulla Sindone di Torino possono essere arrivati solo per l’azione del vento. Ha studiato la direzione dei venti e ha tratto la conclusione che i venti non possono aver portato pollini dalla Palestina e dalla Turchia fino in Italia e in Francia. A suo dire ciò costituiva la prova inoppugnabile che il telo sindonico era stato, in qualche epoca, in Palestina e in Turchia.
Purtroppo per lui, il suo elenco comprendeva una maggioranza di pollini (32 su 57) trasportati da insetti (entomofili) rispetto a quelli trasportati dal vento (anemofili), secondo il parere espresso a voce dal professor A. Orville Dahl, docente di palinologia all’Università della Pennsylvania, quando nel maggio 1986 Maloney gli mostrò il manoscritto di Frei [Maloney 1990, p.5]. È ovvio che anche i pollini entomofili possono talvolta essere portati dal vento, ma in misura molto minore, dato che la loro struttura e il peso non sono adatti al trasporto nell’aria e dato soprattutto che essi sono prodotti in quantità infinitamente minore rispetto ai pollini anemofili. Le conclusioni di Frei su questo punto sono, ancora una volta, inaccettabili.
Se poi, ed è successo chissà quante volte per la Sindone di Torino, dei fiori sono stati appoggiati sopra o comunque l’hanno toccata, i pollini possono esservi caduti sopra in abbondanza. Nessuno può escludere che anche dei fiori provenienti dal Medio Oriente siano venuti in contatto con la Sindone. È stata anche avanzata l’ipotesi che la Sindone di Torino sia servita come telo per coprire l’altare durante la celebrazione della messa e che un massiccio arrivo di pollini su di essa sia avvenuto proprio in quella o quelle occasioni [Maloney 1990, pp.5-6]. Se i pollini sindonici fossero il risultato del contatto tra fiori palestinesi (o turchi) e Sindone, non ci sarebbe nessuna prova che questo contatto sia avvenuto in Palestina o Turchia e non in qualsiasi altro luogo, dove i fiori potrebbero benissimo essere stati portati da pellegrini e poi dedicati alla Sindone.
Quando i Sindonisti avanzano l’ipotesi che i pollini siano il risultato, non del trasporto tramite vento, ma del contatto diretto tra fiori e Sindone, e nel contempo non sottolineano che Frei ha preso una grossa cantonata su questo punto, commettono una grave scorrettezza, in quanto accettano per dato certo una parte del lavoro di Frei e fanno finta di non sapere che egli ha espresso giudizi perentori su un argomento estremamente opinabile, il che getterebbe un’ombra di discredito su tutto il suo lavoro.
Ma questa dei fiori appoggiati sulla Sindone per devozione è solo una ipotesi stentata, sostenuta da alcuni che non vogliono abbandonare, come non attendibili, i risultati di Frei. Se invece si ammette che le identificazioni di Frei non sono accettabili, come appare inevitabile da quanto fin qui esposto, di questa ipotesi marginale e improbabile se ne può fare a meno.
Gli studi successivi, documentati dalle foto pubblicate da Morano e ultimamente da Lucotte, ci dicono ben altro. Realmente i pollini sulla Sindone esistono in abbondanza. Qualcuno è stato estratto con il sistema dei nastri adesivi premuti sulla superficie. In misura maggiore sono stati estratti con il sistema dell’aspirazione, anche se i risultati non sono mai stati pubblicati. Sulla quantità di pollini prelevati con l’aspirazione dalla Sindone, è stato molto chiaro Giovanni Riggi:
«Io stesso, detentore ancora oggi di una piccola parte delle polveri sindoniche … dopo averne
osservati mille e più sullo schermo del Microscopio Elettronico a Scansione …» [Riggi 1988, p.141].
In misura ancora maggiore si evidenziano pollini sui fili di tessuto staccato dalla Sindone:
«Il loro numero appare rilevante, se pensiamo alla esiguità della superficie del frammento di filo
esaminato (1 mm circa)» [Morano 1979, p.202].
Il problema principale, ai fini dello studio di tali pollini, è che essi sono incrostati e deteriorati, quindi difficilmente classificabili. In proposito non risulta, nel caso di pollini sindonici prelevati con l’aspirazione, che sia stata utilizzata la comune pratica dell’acetolisi per eliminare tutte le incrostazioni e impurità. Riggi ha fornito una sua spiegazione del perché, sul materiale da lui aspirato, non abbia usato l’acetolisi per isolare e ripulire i granuli:
«Il trattamento di ripulitura avrebbe potuto far perdere infiniti altri dati che per la nostra indagine
avevano importanza infinitamente più grande» [Riggi 1978, p.206].
«L’analisi delle incrostazioni [dei pollini] fornisce dati maggiori di quelli relativi all’individuazione del
polline stesso» [Riggi 1988, p.133].
