Gli inganni di Barbara Frale
(1) Disinformazione sul radiocarbonio
di Gian Marco Rinaldi
Nel suo ultimo libro (I Templari e la sindone di Cristo, Il Mulino 2009), ogni volta che parla della Sindone, Barbara Frale fornisce informazioni false o assurde o comunque fuorvianti. Naturalmente non posso dire se la Frale sia in buona fede oppure no, ma devo confessare che, a mio giudizio personale, riterrei meno offensiva per lei l'ipotesi della malafede. Se crede davvero a quello che dice, allora, sempre secondo me, la situazione è preoccupante.
Comunque sia, il lettore rimane ingannato, sia che gli inganni siano intenzionali o involontari, perché è indotto a formarsi un'opinione del tutto errata sulle vicende e i problemi relativi alla Sindone. Crediamo utile segnalare alcuni esempi in questa e in successive puntate.
Cominciamo esaminando le quattro paginette (pp. 156-60) dedicate al metodo di datazione col radiocarbonio. La Frale cerca di dimostrare che il risultato medievale della datazione della Sindone non è valido. L'informazione che fornisce ai suoi lettori è del tutto fuorviante. In così poche pagine, non poteva fare di peggio. Consideriamo alcuni punti.
Il campione a peso doppio
Parlando dei campioni prelevati nel 1988 per la datazione, la Frale scrive (p. 159):
«Il peso specifico dei campioni prelevati (300 mg) era quasi il doppio rispetto al peso specifico della sindone
per quella superficie (161 mg), mentre trattandosi dello stesso telo doveva essere praticamente identico.»
Questo è vergognosamente falso. È più che certo che il campione aveva il peso che doveva avere. I pesi e le misure di quel lembo che fu tagliato e dei vari pezzetti in cui fu ulteriormente suddiviso sono stati discussi e ridiscussi nei minimi dettagli. I pesi sono noti al milligrammo. Le superfici sono note con buona approssimazione e si possono controllare sulle fotografie.
La Frale parla di un peso (che è totale, non specifico come dice lei) di 300 mg. È vero che il lembo asportato (dopo tolti i bordi) pesava 300 mg. Ma quel lembo fu tagliato in due parti e solo una metà, cioè circa 150 mg, fu suddivisa nei frammenti distribuiti ai laboratori. L'altra metà è stata conservata come “campione di riserva” e dovrebbe trovarsi tuttora a Torino (o almeno si spera). Questo lo sanno tutti quelli che hanno una minima conoscenza delle vicende della datazione. Solo la Frale non lo sa (se vogliamo concederglielo) e crede che il peso dei campioni distribuiti ai laboratori assommasse a 300 mg.
Quanto al numero 161, suppongo che lo abbia trovato moltiplicando la superficie di 7 cmq per la densità di 23 mg/cmq. Il valore di 7 cmq è una stima della superficie, in cifra tonda, per la somma dei campioni distribuiti ai laboratori. Il valore di 23 mg/cmq è una stima per la densità di superficie media del lenzuolo. Ci si chiede come abbia fatto la Frale a reperire questi numeri e a non accorgersi che i 7 cmq si riferiscono a 150 mg o poco più, non a 300 mg.
Se la Frale non si fida di noi, forse si fiderà di questa pagina di Wikipedia (che dal contenuto non è ostile alla Sindone):
http://it.wikipedia.org/wiki/Esame_del_Carbonio_14_sulla_Sindone
«Mentre il protocollo prevedeva il taglio di un campione di circa 1x7 cm, su proposta di Testore si decise
invece sul momento di prelevare un campione di dimensione circa doppia e di conservarne metà in un
contenitore sigillato, in modo da far fronte ad eventuali successive richieste di tessuto. Venne quindi tagliato
un lembo di tessuto di circa 81x21 mm, dal quale venne quindi scartata una striscia spessa circa 5 mm,
in quanto conteneva fili colorati di incerta provenienza. Il rimanente campione di circa 81x16 mm, il cui
peso fu misurato in 300 milligrammi, fu dapprima diviso in due parti approssimativamente uguali, e infine
una delle due fu ulteriormente divisa in tre parti (pesanti circa 50 mg l'una) che costituirono i campioni
da consegnare ai laboratori.»
Se la Frale vuol provare a dividere 300 per 8,1 e ancora per 1,6, trova il valore di 23,15 mg/cmq, molto vicino a quei 23 da lei ipotizzati.
Il lettore che credesse all'affermazione della Frale sarebbe indotto a pensare che nell'operazione del prelievo ci fu una grave irregolarità o peggio un imbroglio (una sostituzione del campione? un macroscopico rattoppo?). Dovrebbe concludere che il campione sottoposto a test non era rappresentativo del lenzuolo della Sindone e che il risultato della datazione è da considerare privo di valore. Se questo non è un inganno...
Gli inquinamenti
La Frale cerca di convincere il lettore che per la Sindone c'è il rischio di una contaminazione che abbia alterato il risultato della datazione. Per esempio racconta la storia di un immaginario panno di cotone che viene riciclato per generazioni, poi viene tagliato per fare degli stracci e (p. 158):
«usato per pulire la casa, per rendere ermetico il tappo di una giara d'olio o magari come pannolino per
un neonato: ognuno di questi usi l'ha messo a contatto con altri essere viventi o altro materiale organico,
e ogni volta potrebbe essersi arricchito di C14 che non era suo.»
Già in apertura del libro (p. 8) dice che:
«molte voci si levarono a sottolineare che il radiocarbonio non avrebbe mai dato risultati affidabili se
applicato alla sindone di Torino, un reperto archeologico che ha subito numerosissime forme di
contaminazione e sulla storia del quale c'è ancora tanto da scoprire.»
