La bufala del pollice flesso
di Gaetano Ciccone ( [email protected] )
1 - Una delle leggende sindoniche più diffuse in questi ultimi decenni, si basa sull’idea che nell’impronta sindonica non si vedono i pollici perché essi sono in flessione forzata e in opposizione alle altre dita, quindi sono completamente nascosti dalle altre dita. Questo fatto viene spiegato dai sindonologi con l’esistenza, nell’Uomo della Sindone, di una lesione al nervo mediano in corrispondenza del polso. Tale supposta lesione avrebbe provocato una contrazione del muscolo flessore del pollice. Naturalmente essa è attribuita ai chiodi che avrebbero attraversato i polsi dell’Uomo della Sindone. L’assenza dei pollici nell’impronta sindonica è quindi considerata una delle principali prove dell’autenticità della Sindone, non essendo concepibile che un artista medievale abbia potuto riprodurre un particolare che presuppone conoscenze specifiche sulle tecniche di crocifissione, sull’anatomia umana e sull’innervazione degli arti.
Esiste, ovviamente, un’altra spiegazione, banale, che giustifica l’assenza dei pollici: l’impronta sindonica rappresenta il contatto tra un corpo supino e un telo steso sopra. In un corpo supino rilassato, normalmente, i pollici sono situati in un piano più basso rispetto alle altre dita e non vengono a contatto con il lezuolo steso sopra.
2 - L’ultimo libro, in ordine di tempo, in cui ho trovato ripetuta acriticamente la supposta ‘prova del pollice flesso’ è un volume della dottoressa Barbara Frale, archivista del Vaticano e autrice di testi storici. Così la Frale, riferisce questo particolare:
«[nella sindone] il pollice è ripiegato in dentro (dunque invisibile) per via della lesione provocata dal chiodo al
nervo mediano» [1, p.151].
Questa affermazione è per l'Autrice talmente scontata, che non cita l’autorità di nessun altro autore in proposito. Vedremo adesso, invece, che si tratta di una teoria del tutto infondata.
È intuitivo, per chi guarda la Sindone, che le macchie rosse in corrispondenza delle estremità degli arti, superiori e inferiori, rappresentino il sangue fuoriuscito dai fori dei chiodi. Dato però che gli arti superiori sono raffigurati in modo eccessivamente deformato e dato che le macchie stesse sono grandi rispetto alle dimensioni degli arti, non è affatto chiaro in quale punto preciso dell’arto il chiodo sarebbe stato conficcato.
Fig.1. Immagine della Sindone, particolare delle mani.
Esaminiamo in particolare le mani (Fig.1) : la mano sinistra è sovrapposta alla destra e copre completamente il polso e il dorso della mano destra. L’unica macchia di sangue visibile, quindi è quella posta verso l’estremità dell’arto superiore sinistro. Ma braccia e mani dell’Uomo della Sindone sono così strette e allungate da far apparire la figura deforme e grottesca. D’altro canto la macchia di sangue è così vasta che copre la parte distale dell’avambraccio sinistro, il polso e la parte iniziale del dorso della mano. Intuire dove potesse essere il foro di uscita del chiodo, all’interno della macchia o ai suoi margini, è un’operazione attuabile non con la vista ma solo con la fantasia.
3 - Così elucubrava in proposito Pierluigi Baima Bollone, illustre anatomopatologo e ancora più illustre sindonista, in un suo volume del 1998:
«Infatti le mani dell’uomo della Sindone non mostrano il pollice, perchè questo è flesso all’interno del palmo.
Ora, un chiodo che penetri al centro dello “spazio di Destot” va a cadere sul nervo mediano, vale a dire
proprio quella struttura che innerva il muscolo flessore del pollice. È ovvio pertanto che la
stimolazione traumatica del mediano può produrre l’opposizione completa del pollice, vale a dire
il suo ripiegamento all’interno del palmo, e giustificare l’assenza sulle immagini della Sindone».
[2, p.133].
Questa ipotesi non è un’idea originale di Baima Bollone, ma è ripresa dagli studi del medico Pierre Barbet, risalenti al 1937. Scriveva infatti Barbet, nel 1950, che provando a inserire un grosso chiodo nel polso di un arto amputato, immancabilmente il chiodo andava a finire nello ‘Spazio di Destot’:
«Le clou est entré dans l’espace de Destot; il a écarté, sans en briser un seul, les quatre os qui le
bornent, se contentant de l’élargir à sa taille» [3, p.134].