La motivazione di Riggi probabilmente è stata fatta propria anche dagli altri ricercatori, che pertanto non hanno mai usato l’acetolisi. A questo punto si può accettare come valida una osservazione fatta da Maloney:
«A comparison of the contest of the STURP tape with the body of Frei’s tapes show they are quite
similar» [Maloney 1990, p.4].
(Un confronto fra l’aspetto dei nastri dello STURP e quello del corpo dei nastri di Frei mostra che essi sono molto simili).
L’affermazione di Maloney, che ha studiato a lungo i nastri di Frei, deve essere accettata come valida: i granuli presenti nel ‘corpo’ di tali nastri sono tutti o quasi ricoperti da detriti, così come i granuli raccolti con nastri o aspiratori da altri ricercatori.
L’unico tentativo attendibile di identificazione dei pollini incrostati e deteriorati, risulta quello messo in atto da Lucotte su polvere prelevata da Riggi nel 1978 e 1988 e su altro materiale. Abbiamo visto il suo lavoro e i suoi risultati nel Cap.20. Qui ci limitiamo a ripetere che dal suo lavoro emerge il quadro di una flora europea e nulla si può dire riguardo all’età dei pollini ritrovati. Il dato di Lucotte è confortato dall’unica identificazione nota fatta sui pollini prelevati con i nastri adesivi da Ray Rogers, il quale avrebbe riconosciuto solamente un granulo di ‘ragweed’ (Ambrosia coronopifolia?).
In conclusione i dati attendibili noti sui pollini prelevati dalla Sindone tendono a confermare l’ipotesi più semplice di tutte: i pollini si sono depositati sulla Sindone portati dal vento, da insetti o da altri agenti inquinanti poco prima del prelievo delle polveri, che siano ore, giorni, mesi o anni prima.
24. Quanti sono i pollini sui nastri di Frei?
In un momento imprecisato (‘at one of our London microscopy meetings’) Walter McCrone chiese a Frei quanti pollini aveva trovato nei suoi nastri. La risposta di Frei fu: “Uno per centimetro” [Nickell].
Poi il 23 luglio 1988 McCrone esaminò al microscopio ottico 26 nastri di Frei del 1978 e disse di aver trovato 2-3 granuli per nastro, tranne che in uno (il nastro 6Bd), in cui ve ne erano centinaia in una unica macchia:
«I have examined 58 Shroud tapes (32 STURP and 26 of Dr. Frei’s tapes taken in 1978). I saw few
pollen grains on his tapes, an average of 2-3 on all but one of Max Frei’s tapes which had several
hundred (!) pollen grains in one heavy smear. I asked Dr. Frei what concentration of pollen he had
found on the Shroud tapes and he answered “One per centimeter”. This is not too different from
my estimate of 2-3 pollen/tape since each tape measured about 5 cm2» [McCrone, p.29].
(Ho esaminato 58 nastri sindonici, 32 dello STURP e 26 di Frei presi nel 1978. Ho visto pochi granuli nei suoi nastri, una media di 2-3 per ciascuno, tranne che in uno, dove ce n’erano parecchie centinaia in una sola grossolana macchia.
Ho chiesto al dr. Frei che concentrazione di pollini aveva trovato sui nastri sindonici e lui ha risposto “Uno per centimetro”. Il che non è troppo diverso dalla mia stima di 2-3 pollini per nastro, dato che ogni nastro misurava circa 5 cm2).
Ecco la descrizione che nel 1990 fece Maloney in merito a quel 23 luglio 1988, quando i nastri di Frei furono esaminati da McCrone:
«On Saturday, July 23, 1988, a diverse group of Shroud scholars and investigators assembled in
Philadelphia … Mr. Maloney introduced the two gentlemen whose experience and expertise would
be relied upon to verify the scientific value of the slide samples: Dr. Alan Adler and Dr. Walter McCrone …
Each slide was then handed to Dr. McCrone at the microscope who focused the slides variously at
100x and 200x magnification. The group was able to observe the microscope field on two video monitors
as Dr. McCrone examined the slides … As a result of Frei’s sampling method, virtually all the pollen
are present in the first one-half inch of the sticky tapes that have been examined. Also the numbers
of pollen found thus varies greatly from one area of the cloth to another» [Maloney 1989, p,4].
(Sabato 23 luglio 1988 un numeroso gruppo di studiosi e ricercatori si riunì a Philadelphia … Maloney introdusse due signori sulla cui esperienza e perizia si faceva affidamento per verificare il valore scientifico dei vetrini: il dr. Alan Adler e il dr. Walter McCrone … Quindi ogni vetrino veniva passato al dr. McCrone al microscopio, il quale metteva a fuoco i vetrini alternativamente a 100 e 200 ingrandimenti. Il gruppo poteva osservare il campo del microscopio su due monitor, via via che il dr. McCrone esaminava i vetrini … Come risultato del sistema di campionatura di Frei, praticamente tutto il polline era presente nel primo mezzo pollice [1,25 cm] del nastro adesivo esaminato. Inoltre la quantità di polline così trovato, variava fortemente da un’area all’altra).