In realtà la Sindone è pulita, se la confrontiamo con altri reperti normalmente sottoposti a datazione. Gli archeologi sarebbero ben contenti di avere sempre a che fare con reperti così puliti. I tipici reperti archeologici estratti dagli scavi sono rimasti per millenni sepolti nel terreno dove potevano essere in contatto con acqua, acido umico e prodotti di fermentazione di materiale biologico.
Il rischio di una contaminazione è sempre possibile e va tenuto ben presente, ma la Frale nasconde al lettore due informazioni essenziali. In primo luogo, non dice che l'eventuale sporcizia si può asportare. I laboratori attuano procedimenti di pulizia più o meno energici a seconda delle situazioni. Nel caso di un tessuto integro e ben conservato come il lenzuolo della Sindone, è possibile asportare la sporcizia totalmente o quasi. Ci sono invece altri tipi di reperto per cui la pulizia diventa difficile perché il carbonio aggiunto può essersi compenetrato nel materiale originario ed essere difficile da separare. Il caso tipico per i gravi rischi di inquinamento è quello dei reperti di osso che siano rimasti sepolti nel terreno, di cui vedremo un esempio più avanti.
La Frale scrive (p. 159):
«Ė un concetto molto semplice: un esame delle urine conservate in una provetta contaminata
non è valido. »
Il paragone con la provetta di urine non è valido. Se sciolgo una sostanza estranea nelle urine, il laboratorio non potrà isolarla ed eliminarla, salvo circostanze particolari. Ma se sporco un telo, il laboratorio lo può pulire.
È ancora più grave la seconda omissione della Frale, che non dice quale sarebbe la quantità di contaminante necessaria per spostare al 1300 l'apparente data di un reperto del 30 d.C. Non dice che la quantità dovrebbe essere ingente, in pratica dovrebbe esserci più inquinante che lino. Per una contaminazione di carbonio degli ultimi secoli, la quantità di contaminante dovrebbe essere il doppio, il triplo, il quadruplo del peso originario del lenzuolo, a seconda dell'epoca della contaminazione. Più andiamo indietro nel tempo, maggiore diventa la quantità di contaminante necessaria. Per una contaminazione avvenuta nel 1300, occorrerebbe il cento per cento di contaminante. È ovvio che quantità così ingenti di sporcizia sarebbero immediatamente visibili. E si noti che dovrebbe trattarsi degli inquinanti ancora presenti dopo la pulizia del campione. La cosa è del tutto inverosimile, ma il lettore che non abbia già qualche conoscenza sul metodo del radiocarbonio potrebbe pensare che basti una minima quantità di inquinante per spostare la data e rimarrebbe facilmente ingannato dal discorso della Frale sul rischio di inquinamenti.
E per una contaminazione anteriore al 1300? Qui la Frale entra nel paradosso e non se ne accorge.
Inquinamento pre-1300
Forse la Frale si rende conto che durante gli ultimi secoli il telo della Sindone non è stato usato come pannolino o come tappo di una giara d'olio, e allora si rifugia in secoli più remoti. Infatti dice (p. 159-60):
«Gran parte della storia della sindone è ancora sconosciuta, non abbiamo idea di quali contaminazioni
può aver subito mentre sapere attraverso quali manipolazioni è passato un reperto si rivela di vitale
importanza per eseguire un test di radiodatazione affidabile. [...] Conosciamo in dettaglio la storia
della sindone solo per gli ultimi 650 anni circa: dentro il suo passato stanno nascoste talmente
tante variabili che l'uso del radiocarbonio sembra essere ancora inadatto.»
Dicendo che “gran parte della storia della sindone è ancora sconosciuta”, si riferisce ai primi tredici secoli dell'era cristiana, quando in realtà la Sindone non c'era ancora. Sarebbe difficile per la Sindone essersi inquinata quando non esisteva, ma proviamo a ipotizzare che esistesse fin dal primo secolo per vedere che cosa succederebbe con un inquinamento anteriore al 1300, cioè anteriore alla data che è risultata al C14.
Se per esempio la Sindone, supposta del primo secolo, fu contaminata nel nono secolo, allora una datazione darebbe un risultato fra il primo secolo (con zero contaminazione) e il nono secolo (con cento per cento contaminazione) ma non si potrebbe mai arrivare a una data del 1300. Non solo, maggiore è la quantità di contaminante anteriore al 1300, maggiore sarà la quantità di ulteriore contaminante recente da aggiungere per portare la data al 1300. Quanto contaminante sarà alla fine necessario? Se la Frale non si rende conto dell'assurdità, allora non conosce l'abc della radiodatazione.
Tutto questo per una contaminazione da carbonio organico che abbia la stessa percentuale di isotopo 14 come presente nell'atmosfera dell'epoca. Se invece la contaminazione fosse da carbonio minerale o fossile, privo dell'isotopo 14, la data si sposterebbe all'indietro e potrebbe arrivare ai secoli prima di Cristo. Per contro, una contaminazione organica avvenuta durante gli anni 1960 o 1970 avrebbe un notevole effetto di ringiovanimento a causa del C14 prodotto nell'atmosfera dalle esplosioni nucleari, ma durante quegli anni la Sindone era accuratamente conservata nel suo scrigno e nessuno si aspetta che subisse inquinamenti.
Comunità scientifica internazionale
La Frale cerca di far credere che nel 1988 la tecnica della datazione non era ancora abbastanza affidabile. Scrive a p. 159:
«Oggi la comunità scientifica internazionale è più propensa a credere che se vi furono errori
[nella datazione della Sindone], ciò accadde perché la tecnologia scelta era ancora immatura
per datare un oggetto tanto complesso.»