Subito dopo Barbet spiega che la lesione del nervo mediano provocata dal chiodo inserito nello ‘Spazio di Destot’ causa la contrattura permanente dei muscoli flessori del pollice:
«La contraction de ces muscles thénarien [flessori del pollice], encore vivant comme leur nerve
moteur, s’expliquait facilement par excitation mécanique du nerf médian. Le Christ a donc dü
mourir et se fixer dans la rigidité cadavérique, avec les pouces opposés dans les paumes.
Et voilà pourquoi, sur le Linceul, les deux mains vues d’en arrière ne presentent
que quatre doigts, pourqoi les deux pouces sont caches dans les paumes.» [3, p.136].
Lo ‘Spazio di Destot’ è situato sul margine interno del polso, dal lato del mignolo per intenderci, e non è per niente agevole pensare di conficcarvi un chiodo grosso, che debba poi sostenere il peso del corpo. Infatti è uno spazio minimo, più virtuale che reale; si trova racchiuso tra alcune ossa del polso, cioè tra l’osso semilunare (lunatum), il piramidale (triquetrum), l’uncinato (hamatum) e il capitato (capitatum, ‘grand os’ nel testo di Barbet). Nella Fig. 2 vediamo la raffigurazione fornita dallo stesso Barbet del polso con la localizzazione dello ‘Spazio di Destot’.
Esaminiamo in particolare le mani (Fig.1) : la mano sinistra è sovrapposta alla destra e copre completamente il polso e il dorso della mano destra. L’unica macchia di sangue visibile, quindi è quella posta verso l’estremità dell’arto superiore sinistro. Ma braccia e mani dell’Uomo della Sindone sono così strette e allungate da far apparire la figura deforme e grottesca. D’altro canto la macchia di sangue è così vasta che copre la parte distale dell’avambraccio sinistro, il polso e la parte iniziale del dorso della mano. Intuire dove potesse essere il foro di uscita del chiodo, all’interno della macchia o ai suoi margini, è un’operazione attuabile non con la vista ma solo con la fantasia.
3 - Così elucubrava in proposito Pierluigi Baima Bollone, illustre anatomopatologo e ancora più illustre sindonista, in un suo volume del 1998:
«Infatti le mani dell’uomo della Sindone non mostrano il pollice, perchè questo è flesso all’interno del palmo.
Ora, un chiodo che penetri al centro dello “spazio di Destot” va a cadere sul nervo mediano, vale a dire
proprio quella struttura che innerva il muscolo flessore del pollice. È ovvio pertanto che la
stimolazione traumatica del mediano può produrre l’opposizione completa del pollice, vale a dire
il suo ripiegamento all’interno del palmo, e giustificare l’assenza sulle immagini della Sindone».
[2, p.133].
Questa ipotesi non è un’idea originale di Baima Bollone, ma è ripresa dagli studi del medico Pierre Barbet, risalenti al 1937. Scriveva infatti Barbet, nel 1950, che provando a inserire un grosso chiodo nel polso di un arto amputato, immancabilmente il chiodo andava a finire nello ‘Spazio di Destot’:
«Le clou est entré dans l’espace de Destot; il a écarté, sans en briser un seul, les quatre os qui le
bornent, se contentant de l’élargir à sa taille» [3, p.134].
Subito dopo Barbet spiega che la lesione del nervo mediano provocata dal chiodo inserito nello ‘Spazio di Destot’ causa la contrattura permanente dei muscoli flessori del pollice:
«La contraction de ces muscles thénarien [flessori del pollice], encore vivant comme leur nerve
moteur, s’expliquait facilement par excitation mécanique du nerf médian. Le Christ a donc dü
mourir et se fixer dans la rigidité cadavérique, avec les pouces opposés dans les paumes.
Et voilà pourquoi, sur le Linceul, les deux mains vues d’en arrière ne presentent
que quatre doigts, pourqoi les deux pouces sont caches dans les paumes.» [3, p.136].
Lo ‘Spazio di Destot’ è situato sul margine interno del polso, dal lato del mignolo per intenderci, e non è per niente agevole pensare di conficcarvi un chiodo grosso, che debba poi sostenere il peso del corpo. Infatti è uno spazio minimo, più virtuale che reale; si trova racchiuso tra alcune ossa del polso, cioè tra l’osso semilunare (lunatum), il piramidale (triquetrum), l’uncinato (hamatum) e il capitato (capitatum, ‘grand os’ nel testo di Barbet). Nella Fig. 2 vediamo la raffigurazione fornita dallo stesso Barbet del polso con la localizzazione dello ‘Spazio di Destot’.