Nel 1998, quando 24 nastri furono esaminati da Uri Baruch, si ebbero i seguenti conteggi di granuli: 5, 9, 5, 1, 7, 6, 20, 7, 7, 4, 107, 2, 3, 10, 11, 17, 13, 2, 2, 3, 15, 1, 11, 23; per un totale di 291 granuli e con una media di 12-13 granuli per nastro (8 granuli per nastro se non si conta il nastro anomalo con 107 granuli) [Danin 1999, p.14]. Ora il conteggio di Baruch e quello dichiarato da Frei e riportato da McCrone coincidono a sufficienza, se non si conta il nastro anomalo, mentre il conteggio di McCrone risulterebbe troppo basso, differenza spiegabile forse col fatto che McCrone esaminò i nastri in modo veloce: tutti e 26 in mezza giornata e quindi ha dato risultati meno attendibili.
Anche Paul Maloney ha attuato il conteggio dei pollini su alcuni nastri di Frei, ottenendo i seguenti risultati per tre di essi: 80, 160, 275 [Maloney 1990]. Altra grossa differenza tra la descrizione di McCrone e le osservazioni di Maloney è che quest’ultimo afferma che in generale sui nastri di Frei i pollini sono in maggior numero nel breve tratto iniziale del nastro (che lui chiama ‘lead’) dove Frei avrebbe esercitato col pollice una pressione maggiore che sul resto nel nastro; mentre McCrone rileva questa anomalia solamente per un nastro.
La differenza potrebbe spiegarsi col fatto che McCrone avrebbe omesso di esaminare la parte ‘lead’ dei nastri (‘McCrone did not examine the leads during his marathon inspection’) [Nickell].
Che conclusioni se ne possono trarre? Maloney, ora in pensione, è stato insegnante di Archeologia, Greco e Nuovo Testamento in un college della Iowa (Professor of Archaeology, Greek and Old Testament at Vennard College [Iowa]) e in un college della Pennsylvania (United Wesleyan College ad Allentown).
Finché non pubblicherà qualche lavoro che specifichi meglio il suo studio sui pollini di Frei, queste sue affermazioni rimangono un po’ sospese in aria, come in attesa di giudizio.
A livello di pura ipotesi si può ricordare che altri studiosi, quali Morano e Lucotte, hanno dichiarato di non essere in grado, per la maggior parte dei granuli, di distinguere se si trattava di pollini o altro. È stato Maloney in grado di fare ciò che altri non hanno fatto? Forse egli, a ragione o a torto, ha interpretato come pollini dei granuli che altri non erano stati in grado di determinare e questa può essere la ragione delle divergenze nei conteggi.
25. Sospetta concentrazione di pollini nel tratto iniziale dei nastri di Frei
Possiamo essere sicuri di un fatto importante relativo al numero e alla distribuzione dei pollini sui nastri del 1978. Se Frei avesse visto uno o più punti in qualcuno dei suoi nastri in cui vi era una elevatissima concentrazione di pollini (100 o più invece che 1 per cm) sicuramente non avrebbe mai potuto dire che la distribuzione dei pollini sulla Sindone era omogenea e per di più affannarsi a dare una spiegazione razionale di questa omogeneità. Dallo studio della frequenza dei pollini sindonici era attesa non una distribuzione omogea, ma una maggiore concentrazione ai lati del volto, in quanto secondo la teoria di Ian Wilson, che identificava la Sindone di Torino con il Mandylion di Edessa, il telo sindonico era stato tenuto per secoli ripiegato, lasciando esposta soltanto la zona del volto. Teniamo presente che il nastro con la concentrazione in un punto di un centinaio di pollini (oppure centinaia) è il nastro etichettato 6Bd, cioè proprio il nastro che nel 1978 è stato applicato da Frei sul tessuto a lato del volto sindonico.
Dobbiamo concludere che quella macchia con un centinaio di pollini (oppure centinaia) non esisteva quando i nastri erano in mano a Frei, a meno che non si voglia sostenere che Frei ha mentito sui suoi nastri allo scopo sminuirne il valore e avrebbe falsamente negato un fatto che poteva giovare alle sue tesi.
Viene inevitabile l’amara conclusione che dopo la morte di Frei almeno un nastro sia stato manomesso.
