Note Fraliche 1. Commento a Barbara Frale, La sindone e il ritratto di Cristo
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010. 184 pp.
di Gaetano Ciccone (6 maggio 2010).
La Frale ne ha combinata un’altra. In pochi mesi ha scritto un nuovo libro. Come ha fatto? Semplice, ha scritto senza badare a quel che scriveva e senza tener conto delle fonti. Facciamo un esempio. Il secondo capitolo è intitolato “Il misterioso telo di Anablatha” (pp.15-19). In esso si racconta una storia, già nota a tutti gli appassionati del settore, che tratta del più antico esempio di un tessuto con l’immagine intera di Gesù (forse). Per raccontare il fatto, l’Autrice cita un brano della lettera di Epifanio vescovo di Salamina indirizzata a Giovanni vescovo di Gerusalemme, scritta verso la fine del IV secolo, che è la fonte unica per questo episodio. Ecco il testo in questione così come ci è rimasto:
«Praeterea – quia audiui quosdam murmurare contra me – quando simul pergebamus ad sanctum locum qui uocatur Bethel, ut ibi collectam tecum ex more ecclesiastico facerem, et uenissem ad uillam quae dicitur Anablata, uidissemque ibi praeteriens lucernam ardentem et interrogassem qui locus esset, didicissemque esse ecclesiam, et intrassem ut orarem, inueni ibi uelum pendens in foribus eiusdem ecclesiae tinctum atque depictum, et habens imaginem quasi Christi vel sancti cuiusdam; non enim satis memini cuius imago fuerit. Cum ergo hoc vidissem, in ecclesia Christi contra auctoritatem scripturarum hominis pendere imaginem, scidi illud, et magis dedi consilium custodibus eiusdem loci ut pauperem mortuum eo obuoluerent et efferrent. Illique contra murmurantes dicere: ‘si scindere uoluerat, iustum erat ut aliud daret uelum atque mutaret’. Quod cum audissem, me daturum esse pollicitus sum et illico esse missurum» [1].
Ecco (a sinistra) la traduzione fornita da Frale e a fianco quella che è una traduzione accettabile:
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010. 184 pp.
di Gaetano Ciccone (6 maggio 2010).
La Frale ne ha combinata un’altra. In pochi mesi ha scritto un nuovo libro. Come ha fatto? Semplice, ha scritto senza badare a quel che scriveva e senza tener conto delle fonti. Facciamo un esempio. Il secondo capitolo è intitolato “Il misterioso telo di Anablatha” (pp.15-19). In esso si racconta una storia, già nota a tutti gli appassionati del settore, che tratta del più antico esempio di un tessuto con l’immagine intera di Gesù (forse). Per raccontare il fatto, l’Autrice cita un brano della lettera di Epifanio vescovo di Salamina indirizzata a Giovanni vescovo di Gerusalemme, scritta verso la fine del IV secolo, che è la fonte unica per questo episodio. Ecco il testo in questione così come ci è rimasto:
«Praeterea – quia audiui quosdam murmurare contra me – quando simul pergebamus ad sanctum locum qui uocatur Bethel, ut ibi collectam tecum ex more ecclesiastico facerem, et uenissem ad uillam quae dicitur Anablata, uidissemque ibi praeteriens lucernam ardentem et interrogassem qui locus esset, didicissemque esse ecclesiam, et intrassem ut orarem, inueni ibi uelum pendens in foribus eiusdem ecclesiae tinctum atque depictum, et habens imaginem quasi Christi vel sancti cuiusdam; non enim satis memini cuius imago fuerit. Cum ergo hoc vidissem, in ecclesia Christi contra auctoritatem scripturarum hominis pendere imaginem, scidi illud, et magis dedi consilium custodibus eiusdem loci ut pauperem mortuum eo obuoluerent et efferrent. Illique contra murmurantes dicere: ‘si scindere uoluerat, iustum erat ut aliud daret uelum atque mutaret’. Quod cum audissem, me daturum esse pollicitus sum et illico esse missurum» [1].