In un comune atlante di anatomia umana, esso, pur rappresentato, non è mai indicato con alcun nome specifico; il nome si ritrova solo in qualche testo di anatomia francese. La figura 3 e è tratta dal mio vecchio atlante di anatomia [4], che riporta i nomi di tutte le ossa del polso e non il nome dello ‘Spazio di Destot’. La figura 4 è la stessa, nella quale io stesso ho aggiunto il riferimento a questo ‘Spazio di Destot’.Lo si può vedere anche nel disegno riportato dallo stesso Baima Bollone (Fig. 5) , che aggiunge il percorso del nervo mediano, secondo lui, e la posizione del supposto chiodo piantato nel polso.
Fig. 5. Schema del polso con percorso del nervo mediano,
secondo Baima Bollone
4 - Perché i sindonisti si affannano tanto a cercare uno spazio tra le ossa per porre il loro immaginario chiodo della crocifissione? Non sarebbe più semplice supporre un chiodo che perfora un qualche osso e quindi può assicurare una salda presa in grado di sopportare anche un forte peso? Questa ricerca è imposta da un brano dei vangeli [Gv 19,34] che recita: «Non gli romperete alcun osso», equiparando Gesù Cristo all’agnello del rito pasquale ebraico. Per un buon cristiano, immaginarsi un osso di Gesù rotto, forato o semplicemente scheggiato è inaccettabile, quasi una bestemmia.
5 - Sfortunatamente per Baima Bollone, quello che lui indica come ‘Spazio di Destot’ è pressocchè inesistente, più virtuale che altro. Noi sappiamo, dall’unico esempio archeologico che ci è rimasto e come anche suggerisce la logica, che i chiodi usati per crocifiggere erano lunghi più di 10 cm e larghi, sotto la capocchia, 1 cm e più. Un chiodo del genere, conficcato in qualunque punto del polso, romperebbe sicuramente uno o più ossa.
Peraltro lo ‘Spazio di Destot’ è spostato verso il margine interno del polso, dal lato dell’ulna e del mignolo, e non si riesce a capire come un chiodo, infisso lì, possa interessare il nervo mediano, che passa invece al di sopra del radio, dal lato del pollice.
Sconfessato da un articolo di Frederick T. Zugibe [5], Baima Bollone si è corretto nel successivo libro sull’argomento, datato al 2006:
«Recentemente, il coroner statunitense Zugibe ha osservato che l’ipotesi della penetrazione del
chiodo nello spazio di Destot non è compatibile con quanto si osserva alla radice del dorso
della mano dell’Uomo della Sindone, ove la ferita appare sul lato radiale (del pollice cioè)
mentre lo spazio di Destot si trova sull’opposto versante ulnare, vale a dire
sull’asse del mignolo. Inoltre l’infissione del chiodo in tale sede non è in grado di ledere
il nervo mediano. Infatti esso decorre ben distante, dal lato radiale e lungo l’eminenza tenar
del pollice» [6, pp.238-9].
Sembra impossibile che un anatomopatologo italiano nel 1998, anno in cui Baima Bollone ha scritto la prima delle frasi sopra riportate, anzi il più famoso anatomopatologo italiano, non conoscesse il tragitto del nervo mediano nell’avambraccio e nel polso e abbia dovuto attendere che un anatomopatologo americano glielo spiegasse. Oltretutto Baima Bollone ha scritto il suo ‘Sindone: la prova’, ben tre anni dopo che il lavoro di Zugibe era uscito in Italia e non ci si rende conto di come non lo avesse ancora letto, dato che era stato pubblicato nel numero di dicembre 1995 della rivista italiana Sindon, la più famosa rivista di sindonologia del mondo, curata dal Centro Internazionale di Sindonologia di Torino fin dal 1959.
Nel 2006 Baima Bollone, in accordo con Frederick Zugibe, conclude così:
«Tuttavia la mancanza dell’immagine del pollice nelle mani della Sindone non è dovuta alla
lesione del nervo mediano, perché incompatibile con il tramite del chiodo nell’attraversare
il polso, ma semplicemente per il fatto che tale dito nell’atteggiamento normale del
vivente e del cadavere è retroposto alle altre dita così che il tessuto non è venuto a
contatto con esso» [6, p.239].