Un sospetto di manomissione cominciò a serpeggiare fin dal 1988, quando McCrone esaminò i nastri. Nickell ne parla apertamente nel suo articolo del 1994 [Nickell]. Per questo motivo qualcuno dei Sindonisti si è ingegnato a dimostrare che i nastri non potevano essere stati alterati, affermando che essi nel 1978 erano stati da Frei ripiegati su se stessi proprio al momento del prelievo; pertanto, dato che sono ancora integri, ogni sospetto di manomissione doveva essere per forza di cose rigettato [Wilson 2000, pp.87-8].
In realtà i nastri di Frei del 1978 non sono stati ripiegati su se stessi, ma sono stati applicati e ripiegati intorno a un vetrino da laboratorio. Abbiamo una conferma su questo punto da una email che Paul Maloney ha indirizzato a Gian Marco Rinaldi nel 2009. La constatazione che quasi tutti i pollini nei preparati di Frei (o almeno in uno dei suoi nastri) si ritrovano proprio sotto il mezzo pollice iniziale del nastro adesivo ha turbato per un certo periodo i Sindonisti. Fino a che non è stata immaginata una possibile spiegazione: il primo centimetro di ogni nastro è stato chiamato ‘lead’, cioè ‘guida’ e si è detto che su di esso ha agito una particolare pressione del pollice di Frei, facendo in modo che proprio in quel punto il nastro adesivo raccogliesse una maggior quantità di materiali, che nella mente dei Sindonisti non potevano essere che pollini in gran quantità.
Sia Frei che i presenti ai prelievi del 1973 e del 1978 hanno parlato di una leggera pressione esercitata sui nastri applicati alla Sindone, ma naturalmente questa pressione non era misurata o misurabile e chiunque può fare tutte le affermazioni che vuole a proposito di un fatto passato e non controllato.
Ecco come Maloney espresse una teoria che spiegava le differenze dei risultati ottenuti nei prelievi di
polline dai vari ricercatori:
«It will also be useful here to make a brief comparison of the three methods of sample removal: Dr.
Frei’s, STURPS’s and the vacuum method used by Dr. Giovanni Riggi. We have already noted above
that Dr. Frei pressed on the tape with finger or thumb before removing the sample. The plasticity of the
tape allowed it to pick up the pollen the valleys between the crowns of the threads. Early on it was a
puzzle that STURP was only able to obtain on single pollen grain in 34 tape samples and Frei was
finding a lot of pollen. The STURP method limited the pounds per square inch to about 60 and thus
only removed material from the crowns of the threads. There clearly was stratification of the debris
on the Shroud. STURP’s single pollen as been identified as ragweed which grows in profusion around
Turin. A comparison of the contest of the STURP tape with the body of Frei’s tapes show they are quite
similar.
But more puzzling still are the findings of Dr. Riggi who vacuumed his samples from the backside
of the Shroud – i.e. the side which does not bear the image. He has related that he found pollen
grains with a mineral coating. During my discussion with Dr. Riggi he looked at the photoinventory
of the pollen on tape “4Bd” and noted that possibly only one of the more than 160 grains on that
tape was actually mineral coated! He informed me that fully 50% of all his pollen samples were
mineral coated. He must resolve the question: “Why are nearly all of the mineral coated grains on
the backside of the Shroud with few if any on the front”» [Maloney 1990, p.4].
(Inoltre sarà utile a questo punto fare un breve paragone dei tre metodi di prelievo dei campioni: quello del dr. Frei, quello dello STURP e il metodo del vuoto usato dal dr. Riggi. Abbiamo già notato sopra che il dr. Frei premeva sul nastro con un dito o col pollice prima di rimuovere il campione. La plasticità del nastro permetteva di portar via il polline dalle insenature fra le sommità dei fili. Prima era un dilemma il perché lo STURP era stato in grado di ottenere soltanto un singolo granello di polline in 34 nastri mentre Frei trovava un sacco di pollini. Il metodo dello STURP limitava la pressione a circa 60 libbre per pollice quadrato e così rimuoveva soltanto il materiale dalle sommità dei fili. Chiaramente vi era una stratificazione dei detriti sulla Sindone. Il singolo polline dello STURP è stato identificato come una pianta delle Ambrosiaceae (ragweed), che crescono in abbondanza attorno a Torino.
Ancora più difficili da spiegare sono i reperti del dr. Riggi, che aspirò sotto vuoto i suoi campioni dal retro della Sindone, cioè dal lato su cui non vi è l’immagine. Egli ha riportato di aver trovato granuli di polline con un rivestimento minerale. Nel corso di una discussione col dr. Riggi, egli guardò l’inventario fotografico del polline sul nastro “4Bd” e notò che forse solo uno dei 160 granuli presenti nel nastro aveva effettivamente un rivestimento minerale! Quindi dobbiamo risolvere la seguente questione: “Perché quasi tutti i granuli sul retro della Sindone hanno un rivestimento minerale, mentre sul lato frontale pochi ce l’hanno”).