Va intanto precisato che cosa intende la Frale per “comunità scientifica internazionale”. Oggi sono in funzione nel mondo circa 150 o più laboratori di datazione al radiocarbonio altamente qualificati, parte dei quali col metodo AMS. Ciascun laboratorio ha diversi specialisti nello staff, quindi in totale ci sono nell'ordine del migliaio di professionisti del ramo. Quelli hanno titolo per essere considerati una comunità scientifica internazionale per quanto riguarda il C14. Nessuno di loro ha mai messo in dubbio la datazione della Sindone.
La “comunità scientifica internazionale” a cui si riferisce la Frale è quella conventicola di fanatici della Sindone di cui lei stessa entra a far parte a pieno titolo con questo suo libro, ed è tanto scientifica quanto è “scientifico” appunto il libro.
Nel 1988 il metodo AMS era ancora giovane ma si dimostrava già affidabile. Se la datazione venisse ripetuta oggi, si potrebbe contare su una precisione un po' migliore (e si potrebbero datare campioni ancora più piccoli), ma niente cambierebbe di sostanziale. La precisione di allora era già più che sufficiente per scartare una data al primo secolo e per provare una data al tardo medioevo.
Il sito di Jarmo
La Frale cerca di screditare in generale il metodo del radiocarbonio portando tre esempi di datazioni errate. Il primo è quello del sito di Jarmo (Iraq settentrionale) (p. 158):
«Agli esperti del settore sono noti casi famosi di datazioni con il C14 che portarono a risultati paradossali,
persino ridicoli: ad esempio il sito preistorico di Jarmo sottoposto alla prova quattro volte ha dato quattro
risultati diversi, ovvero il 4700 a.C. poi invece il 10000, il 7000 e infine il 6000 a.C.»
La Frale non ha fatto una buona scelta prendendo di mira Robert Braidwood (1907-2003), un pioniere dell'archeologia preistorica che a Jarmo impiegò metodi di indagine innovativi e sviluppò gli importanti studi sul passaggio dei nostri antenati dal nomadismo all'agricoltura e allevamento. Sì, in uno dei primi articoli su Jarmo scrisse che per gli strati più antichi del sito un campione di conchiglie (fra l'altro un materiale particolare per la radiodatazione) diede una data al 4750 a.C., ma subito aggiungeva che successive datazioni su resti di legna carbonizzata avevano dato un'età più vecchia e che una stima al 6750 a.C. era più probabile. Apportando un paio di correzioni che ancora erano ignorate, si va indietro di qualche secolo a prima del 7000 a.C., ed è l'epoca oggi ritenuta giusta per i primi insediamenti. Non male se si considera la data a cui fu pubblicato quell'articolo: il 1950, quando si era ai primissimi tentativi di applicazione del metodo del C14.
Le campagne di scavi a Jarmo furono condotte fra il 1948 e il 1955. Proprio negli stessi anni Willard Libby sviluppava il metodo di datazione. Braidwood e Libby erano colleghi all'Università di Chicago e collaborarono fin dall'inizio. Ci si deve meravigliare se inizialmente ci fu qualche oscillazione nelle date? Non c'era ancora esperienza nel trattamento dei campioni (che erano rimasti per millenni sotto terra, se la Frale considera sporca la Sindone) e c'erano formidabili difficoltà da superare per la misurazione della quantità di isotopo radioattivo. Anche così, benché all'inizio le date fossero un po' incostanti, proprio Braidwood fu un promotore dell'uso del C14 e i risultati non tardarono ad arrivare. Il C14 diventò presto uno strumento essenziale per lo studio dei siti preistorici. Braidwood e Libby sono nomi di prima grandezza e la Frale farebbe bene a riservare ad altri gli appellativi di “paradossali, persino ridicoli” che usa per i loro risultati.
Ci si aspetta che la Frale sapesse che le datazioni di cui parla furono fatte quando il metodo di radiodatazione era appena nato. Se ha tenuto deliberatamente nascosta la cosa, allora ha avuto un comportamento disonesto. Oppure non sapeva niente di Jarmo (anche se le bastavano pochi minuti su internet per trovare le informazioni essenziali), ma allora perché parlarne?
La Frale è in degna compagnia perché i primi a denigrare l'opera di Braidwood nel sito di Jarmo furono i creazionisti di stretta osservanza e gli ultrafondamentalisti cristiani americani. Per loro il mondo ha 6000 anni e la preistoria non è mai esistita, quindi non potevano tollerare che Braidwood la studiasse.
La tibia di caribù
Di seguito, come secondo esempio di inaffidabilità del C14, la Frale scrive (p. 158):
«Alcuni arnesi primitivi in osso di caribù provenienti da Old Crown [sic] in Alaska sono stati analizzati
con questo metodo e ne è venuto fuori che risalivano a 27.000 anni fa; gli studiosi non erano per niente
convinti del risultato perché in base all'esame archeologico essi sembravano davvero di gran lunga più
recenti, così hanno indagato la questione più a fondo: si sono accorti che quella datazione veniva fuori
esaminando del materiale che stava nella parte esterna dell'osso, e una volta ripetuta la prova su
materiale nella parte interna (forse meno contaminata) il risultato è che gli arnesi risalivano a
1350 anni prima.»
Per la precisione, quel fiume si chiama Old Crow e non è in Alaska ma nel sia pur confinante Yukon canadese. L'osso in questione, quello con uno scarto così grande nella datazione, era uno solo.
Questo è un caso famoso. Una tibia di caribù, con segni di lavorazione umana, fu trovata nel 1966 nel bacino dell'Old Crow e fu inizialmente datata a 27.000 anni fa, cioè a un'età più antica rispetto ai più antichi insediamenti umani che fossero noti nel Nord America. Il problema era che fu datata la componente minerale dell'osso.