6 - Altri aspetti della questione sono toccati nello stesso articolo di Zugibe, ma Baima Bollone trova opportuno sorvolare e non riconosce esplicitamente l’infondatezza delle proprie convinzioni precedenti. Infatti Zugibe afferma che la compressione e la lesione del nervo mediano non causano una contrattura dei muscoli innervati, come supposto da Barbet, Baima Bollone e altri sindonisti; causano invece parestesie (formicolio e intorpidimento), difficoltà nei movimenti fino all’impossibilità di movimento e soprattutto dolore.
Questo è un dato di fatto comune, che tutti abbiamo in parte sperimentato, provocandoci accidentalmente la compressione temporanea di qualche nervo: è il caso che volgarmente viene definito come ‘addormentatura’ di una parte del corpo. Tenendo presente che nessuno ha mai fatto esperimenti in vivo, e speriamo che non accada mai, purtroppo esiste una condizione patologica naturale in cui la compressione sul nervo mediano, all’altezza del polso, si verifica in maniera costante e ingravescente nel tempo: si tratta del bel noto fenomeno detto del ‘Tunnel carpale’. In questo caso le conseguenze della compressione patologica sul nervo mediano consistono in parestesie, dolori, difficoltà e impossibilità dei movimenti flessori delle prime tre dita della mano: pollice, indice e medio.
7 - Mentre la Frale, ultima arrivata nel campo dei sindonisti, sembra non essersi accorta che a proposito della ‘Prova del Pollice Flesso’ era necessaria maggiore prudenza, un altro sindonologo, Giulio Fanti, ha provato a sostenere e negare la stessa affermazione, nello stesso tempo. Così infatti si esprime Fanti sul punto in questione:
«Nelle impronte delle mani non sono visibili i pollici: una spiegazione consiste nel fatto che
il chiodo, trapassando il polso, provocò la lesione del nervo mediano che, tra l’altro,
collega il muscolo flessore del pollice, determinandone il ripiegamento nel palmo della mano.
Con la rigidità cadaverica, i pollici continuarono a mantenere la loro posizione flessa e non
lasciarono le impronte sulla Sindone»,
aggiungendo in nota:
«Secondo F. Zugibe, la lesione del nervo mediano non avrebbe necessariamente
ripiegato il pollice» [7, p.317].
Come Zugibe spiega, invadendo con un chiodo lo ‘Spazio di Destot’ non si tocca affatto il nervo mediano, che è spostato verso il lato del pollice, ma piuttosto il nervo ulnare:
«In developing his hypothesis that the nail passed through Destot’s space, Barbet made his
serious anatomical error. He indicated that when he drove the nail through Destot’s space,
anywhere from one half to two thirds of the trunk of the median nerve was severed.
If the nail passed through the Destot’s space, the trunk of the median nerve would not be
severed because anatomically, the trunk of the median nerve runs along the wrist on
the radial (thumb) side of the wrist and along the thenar furrow into the palm» [8, p.62].
Inoltre la lesione del nervo mediano, spiega Zugibe, non fa ripiegare il pollice ma causa una grave sindrome, chiamata ‘causalgia’ e descritta dai medici americani fin dal 1864, ai tempi della Guerra di Secessione: alla immediata perdita delle funzioni motorie e sensitive, si aggiunge una sintomatologia dolorosa, caratterizzata da forte dolori urenti, che può insorgere subito o anche qualche tempo dopo la lesione [8, p.69].
Solo ignorando tutta la letteratura in proposito o fingendo di ignorarla, si può considerare valida la teoria della lesione del nervo mediano, meglio nota, ormai, come ‘Bufala del Pollice Flesso’.
Note bibliografiche:
1 - Barbara Frale, I Templari e la sindone di Cristo, Il Mulino, Bologna 2009.
2 - Baima Bollone, Sindone: la prova, Arnoldo Mondadori (Ingrandimenti), Milano 1998; 2a ediz.: Arnoldo Mondadori
(Oscar Nuovi Misteri), Milano 1999.
3 - Pierre Barbet, La passion de N.-S. Jésus Christ selon le chirurgien, Dillen, Paris 1950,
4 - Johannes Sobotta, Atlante di anatomia descrittiva, Vol. I, Genova 1966.
5 - Frederick T. Zugibe, Pierre Barbet revisited, Sindon, nuova serie n.8, dicembre 1995.
6 - Pierluigi Baima Bollone, Il mistero della Sindone, Priuli & Verlucca, Scarmagno (TO) 2006.
7 - Giulio Fanti, La Sindone una sfida alla scienza moderna, Aracne, Roma 2008.
8 - Frederick T. Zugibe, The Cross and the Shroud, Revised edition, Paragon House, New York 1988.