Un paio di punti sostanziali, alla base della ipotesi di Maloney, vanno però corretti; secondo Riggi la percentuale dei pollini con incrostatazioni rispetto a quelli dall’apparenza fresca non era del 50%, come aveva capito Maloney, ma quasi del 100 %; e non solo i granuli presi sul retro, ma anche quelli presi da Rogers sulla superficie frontale erano tutti o quasi incrostati:
«Infatti quasi tutti i pollini trovati sui nastri adesivi in America e quelli del grandissimo numero da me ritrovati
nelle polveri, non consentono riconoscimento alcuno perché ricoperti di incrostazioni che ne mascherano
l’aspetto e le forme caratteristiche» [Riggi 1982, p.206].
Il problema quindi si pone in termini diversi: prelievi ottenuti con nastri adesivi danno pochi pollini e quasi tutti incrostati e irriconoscibili; prelievi ottenuti con aspiratore danno molti pollini e quasi tutti incrostati e irriconoscibili. Questa differenza di quantità è spiegabile con la constatazione che tramite aspiratore si ottengono maggiori quantità di polline dai tessuti, anche dalle profondità del tessuto. Sembra anche che fra recto e verso della Sindone non ci siano differenze significative come qualità dei pollini prelevati. In sostanza si può accettare per valida l’osservazione di Maloney, riportata poco sopra, che i nastri di Rogers appaiono analoghi al ‘corpo’ dei nastri di Frei:
«A comparison of the contest of the STURP tape with the body of Frei’s tapes show they are quite
similar» [Maloney 1990, p.4].
(Un confronto fra l’aspetto dei nastri dello STURP e quello del corpo dei nastri di Frei mostra che essi sono molto simili).
L’unica eccezione che non rientra in questo quadro è costituita da quei millimetri iniziali (lied) di uno (o più) dei nastri di Frei, che sono ricchi di pollini all’apparenza freschi, a volte anche in numero di qualche centinaio su un solo vetrino. Come va interpretata questa discrasia? Non certo con l’affermazione che Frei abbia premuto di più su quel punto, perché con l’aspirazione tramite pompa a vuoto, lo ripetiamo ancora una volta, secondo il parere degli esperti già citati [Scannerini, Mariotti Lippi, Montero Ortego] si ottiene un numero maggiore di granuli, anche provenienti dalle profondità del tessuto. Rimane il dubbio che qualcuno abbia manomesso i nastri in un momento successivo alla morte di Frei.
26. È compatibile un’accusa di superficialità e scorrettezza con la grande fama di Frei?
A questo punto dobbiamo domandarci se è lecito lanciare un’accusa di superficialità o magari di scorrettezza nei confronti di uno studioso di fama come Max Frei. Egli è stato fondatore e direttore del laboratorio di polizia scientifica di Zurigo, perito di tribunale in Svizzera, Germania, Italia, presidente della commissione ONU di indagine sulla morte di Dag Hammarskjöld, docente universitario di criminologia a Zurigo e in Germania, fondatore e responsabile di una rivista di criminologia, autore di lavori botanici a lungo utilizzati come testi di studio nelle università svizzere.
Tutto ciò in realtà non può costituire una prova della validità dei suoi studi sui pollini sindonici. L’ipse dixit viene rifiutato a livello scientifico ormai da secoli: i lavori scientifici devono essere valutati per il loro valore intrinseco, non in base alla reputazione di chi li ha redatti.
Comunque la carriera di Max Frei non è sempre stata così cristallina come i Sindonisti vorrebbero farci credere: Frei ha alcune macchie significative nel suo curriculum a prescindere dal caso dei pollini sindonici.
Si tratta soprattutto del cosiddetto ‘caso Gross’, che vale la pena di raccontare in quanto poco noto in Italia.
La mattina del 24 maggio 1958, fra le rovine del castello di Baden, nel cantone dell’Argovia, in Svizzera, fu trovato gravemente ferito e in coma un certo Christian Bätscher, un ubriacone, che poi morì senza più riprendere conoscenza. Testimoni dissero che la sera prima era stato visto in compagnia di un uomo con la giacca rossastra. Il 26 maggio fu perciò arrestato Walter Gross, uno sbandato di 45 anni, proprietario appunto di una giacca di quel colore. Gross ammise senza difficoltà che quella sera aveva trovato il Bätscher, ubriaco, ferito per una caduta dalla bicicletta, non più in grado di camminare, e l’aveva accompagnato
alla panchina presso le rovine del castello, dove altre volte lo aveva visto trascorrere la notte. Aggiunse di aver notato nei pressi due italiani sospetti e altre persone. Fu decisa una perizia sull’arma del delitto, identificata in un pezzo di legno, e sugli indumenti di Gross. Max Frei fu incaricato della perizia. Egli trovò nei pantaloni di Gross delle fibre che identificò con altre prelevate sul pezzo di legno arma del delitto; dichiarò che le fibre provavano che gli abiti di Gross erano stati in contatto con l’arma del delitto. Inoltre sulle scarpe di Gross fu evidenziata una macchia di sangue. Alla fine del processo, il 21 settembre 1959, la giuria popolare, sulla base della perizia di Frei, condannò all’ergastolo Walter Gross per omicidio a scopo di rapina.