Ogni osso è costituito da una componente minerale e una componente organica. Allora, nel 1966, non lo si sapeva ancora con certezza, ma divenne presto noto che la parte minerale dell'osso, se è rimasta a lungo a contatto con l'acqua come può succedere per un reperto sepolto in un terreno umido o immerso in un fiume o in un lago, può essere facilmente inquinata dal carbonio portato dall'acqua. Il carbonio dell'acqua può provenire da rocce e avere un'età radiocarbonica infinita, quindi l'inquinamento invecchia l'apparente età del reperto. Quello fu un caso estremo con un invecchiamento molto forte.
Negli ultimi decenni sono stati condotti molti studi per cercare di estrarre e purificare il collagene della componente organica dei reperti ossei. La componente organica è ritenuta più sicura di quella minerale ma nemmeno essa è esente da rischi perché l'osso, s'intende l'osso estratto dal terreno, è un tipo di reperto ad alto rischio per la datazione.
Quella tibia di caribù fu datata di nuovo nel 1985 col metodo AMS dopo estrazione della componente organica. Il risultato fu che era vecchia di soli 1350 anni, in accordo con le stime che si potevano fare sulla base del tipo di lavorazione umana che l'osso aveva subìto.
Perché si aspettò tanto tempo prima di ripetere la datazione, sapendo che il primo risultato era sospetto? Intanto perché la maggior parte del reperto era stata impiegata per la prima datazione. Poi perché il collagene si degrada col tempo e può rimanerne molto poco di utilizzabile. Solo dopo l'avvento del metodo AMS all'inizio degli anni 1980 diventò possibile eseguire la datazione su una piccolissima quantità di collagene. Per inciso, gli anni 1980 e il metodo AMS sono quelli della datazione della Sindone che la Frale vuol mettere in dubbio.
La Frale utilizza questo esempio in modo fuorviante per il lettore. Se non spiega che si trattava di un reperto e di una situazione particolari, fa credere che simili rischi di errore ci fossero anche per la Sindone. La Sindone non è di osso e non è rimasta immersa nel terreno. E allora dov'è il problema?
Il terzo esempio di errore del C14 è quello del corno sull'elmo vichingo che abbiamo già raccontato in un altro articolo su questo sito.
Il rivestimento bioplastico
La Frale fornisce un altro motivo per non ritenere valida la datazione della Sindone (p. 160):
«Un esempio significativo [di inquinamento] è la presenza [sulla Sindone] di un rivestimento bioplastico
sulle fibre di lino dovuto all'azione di un batterio, che ha contaminato il campione e può benissimo
aver «ringiovanito» il lino apportando molto C14 che non c'entrava nulla con la sindone. Il rivestimento
bioplastico è stato scoperto diversi anni dopo il test del 1988 e ovviamente in quella prova la sua
presenza – e la contaminazione dovuta a esso – non furono messi in conto.»
Si riferisce alla teoria del “rivestimento bioplastico” proposta nel 1993 da Leoncio Garza-Valdes, un personaggio che abbiamo cominciato a conoscere in altra pagina del sito e probabilmente torneremo a incontrare.
Evidentemente la Frale accetta la tesi di Garza-Valdes e si suppone che la conosca. Vediamo allora a che cos'è che crede. Consideriamo uno solo dei diversi aspetti paradossali di quella teoria.
Garza-Valdes dice che sulla Sindone c'è una quantità di plastica pari a oltre il 60 per cento dell'attuale peso del lenzuolo. Significa che l'attuale lenzuolo è fatto per due terzi di plastica e per un terzo di lino. Ovvero significa che il peso del lenzuolo originario si è triplicato per l'aggiunta della plastica.
Garza-Valdes deve pensare che di plastica ce ne sia così tanta perché tanta è la quantità di carbonio moderno che bisognerebbe aggiungere per spostare la data di tredici secoli. Supponiamo allora che la plastica si sia aggiunta durante l'ultimo secolo. Se per l'ostensione del 1898 il lenzuolo pesava un chilo, allora per l'ostensione del 1931 pesava due chili e per quella del 1978 ne pesava tre. Sembra che la Frale non si renda conto delle conseguenze. Proviamo a immaginare. Nel 1898, finita l'ostensione, riposero la Sindone da un chilo in una cassa che la conteneva di misura. Nel 1931 il lenzuolo era tanto cresciuto, avendo raggiunto i due chili, che il contenuto della cassa era sotto pressione. Non appena girarono la chiave per aprire, il coperchio schizzò in alto come per un'esplosione. Durante i giorni dell'ostensione, fu preparata in fretta una nuova cassa più grande perché in quella di prima il lenzuolo non sarebbe più entrato. Una cosa analoga successe per l'ostensione del 1978 quando la sindone aveva raggiunto i tre chili. Dovettero cambiare la cassa di nuovo.
Non si può supporre che la plastica si sia aggiunta più gradualmente nei secoli precedenti. Infatti se la plastica fosse più vecchia di qualche secolo, sarebbe necessaria una quantità ancora maggiore per spostare la data al 1300. Se poi la plastica si fosse depositata gradualmente nel corso di duemila anni, nemmeno il cento per cento di plastica (tutta plastica e niente lino) darebbe una data al 1300.
La Frale evidentemente crede che lo smisurato ingrossamento del lenzuolo sia verosimile. Se però raccontasse questo dettaglio ai lettori, non tutti le crederebbero. Tenendo nascosti questo e altri dettagli, inganna i lettori, molti dei quali non hanno le informazioni tecniche per capire che la teoria di Garza-Valdes è assurda.
La Frale conclude:
«Quanti altri agenti contaminanti possono essere presenti sul telo ancor oggi, a nostra
completa insaputa?»
Per carità, dopo tutta quella plastica non ci sta più altro! Vogliamo lasciarci un po' di lino?