Ecco (a sinistra) la traduzione fornita da Frale e a fianco quella che è una traduzione accettabile:
Dopo essermi avvicinato vidi una lucerna accesa, così domandai che luogo fosse quello. Mi dissero che era una chiesa, allora decisi di entrare per pregare: trovai che lì dentro avevano appeso presso la porta un lungo telo tinto e dipinto che portava l’immagine di un uomo a somiglianza di Cristo oppure di qualche santo: però non ricordo con precisione. Non appena la vidi mi arrabbiai molto, constatando che dentro una chiesa era stata appesa l’immagine di un uomo contro l’autorità delle Sacre Scritture; così tirai giù quel telo e consigliai caldamente ai custodi di dare quel panno in beneficienza perché fosse usato per avvolgere e seppellire il cadavere di qualche defunto povero. |
Inoltre ho udito certuni mormorare contro di me a proposito di un episodio accaduto quando ci dirigevamo entrambi al santo luogo chiamato Bethel, per fare una riunione di preghiera insieme a te, secondo l’usanza della chiesa. Quando sono arrivato ad un paese chiamato Anablata, passando ho visto una lucerna accesa e ho domandato che posto fosse quello. Saputo che era una chiesa, sono entrato per pregare e ho trovato un velo appeso all’entrata di quella chiesa, colorato e con una figura dipinta: c’era l’immagine forse di Cristo oppure di un santo, non ricordo bene che immagine fosse. Appena ho visto che in una chiesa di Cristo, contro le disposizioni delle scritture, era esposta l’immagine di un uomo, l’ho strappata. Inoltre ho consigliato ai responsabili del luogo di avvolgere in quel telo un morto povero, per sotterrarlo [2]. |
Notiamo alcune differenze: ‘Un velo appeso all’ingresso’ (velum pendens in foribus eiusdem ecclesiae), che quindi ha la funzione di tenda, diventa per la Frale ‘un telo appeso presso la porta’. A prima vista questa sembra un’alterazione del testo priva di significato. Invece un significato potrebbe averlo. La Frale vuole paragonare questo Velo di Anablata alla Sindone di Torino, seminando anche, quasi senza essere notata, il sospetto che potesse trattarsi proprio della Sindone di Torino: perciò ha necessità di eliminare dal racconto tutto ciò che sarebbe in contrasto con la sacralità della Sindone di Torino: usarlo come tenda di ingresso, che tutti coloro che entrano ed escono devono scostare con le mani, non depone per un profondo rispetto sacrale verso tale oggetto. Perciò la Frale ha tolto il Velo di Anablata dalla porta e l’ha posto ‘appeso presso la porta’.
L’Autrice poi cambia il verbo usato dal vescovo Epifanio ‘l’ho strappato’ con la formula più generica ‘tirai giù quel telo’. È chiaro che strapparlo è un gesto veramente irriguardoso per un telo simile alla Sindone di Torino e che esclude definitivamente il sospetto che possa trattarsi precisamente dello stesso telo.
Infine la Frale omette la conclusione del racconto con l’impegno del vescovo Epifanio a risarcire la chiesa inviandole un altro telo in cambio, cosa che può avere un senso solo dopo che il primo è stato lacerato e non aveva senso invece se era stato semplicemente ‘tirato giù’. L’idea di usare il telo per avvolgere un defunto, nel racconto del vescovo, giunge dopo che esso era stato strappato e proprio perché era stato strappato. Nel libro della Frale il paragone con un telo funebre viene fuori invece dal fatto che si tratta di un telo con la figura intera di Gesù. L’accostamento tra Velo di Anablata e Sindone di Torimo spiegherebbe anche il titolo del capitolo: nessuno infatti finora aveva sospettato che il Velo di Anablata fosse ‘misterioso’, l’ha scoperto la Frale, avvicinandolo (molto) alla Sindone di Torino, oggetto misterioso per antonomasia.
Le intenzioni della Frale, infatti, si palesano dopo poche pagine (pag.32), quando improvvisamente ritorna sull’argomento del Velo di Anablata e dice che non ci sono prove che esso fosse proprio la Sindone di Torino, ma almeno era una sua copia o una sua ricostruzione. Come se nel suo scritto avesse portato non dico una prova, ma almeno un’indizio della rassomiglianza fra i due oggetti. Anzi sembra essersi dimenticata che il Velo di Anablata era stato descritto come colorato e non bianco, e recante un’immagine dipinta.
[1] Il testo latino citato dalla Frale è quello edito a Verona nel XVIII secolo a cura di Domenico Vallarsi, ristampato poi in Patrologia graeca, vol. 43, Paris 1864, col.390. L’Autrice sembra non conoscere le edizioni successive del testo: quella curata da Jérôme Labourt per le edizioni ‘Les Belles Lettres’ (Saint Jérôme, Lettres. Tome II, Paris 1951, p. 171), e quella dell’edizione CSEL vol. 54, p.411 (HIERONYMUS, Epistulae 1-70, cur. I. Hilberg, Paris 1910/1918; editio altera supplementis aucta, Paris 1996).
[2] La traduzione italiana è ripresa da G. Ciccone & C. Sturmann Ciccone, La Sindone svelata e i quaranta sudari, Casa Editrice Donnino, Livorno 2006, p.175. Una traduzione francese è reperibile presso la citata edizione Les belles Lettres e una traduzione inglese si trova in
http://www.ccel.org/ccel/schaff/npnf206.v.LI.html.
Entrambe sono sovrapponibili alla traduzione italiana qui presentata.