Un anno dopo un avvocato della difesa riuscì a ottenere una dichiarazione da parte dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Berna riguardante la perizia di Frei, che avanzava dubbi sulla conclusività delle prove in essa contenute. Così la difesa presentò una richiesta di revisione del processo e infine la ottenne.
Nel corso del nuovo processo, iniziato nel luglio 1971, il Dipartimento Penale dell’Alta Corte dell’Argovia e la corte composta da giurati nominarono tre nuovi periti, per riesaminare la perizia di Frei e tutte le prove. I risultati della nuova perizia furono clamorosi: non era stata prodotta una prova, scientificamente certa, che quel pezzo di legno costituisse l’arma del delitto. Due dei tre periti aggiunsero che secondo loro non esisteva un test scientifico che con certezza potesse stabilire la provenienza dallo stesso pezzo di tessuto di fibre diverse comparate l’una con l’altra e per di più le fibre non erano state identificate sulla base dei test scientifici più recenti e più validi. Infine dissero che “fibre artificiali commercializzate”, come quelle descritte da Frei, non si trovavano affatto sui pantaloni di Gross e in realtà non esistevano sul mercato. Da sottolineare in proposito che i preparati di Frei con le fibre in questione, nel frattempo, erano misteriosamente spariti. Inoltre la prova della traccia di sangue non resse a un esame critico: la giacca indossata da Gross la notte del delitto non mostrava tracce di sangue; invece, secondo i due periti, questa giacca avrebbe dovuto essere cosparsa dappertutto di schizzi di sangue, se fosse stata realmente indossata dall’aggressore.
Infine fu contestata la modalità di conduzione degli esami: basandosi sul fatto che esisteva un imputato, tutti gli esami e la raccolta delle prove si concentrarono solo su di lui. Altre tracce non furono preservate e non furono fatti confronti con i vestiti di altre persone dell’ambiente della vittima. Nonostante il disastroso risultato della nuova perizia, Frei ribadì le sue opinioni e confessò semplicemente di essere andato troppo oltre nelle conclusioni. Alla domanda perché egli avesse accettato la colpevolezza di Gross come unica possibilità, Frei rispose: «Non potevamo escludere Gross come colpevole; da ciò noi abbiamo tratto la conclusione conseguente (Retourschluß): ‘Se non possiamo escluderlo allora è lui’».
Nel dibattimento si sottolineò anche che era stato trascurato un fatto importante: Gross avrebbe ucciso allo scopo di rubare il portafoglio, ma il 5 ottobre 1958 il portafoglio della vittima fu ritrovato sulla scalinata della chiesa di St. Nicholas in un posto ben in vista e Gross era in carcere fin dal 26 maggio 1958.
Il nuovo processo si concluse a Wettingen nel novembre 1971: Gross fu assolto e liberato dopo 12 anni di carcere, fra gli applausi del pubblico. Infine egli ricevette 130.000 franchi come risarcimento e il suo difensore una parcella di 7360,60 franchi.
La combinazione tra i rapporti falsi e le proteste pubbliche convinse il governo di Zurigo a istituire una commissione indipendente per verificare le attività svolte da Frei. Tale commissione giunse alla seguente conclusione: «Il dr. Frei-Sulzer è stato poco critico nel valutare i risultati dei suoi esami e nelle conclusioni si è spinto anche più in là. La perizia potrebbe dare l’impressione che qualcuno dovesse essere dichiarato colpevole del fatto a tutti i costi». Nel rispondere alla domanda se Frei fosse giunto alle sue conclusioni affrettatamente, la commissione aggiunse: «La commissione considera i casi di conclusioni avventate o troppo in là così numerosi e gravi, che non possono essere dovuti solamente al caso».
Frei però prevenne le conclusioni della commissione e nel 1972 si dimise dalla polizia [Lüscher & Bosonnet; Mauz]. Il clamore suscitato dal ‘caso Gross’ non si è ancora del tutto sopito in Svizzera: il 9 settembre 2009, a un’asta online di eBay, una ‘giacca di Walter Gross’ è stata venduta per 14,99 Euro.