(1) Disinformazione sul radiocarbonio
di Gian Marco Rinaldi
Nel suo ultimo libro (I Templari e la sindone di Cristo, Il Mulino 2009), ogni volta che parla della Sindone, Barbara Frale fornisce informazioni false o assurde o comunque fuorvianti. Naturalmente non posso dire se la Frale sia in buona fede oppure no, ma devo confessare che, a mio giudizio personale, riterrei meno offensiva per lei l'ipotesi della malafede. Se crede davvero a quello che dice, allora, sempre secondo me, la situazione è preoccupante.
Comunque sia, il lettore rimane ingannato, sia che gli inganni siano intenzionali o involontari, perché è indotto a formarsi un'opinione del tutto errata sulle vicende e i problemi relativi alla Sindone. Crediamo utile segnalare alcuni esempi in questa e in successive puntate.
Cominciamo esaminando le quattro paginette (pp. 156-60) dedicate al metodo di datazione col radiocarbonio. La Frale cerca di dimostrare che il risultato medievale della datazione della Sindone non è valido. L'informazione che fornisce ai suoi lettori è del tutto fuorviante. In così poche pagine, non poteva fare di peggio. Consideriamo alcuni punti.
Il campione a peso doppio
Parlando dei campioni prelevati nel 1988 per la datazione, la Frale scrive (p. 159):
«Il peso specifico dei campioni prelevati (300 mg) era quasi il doppio rispetto al peso specifico della sindone
per quella superficie (161 mg), mentre trattandosi dello stesso telo doveva essere praticamente identico.»
Questo è vergognosamente falso. È più che certo che il campione aveva il peso che doveva avere. I pesi e le misure di quel lembo che fu tagliato e dei vari pezzetti in cui fu ulteriormente suddiviso sono stati discussi e ridiscussi nei minimi dettagli. I pesi sono noti al milligrammo. Le superfici sono note con buona approssimazione e si possono controllare sulle fotografie.
La Frale parla di un peso (che è totale, non specifico come dice lei) di 300 mg. È vero che il lembo asportato (dopo tolti i bordi) pesava 300 mg. Ma quel lembo fu tagliato in due parti e solo una metà, cioè circa 150 mg, fu suddivisa nei frammenti distribuiti ai laboratori. L'altra metà è stata conservata come “campione di riserva” e dovrebbe trovarsi tuttora a Torino (o almeno si spera). Questo lo sanno tutti quelli che hanno una minima conoscenza delle vicende della datazione. Solo la Frale non lo sa (se vogliamo concederglielo) e crede che il peso dei campioni distribuiti ai laboratori assommasse a 300 mg.
Quanto al numero 161, suppongo che lo abbia trovato moltiplicando la superficie di 7 cmq per la densità di 23 mg/cmq. Il valore di 7 cmq è una stima della superficie, in cifra tonda, per la somma dei campioni distribuiti ai laboratori. Il valore di 23 mg/cmq è una stima per la densità di superficie media del lenzuolo. Ci si chiede come abbia fatto la Frale a reperire questi numeri e a non accorgersi che i 7 cmq si riferiscono a 150 mg o poco più, non a 300 mg.
Se la Frale non si fida di noi, forse si fiderà di questa pagina di Wikipedia (che dal contenuto non è ostile alla Sindone):
http://it.wikipedia.org/wiki/Esame_del_Carbonio_14_sulla_Sindone
«Mentre il protocollo prevedeva il taglio di un campione di circa 1x7 cm, su proposta di Testore si decise
invece sul momento di prelevare un campione di dimensione circa doppia e di conservarne metà in un
contenitore sigillato, in modo da far fronte ad eventuali successive richieste di tessuto. Venne quindi tagliato
un lembo di tessuto di circa 81x21 mm, dal quale venne quindi scartata una striscia spessa circa 5 mm,
in quanto conteneva fili colorati di incerta provenienza. Il rimanente campione di circa 81x16 mm, il cui
peso fu misurato in 300 milligrammi, fu dapprima diviso in due parti approssimativamente uguali, e infine
una delle due fu ulteriormente divisa in tre parti (pesanti circa 50 mg l'una) che costituirono i campioni
da consegnare ai laboratori.»
Se la Frale vuol provare a dividere 300 per 8,1 e ancora per 1,6, trova il valore di 23,15 mg/cmq, molto vicino a quei 23 da lei ipotizzati.
Il lettore che credesse all'affermazione della Frale sarebbe indotto a pensare che nell'operazione del prelievo ci fu una grave irregolarità o peggio un imbroglio (una sostituzione del campione? un macroscopico rattoppo?). Dovrebbe concludere che il campione sottoposto a test non era rappresentativo del lenzuolo della Sindone e che il risultato della datazione è da considerare privo di valore. Se questo non è un inganno...
Gli inquinamenti
La Frale cerca di convincere il lettore che per la Sindone c'è il rischio di una contaminazione che abbia alterato il risultato della datazione. Per esempio racconta la storia di un immaginario panno di cotone che viene riciclato per generazioni, poi viene tagliato per fare degli stracci e (p. 158):
«usato per pulire la casa, per rendere ermetico il tappo di una giara d'olio o magari come pannolino per
un neonato: ognuno di questi usi l'ha messo a contatto con altri essere viventi o altro materiale organico,
e ogni volta potrebbe essersi arricchito di C14 che non era suo.»
Già in apertura del libro (p. 8) dice che:
«molte voci si levarono a sottolineare che il radiocarbonio non avrebbe mai dato risultati affidabili se
applicato alla sindone di Torino, un reperto archeologico che ha subito numerosissime forme di
contaminazione e sulla storia del quale c'è ancora tanto da scoprire.»
In realtà la Sindone è pulita, se la confrontiamo con altri reperti normalmente sottoposti a datazione. Gli archeologi sarebbero ben contenti di avere sempre a che fare con reperti così puliti. I tipici reperti archeologici estratti dagli scavi sono rimasti per millenni sepolti nel terreno dove potevano essere in contatto con acqua, acido umico e prodotti di fermentazione di materiale biologico.
Il rischio di una contaminazione è sempre possibile e va tenuto ben presente, ma la Frale nasconde al lettore due informazioni essenziali. In primo luogo, non dice che l'eventuale sporcizia si può asportare. I laboratori attuano procedimenti di pulizia più o meno energici a seconda delle situazioni. Nel caso di un tessuto integro e ben conservato come il lenzuolo della Sindone, è possibile asportare la sporcizia totalmente o quasi. Ci sono invece altri tipi di reperto per cui la pulizia diventa difficile perché il carbonio aggiunto può essersi compenetrato nel materiale originario ed essere difficile da separare. Il caso tipico per i gravi rischi di inquinamento è quello dei reperti di osso che siano rimasti sepolti nel terreno, di cui vedremo un esempio più avanti.
La Frale scrive (p. 159):
«Ė un concetto molto semplice: un esame delle urine conservate in una provetta contaminata
non è valido. »
Il paragone con la provetta di urine non è valido. Se sciolgo una sostanza estranea nelle urine, il laboratorio non potrà isolarla ed eliminarla, salvo circostanze particolari. Ma se sporco un telo, il laboratorio lo può pulire.
È ancora più grave la seconda omissione della Frale, che non dice quale sarebbe la quantità di contaminante necessaria per spostare al 1300 l'apparente data di un reperto del 30 d.C. Non dice che la quantità dovrebbe essere ingente, in pratica dovrebbe esserci più inquinante che lino. Per una contaminazione di carbonio degli ultimi secoli, la quantità di contaminante dovrebbe essere il doppio, il triplo, il quadruplo del peso originario del lenzuolo, a seconda dell'epoca della contaminazione. Più andiamo indietro nel tempo, maggiore diventa la quantità di contaminante necessaria. Per una contaminazione avvenuta nel 1300, occorrerebbe il cento per cento di contaminante. È ovvio che quantità così ingenti di sporcizia sarebbero immediatamente visibili. E si noti che dovrebbe trattarsi degli inquinanti ancora presenti dopo la pulizia del campione. La cosa è del tutto inverosimile, ma il lettore che non abbia già qualche conoscenza sul metodo del radiocarbonio potrebbe pensare che basti una minima quantità di inquinante per spostare la data e rimarrebbe facilmente ingannato dal discorso della Frale sul rischio di inquinamenti.
E per una contaminazione anteriore al 1300? Qui la Frale entra nel paradosso e non se ne accorge.
Inquinamento pre-1300
Forse la Frale si rende conto che durante gli ultimi secoli il telo della Sindone non è stato usato come pannolino o come tappo di una giara d'olio, e allora si rifugia in secoli più remoti. Infatti dice (p. 159-60):
«Gran parte della storia della sindone è ancora sconosciuta, non abbiamo idea di quali contaminazioni
può aver subito mentre sapere attraverso quali manipolazioni è passato un reperto si rivela di vitale
importanza per eseguire un test di radiodatazione affidabile. [...] Conosciamo in dettaglio la storia
della sindone solo per gli ultimi 650 anni circa: dentro il suo passato stanno nascoste talmente
tante variabili che l'uso del radiocarbonio sembra essere ancora inadatto.»
Dicendo che “gran parte della storia della sindone è ancora sconosciuta”, si riferisce ai primi tredici secoli dell'era cristiana, quando in realtà la Sindone non c'era ancora. Sarebbe difficile per la Sindone essersi inquinata quando non esisteva, ma proviamo a ipotizzare che esistesse fin dal primo secolo per vedere che cosa succederebbe con un inquinamento anteriore al 1300, cioè anteriore alla data che è risultata al C14.
Se per esempio la Sindone, supposta del primo secolo, fu contaminata nel nono secolo, allora una datazione darebbe un risultato fra il primo secolo (con zero contaminazione) e il nono secolo (con cento per cento contaminazione) ma non si potrebbe mai arrivare a una data del 1300. Non solo, maggiore è la quantità di contaminante anteriore al 1300, maggiore sarà la quantità di ulteriore contaminante recente da aggiungere per portare la data al 1300. Quanto contaminante sarà alla fine necessario? Se la Frale non si rende conto dell'assurdità, allora non conosce l'abc della radiodatazione.
Tutto questo per una contaminazione da carbonio organico che abbia la stessa percentuale di isotopo 14 come presente nell'atmosfera dell'epoca. Se invece la contaminazione fosse da carbonio minerale o fossile, privo dell'isotopo 14, la data si sposterebbe all'indietro e potrebbe arrivare ai secoli prima di Cristo. Per contro, una contaminazione organica avvenuta durante gli anni 1960 o 1970 avrebbe un notevole effetto di ringiovanimento a causa del C14 prodotto nell'atmosfera dalle esplosioni nucleari, ma durante quegli anni la Sindone era accuratamente conservata nel suo scrigno e nessuno si aspetta che subisse inquinamenti.
Comunità scientifica internazionale
La Frale cerca di far credere che nel 1988 la tecnica della datazione non era ancora abbastanza affidabile. Scrive a p. 159:
«Oggi la comunità scientifica internazionale è più propensa a credere che se vi furono errori
[nella datazione della Sindone], ciò accadde perché la tecnologia scelta era ancora immatura
per datare un oggetto tanto complesso.»