Riguardo alle altre attività svolte da Frei, è stato sottolineato dalla commissione d’inchiesta che l’attività di perito svolta in forma privata da Frei un paio di volte avrebbe potuto mettere in imbarazzo lo stato svizzero: la perizia assegnata a Frei nel 1961 sulle cause della caduta dell’aereo del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld, non avrebbe dovuto essere da lui accettata, perché violava la neutralità della Svizzera coinvolgendola in questioni politiche riguardanti altri stati ed enti internazionali di cui la Svizzera non fa parte, anche se all’epoca la questione non fu sollevata. Avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzata dai superiori di Frei anche la perizia sui ‘suicidi’ dei componenti della RAF (Rote Armee Fraktion), che Frei svolse e concluse dichiarando scientificamente accertati i suicidi dei terroristi tedeschi.
Un caso del 1967 comportò effettivamente qualche problema per la Svizzera. Una casa editrice chiese a Frei di autenticare dei documenti, che gli fece avere tramite un certo dr. Kaul di Berlino. Alcuni di questi riguardavano il presidente della Repubblica Federale di Germania, Lübke, ed erano piante di campi concentramento dell’epoca nazista, recanti proprio la firma di Lübke. Prima che Frei potesse rispondere se accettava o no l’incarico, il capo della polizia di Zurigo intervenne, in quanto si era scoperto che il dr. Kaul era un esponente della Zona Sovietica di Berlino e un rappresentante del governo della Repubblica Democratica di Germania (DDR): lo svolgimento della perizia avrebbe violato la neutralità della Svizzera.
A Frei fu ordinato di rifiutare la perizia e di depositare presso una banca svizzera quanto fino ad allora gli era stato consegnato. La commissione d’inchiesta, che segnalò questi fatti, precisò anche che Frei non era qualificato per svolgere perizie su manoscritti [Mauz].
Nonostante il parere della commissione d’inchiesta, Frei, che negli anni ’50 aveva scritto un articolo sul riconoscimento dei manoscritti contraffatti, era comunemente ritenuto a livello internazionale un esperto nel campo. Nel 1982 egli fu uno dei tre periti che, per conto del settimanale Stern, esaminarono i 62 diari di Hitler da poco ritrovati e li dichiararono autentici. Nell’aprile 1983 la casa editrice Stern annunciò con grande clamore l’acquisto dei diari per 2,3 milioni di dollari e iniziò le pubblicazioni. Poco dopo però, il 6 maggio 1983, gli Archivi Federali della Germania stabilirono che si trattava di falsificazioni. Sia il giornalista che aveva convinto Stern ad acquistarli (Gerd Heidemann), sia il falsario (Konrad Kujau) furono arrestati,
processati e condannati a 4 anni e mezzo di carcere. [Hitler Diaries]. Frei però non vide la tragica conclusione di questa sua ultima perizia, perché morì improvvisamente il 14 gennaio 1983.
Una curiosa nota deve essere aggiunta a questa disamina sulla reputazione di Frei. Il suo grande amico Aurelio Ghio, che si proclamava il ‘portavalige’ di Frei e si vantava di aver appreso da Frei la passione per il mestiere di perito e tutti i segreti dell’arte [Ghio 1988], nel 1995 incappò in una disavventura giudiziaria, ben più grave di quelle di Frei. Ecco il racconto dei fatti.
Il 26 agosto 1984 il boss della camorra Carmine Alfieri, insieme a due suoi gregari, Ferdinando Cesarano e Gennaro Brasiello compirono un agguato a Torre Annunziata, in cui furono uccise 8 persone. A causa di un’impronta digitale lasciata da Gennaro Brasiello sul pullman che aveva trasportato i killer sul luogo dell’agguato, tutti e tre furono riconosciuti colpevoli e condannati all’ergastolo. Ma nel processo d’appello terminato il 30 gennaio 1990, il perito della difesa, Aurelio Ghio, e il perito d’ufficio del tribunale, Luigi Macchiarelli, dimostrarono che l’identificazione di quell’impronta non era corretta; così il procuratore Ciro Demma chiese e ottenne l’assoluzione di tutti gli imputati. In seguito Carmine Alfieri e molti altri camorristi divennero pentiti e raccontarono, tra l’altro, i retroscena di quel processo d’appello. Raccontarono che Aurelio Ghio era colluso con la camorra e la sua funzione era quella di corrompere i periti d’ufficio nei processi importanti. Dissero che in un primo momento era stato scelto Pier Luigi Baima Bollone come perito del tribunale. Presso di lui a Torino si recarono Aurelio Ghio e Ferdinando Cesarano, uno degli imputati, per corromperlo offrendogli una rilevante cifra, ma Baima Bollone rifiutò l’offerta e addirittura rinunciò all’incarico di perito per quel processo. Il tribunale quindi incaricò come perito d’ufficio un professore universitario di Roma, Luigi Macchiarelli. Secondo i pentiti, Aurelio Ghio ottenne la complicità di Luigi Macchiarelli e gli consegnò in pagamento 500 milioni di lire. Sempre secondo i pentiti, anche il procuratore Ciro Demma, che chiese l’assoluzione degli imputati, era sul libro paga della camorra.