Va intanto precisato che cosa intende la Frale per “comunità scientifica internazionale”. Oggi sono in funzione nel mondo circa 150 o più laboratori di datazione al radiocarbonio altamente qualificati, parte dei quali col metodo AMS. Ciascun laboratorio ha diversi specialisti nello staff, quindi in totale ci sono nell'ordine del migliaio di professionisti del ramo. Quelli hanno titolo per essere considerati una comunità scientifica internazionale per quanto riguarda il C14. Nessuno di loro ha mai messo in dubbio la datazione della Sindone.
La “comunità scientifica internazionale” a cui si riferisce la Frale è quella conventicola di fanatici della Sindone di cui lei stessa entra a far parte a pieno titolo con questo suo libro, ed è tanto scientifica quanto è “scientifico” appunto il libro.
Nel 1988 il metodo AMS era ancora giovane ma si dimostrava già affidabile. Se la datazione venisse ripetuta oggi, si potrebbe contare su una precisione un po' migliore (e si potrebbero datare campioni ancora più piccoli), ma niente cambierebbe di sostanziale. La precisione di allora era già più che sufficiente per scartare una data al primo secolo e per provare una data al tardo medioevo.
Il sito di Jarmo
La Frale cerca di screditare in generale il metodo del radiocarbonio portando tre esempi di datazioni errate. Il primo è quello del sito di Jarmo (Iraq settentrionale) (p. 158):
«Agli esperti del settore sono noti casi famosi di datazioni con il C14 che portarono a risultati paradossali,
persino ridicoli: ad esempio il sito preistorico di Jarmo sottoposto alla prova quattro volte ha dato quattro
risultati diversi, ovvero il 4700 a.C. poi invece il 10000, il 7000 e infine il 6000 a.C.»
La Frale non ha fatto una buona scelta prendendo di mira Robert Braidwood (1907-2003), un pioniere dell'archeologia preistorica che a Jarmo impiegò metodi di indagine innovativi e sviluppò gli importanti studi sul passaggio dei nostri antenati dal nomadismo all'agricoltura e allevamento. Sì, in uno dei primi articoli su Jarmo scrisse che per gli strati più antichi del sito un campione di conchiglie (fra l'altro un materiale particolare per la radiodatazione) diede una data al 4750 a.C., ma subito aggiungeva che successive datazioni su resti di legna carbonizzata avevano dato un'età più vecchia e che una stima al 6750 a.C. era più probabile. Apportando un paio di correzioni che ancora erano ignorate, si va indietro di qualche secolo a prima del 7000 a.C., ed è l'epoca oggi ritenuta giusta per i primi insediamenti. Non male se si considera la data a cui fu pubblicato quell'articolo: il 1950, quando si era ai primissimi tentativi di applicazione del metodo del C14.
Le campagne di scavi a Jarmo furono condotte fra il 1948 e il 1955. Proprio negli stessi anni Willard Libby sviluppava il metodo di datazione. Braidwood e Libby erano colleghi all'Università di Chicago e collaborarono fin dall'inizio. Ci si deve meravigliare se inizialmente ci fu qualche oscillazione nelle date? Non c'era ancora esperienza nel trattamento dei campioni (che erano rimasti per millenni sotto terra, se la Frale considera sporca la Sindone) e c'erano formidabili difficoltà da superare per la misurazione della quantità di isotopo radioattivo. Anche così, benché all'inizio le date fossero un po' incostanti, proprio Braidwood fu un promotore dell'uso del C14 e i risultati non tardarono ad arrivare. Il C14 diventò presto uno strumento essenziale per lo studio dei siti preistorici. Braidwood e Libby sono nomi di prima grandezza e la Frale farebbe bene a riservare ad altri gli appellativi di “paradossali, persino ridicoli” che usa per i loro risultati.
Ci si aspetta che la Frale sapesse che le datazioni di cui parla furono fatte quando il metodo di radiodatazione era appena nato. Se ha tenuto deliberatamente nascosta la cosa, allora ha avuto un comportamento disonesto. Oppure non sapeva niente di Jarmo (anche se le bastavano pochi minuti su internet per trovare le informazioni essenziali), ma allora perché parlarne?
La Frale è in degna compagnia perché i primi a denigrare l'opera di Braidwood nel sito di Jarmo furono i creazionisti di stretta osservanza e gli ultrafondamentalisti cristiani americani. Per loro il mondo ha 6000 anni e la preistoria non è mai esistita, quindi non potevano tollerare che Braidwood la studiasse.
La tibia di caribù
Di seguito, come secondo esempio di inaffidabilità del C14, la Frale scrive (p. 158):
«Alcuni arnesi primitivi in osso di caribù provenienti da Old Crown [sic] in Alaska sono stati analizzati
con questo metodo e ne è venuto fuori che risalivano a 27.000 anni fa; gli studiosi non erano per niente
convinti del risultato perché in base all'esame archeologico essi sembravano davvero di gran lunga più
recenti, così hanno indagato la questione più a fondo: si sono accorti che quella datazione veniva fuori
esaminando del materiale che stava nella parte esterna dell'osso, e una volta ripetuta la prova su
materiale nella parte interna (forse meno contaminata) il risultato è che gli arnesi risalivano a
1350 anni prima.»
Per la precisione, quel fiume si chiama Old Crow e non è in Alaska ma nel sia pur confinante Yukon canadese. L'osso in questione, quello con uno scarto così grande nella datazione, era uno solo.
Questo è un caso famoso. Una tibia di caribù, con segni di lavorazione umana, fu trovata nel 1966 nel bacino dell'Old Crow e fu inizialmente datata a 27.000 anni fa, cioè a un'età più antica rispetto ai più antichi insediamenti umani che fossero noti nel Nord America. Il problema era che fu datata la componente minerale dell'osso.
Ogni osso è costituito da una componente minerale e una componente organica. Allora, nel 1966, non lo si sapeva ancora con certezza, ma divenne presto noto che la parte minerale dell'osso, se è rimasta a lungo a contatto con l'acqua come può succedere per un reperto sepolto in un terreno umido o immerso in un fiume o in un lago, può essere facilmente inquinata dal carbonio portato dall'acqua. Il carbonio dell'acqua può provenire da rocce e avere un'età radiocarbonica infinita, quindi l'inquinamento invecchia l'apparente età del reperto. Quello fu un caso estremo con un invecchiamento molto forte.
Negli ultimi decenni sono stati condotti molti studi per cercare di estrarre e purificare il collagene della componente organica dei reperti ossei. La componente organica è ritenuta più sicura di quella minerale ma nemmeno essa è esente da rischi perché l'osso, s'intende l'osso estratto dal terreno, è un tipo di reperto ad alto rischio per la datazione.
Quella tibia di caribù fu datata di nuovo nel 1985 col metodo AMS dopo estrazione della componente organica. Il risultato fu che era vecchia di soli 1350 anni, in accordo con le stime che si potevano fare sulla base del tipo di lavorazione umana che l'osso aveva subìto.
Perché si aspettò tanto tempo prima di ripetere la datazione, sapendo che il primo risultato era sospetto? Intanto perché la maggior parte del reperto era stata impiegata per la prima datazione. Poi perché il collagene si degrada col tempo e può rimanerne molto poco di utilizzabile. Solo dopo l'avvento del metodo AMS all'inizio degli anni 1980 diventò possibile eseguire la datazione su una piccolissima quantità di collagene. Per inciso, gli anni 1980 e il metodo AMS sono quelli della datazione della Sindone che la Frale vuol mettere in dubbio.
La Frale utilizza questo esempio in modo fuorviante per il lettore. Se non spiega che si trattava di un reperto e di una situazione particolari, fa credere che simili rischi di errore ci fossero anche per la Sindone. La Sindone non è di osso e non è rimasta immersa nel terreno. E allora dov'è il problema?
Il terzo esempio di errore del C14 è quello del corno sull'elmo vichingo che abbiamo già raccontato in un altro articolo su questo sito.
Il rivestimento bioplastico
La Frale fornisce un altro motivo per non ritenere valida la datazione della Sindone (p. 160):
«Un esempio significativo [di inquinamento] è la presenza [sulla Sindone] di un rivestimento bioplastico
sulle fibre di lino dovuto all'azione di un batterio, che ha contaminato il campione e può benissimo
aver «ringiovanito» il lino apportando molto C14 che non c'entrava nulla con la sindone. Il rivestimento
bioplastico è stato scoperto diversi anni dopo il test del 1988 e ovviamente in quella prova la sua
presenza – e la contaminazione dovuta a esso – non furono messi in conto.»
Si riferisce alla teoria del “rivestimento bioplastico” proposta nel 1993 da Leoncio Garza-Valdes, un personaggio che abbiamo cominciato a conoscere in altra pagina del sito e probabilmente torneremo a incontrare.
Evidentemente la Frale accetta la tesi di Garza-Valdes e si suppone che la conosca. Vediamo allora a che cos'è che crede. Consideriamo uno solo dei diversi aspetti paradossali di quella teoria.
Garza-Valdes dice che sulla Sindone c'è una quantità di plastica pari a oltre il 60 per cento dell'attuale peso del lenzuolo. Significa che l'attuale lenzuolo è fatto per due terzi di plastica e per un terzo di lino. Ovvero significa che il peso del lenzuolo originario si è triplicato per l'aggiunta della plastica.
Garza-Valdes deve pensare che di plastica ce ne sia così tanta perché tanta è la quantità di carbonio moderno che bisognerebbe aggiungere per spostare la data di tredici secoli. Supponiamo allora che la plastica si sia aggiunta durante l'ultimo secolo. Se per l'ostensione del 1898 il lenzuolo pesava un chilo, allora per l'ostensione del 1931 pesava due chili e per quella del 1978 ne pesava tre. Sembra che la Frale non si renda conto delle conseguenze. Proviamo a immaginare. Nel 1898, finita l'ostensione, riposero la Sindone da un chilo in una cassa che la conteneva di misura. Nel 1931 il lenzuolo era tanto cresciuto, avendo raggiunto i due chili, che il contenuto della cassa era sotto pressione. Non appena girarono la chiave per aprire, il coperchio schizzò in alto come per un'esplosione. Durante i giorni dell'ostensione, fu preparata in fretta una nuova cassa più grande perché in quella di prima il lenzuolo non sarebbe più entrato. Una cosa analoga successe per l'ostensione del 1978 quando la sindone aveva raggiunto i tre chili. Dovettero cambiare la cassa di nuovo.
Non si può supporre che la plastica si sia aggiunta più gradualmente nei secoli precedenti. Infatti se la plastica fosse più vecchia di qualche secolo, sarebbe necessaria una quantità ancora maggiore per spostare la data al 1300. Se poi la plastica si fosse depositata gradualmente nel corso di duemila anni, nemmeno il cento per cento di plastica (tutta plastica e niente lino) darebbe una data al 1300.
La Frale evidentemente crede che lo smisurato ingrossamento del lenzuolo sia verosimile. Se però raccontasse questo dettaglio ai lettori, non tutti le crederebbero. Tenendo nascosti questo e altri dettagli, inganna i lettori, molti dei quali non hanno le informazioni tecniche per capire che la teoria di Garza-Valdes è assurda.
La Frale conclude:
«Quanti altri agenti contaminanti possono essere presenti sul telo ancor oggi, a nostra
completa insaputa?»
Per carità, dopo tutta quella plastica non ci sta più altro! Vogliamo lasciarci un po' di lino?