Un’altra gravissima accusa fatta a Ghio dai pentiti fu quella di aver fornito più volte ai camorristi pistole, fucili e mitra. Nel gennaio 1995 Aurelio Ghio fu arrestato e messo in carcere preventivo, non saprei dire per quanto tempo. Il processo relativo si concluse solo nel giugno 2000: Ghio fu condannato a 9 anni di carcere, in quanto riconosciuto colpevole di associazione camorristica, detenzione abusiva di armi e corruzione in atti giudiziari. Non ho trovato notizie su un eventuale processo d’appello. Dato il pessimo funzionamento della giustizia in Italia, sospetto che i reati siano caduti in prescrizione e tutto sia finito nel nulla [D’Errico 1995; D’Errico 1995 (2) ; Travaglio; Camorra].
Pur non potendo addebitare a Frei ipotetiche colpe o crimini commessi da Ghio, sembra inevitabile dover sottolineare che oltre al lungo e profondo sodalizio che li ha abbinati, entrambi sono stati accomunati da sospetti e accuse di perizie affrettate o addirittura infedeli.
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APPENDICE 1
Elenco dei pollini sindonici di Frei.
Nell’elenco, presentato in ordine alfabetico, sono inseriti anche alcuni nomi usati come sinonimi da Frei e/o da altri studiosi, naturalmente essi sono senza numero progressivo e rimandano al nome usato negli elenchi di Frei.
1.Acacia albida Delille,1813
2.Alnus glutinosa (Linneo) Gaertner,1790 [sin. Betula glutinosa Vill.]
3.Althaea officinalis Linneo,1753
4.Amaranthus lividus Linneo,1753 [sin. Amaranthus lividus DC.(Moquin-Tandol in De Candolle,1849)]
5.Ambrosia coronopifolia T. e G.
Amygdalus arabica Oliv. vedi: Prunus spartioides
6.Anabasis aphylla L.
7.Anemone coronaria L.
8.Artemisia herba-alba Asso
9.Atraphaxis spinosa L.
10.Bassia muricata Asch.
11.Capparis species
12.Carduus personata (Linneo) Jacquin
13.Carpinus betulus L
14.Cedrus libani Lk. [sin. Cedrus libanotica Lk.]
15.Cistus creticus L.
16.Corylus avellana L.
17.Cupressus sempervirens L.
18.Echinops glaberrimus DC.
19.Epimedium pubigerum DC.
20.Fagonia mollis Del.
21.Fagus sylvatica L.
22.Glaucium grandiflorum B. & H.
23.Gundelia tournefortii L.
24.Haloxylon persicum BG.
25.Haplophyllum tuberculatum Juss.
26.Helianthemum vesicarium Boiss.
27.Hyoscyamus aureus L.
28.Hyoscyamus reticulatus L.
29.Ixiolirion montanum Herb. [sin. Ixolirium montanum Herb.]
30.Juniperus oxycedrus L.
31.Laurus nobilis L.
32.Linum mucronatum Bert.
Lomelosia prolifera (L.) v. Scabiosa prolifera
33.Lythrum salicaria L.
34.Oligomeris subulata (Del.) Boiss.
35.Onosma orientalis L. (sin. Onosma syriacum Labill.)
36.Oryza sativa L.
37.Paliurus spina-christi Mill.
38.Peganum harmala L.
39.Phyllirea angustifolia (Linneo,1753)
40.Pinus halepensis L.
41.Pistacia lentiscus L.
42.Pistacia vera L.
43.Platanus orientalis L.
44.Poterium spinosum L. [sin. Sarcopterium spinosum (Linneo)]
45.Prosopis farcta Macbr. [Prosopis farcta (Banks & Solander ex Russell) J.F.Macbride. Sinonimi: Prosopis stephaniana (Bieb.) Kunth ex Sprengel; Mimosa farcta]
46.Prunus spartioides Spach. [sin. Amygdalus arabica]
47.Pteranthus dichotomus Forsk.
48.Reamuria hirtella Joub. et Sp.
49.Ricinus communis L.
50.Ridolfia segetum Moris
51.Roemeria hybrida (L.) DC.
52.Scabiosa prolifera (L.) Greuter & Burdet [sin. Lomelosa prolifera]
53.Scirpus triquetrus L.
54.Secale species [Secondo Ghio 1986,tav.35, la specie di secale ritrovata da Frei sulla Sindone sarebbe Secale montanum]
55.Silene conoidea L.
56.Suaeda aegyptiaca Zoh.
57.Tamarix nilotica Bunge
58.Taxus baccata Yew. L.
59.Zygophyllum dumosum Boiss.
60.Polline molto bello, non classificato