Sindone e Templari: quali prove?
Dopo la lettura del libro di Barbara Frale abbiamo una certezza: nessun cavaliere templare vide mai la Sindone di Torino
di Gaetano Ciccone ([email protected])
e Gian Marco Rinaldi ([email protected])
Il 18 giugno 2009 usciva il libro di Barbara Frale, I Templari e la Sindone di Cristo (Il Mulino). Nei mesi
precedenti c'erano state anticipazioni sui media e si era creata attesa per quella che doveva essere una sensazionale scoperta: l'autrice aveva trovato documenti d'archivio che dimostravano che i Templari nel
Duecento possedevano e adoravano la Sindone di Torino. La Frale è addetta dell'Archivio Segreto
Vaticano e ha già pubblicato diverse opere sui Templari, quindi ci si poteva attendere da lei un lavoro
valido.
All'inizio di aprile, due mesi e mezzo prima dell'uscita del libro, è partita una ben congegnata
operazione promozionale e le eccezionali scoperte della dottoressa Frale sono state sbandierate
in articoli e interviste sui media, in Italia e all'estero.
Si può capire la curiosità con cui siamo andati a comprare il libro, ma subito siamo rimasti delusi al
vedere l'esiguità del materiale presentato dalla Frale come evidenza della sua tesi, tutto contenuto
in meno di una paginetta (p. 81). Ci aspettavamo prove inedite, ma gli unici tre documenti citati
non erano affatto nuovi. Uno era già stato pubblicato addirittura nel 1841 in Francia, un altro nel
1907 in Germania e il terzo ancora nel 1907 tranne che per poche parole in più pubblicate
nel 2007 in Francia. La “nuova” evidenza non portava alcuna prova di una connessione fra Sindone
di Torino e templari, e dobbiamo dire che questa non è stata una sorpresa.
Qualche sorpresa l'abbiamo invece avuta nei giorni seguenti quando siamo andati a confrontare la
paginetta della Frale con i testi originali a cui si riferisce, ed è quanto racconteremo qui.
Ci occuperemo solo di questa pagina 81. Ci sarebbe molto da dire per il resto del libro, che è uno
dei più fantasiosi, per così dire, nella pur fantastica letteratura sindonica, ma rimandiamo ad
altre occasioni[1].
Tre templari sotto processo
Come è noto, il re Filippo il Bello nel 1307 fece arrestare i templari in tutta la Francia e li fece processare.
Lo scopo del re era di estinguere l'Ordine per motivi politici e per incamerarne le grandi ricchezze.
L'inchiesta fu affidata alla Inquisizione di Francia, cioè a frati domenicani già esperti nell'arte
dell'interrogare, che applicarono la tortura senza limiti, per cui alcuni templari morirono durante
l'inchiesta e altri confessarono le colpe più incredibili. Non c'è motivo di credere che le “confessioni”
così ottenute fossero aderenti alla realtà.
Gli inquisitori si basavano su un lungo elenco di capi d'accusa. Per quanto ci interessa qui, diciamo
che un'accusa era che nelle cerimonie per l'ingresso nell'Ordine di un nuovo templare, al novizio
veniva imposto di rinnegare Cristo e sputare sul crocifisso. Nelle stesse cerimonie, il novizio doveva
adorare un “idolo” che gli veniva mostrato, e l'idolo aveva di solito la forma di una testa umana barbuta.
Inoltre i templari dovevano sempre portare allacciata attorno alla vita una cordicella che, proseguiva
l'accusa, era stata messa a contatto con l'idolo a forma di testa.
In realtà non c'è prova che i templari abbiano mai avuto un loro idolo di qualsiasi specie, di cui fra
l'altro gli emissari del re non trovarono esemplari nelle sedi dell'Ordine. Quando interrogati su questo
punto, molti dei cavalieri negavano di aver mai visto l'idolo, altri, probabilmente costretti, ne davano
descrizioni vaghe e mutevoli, dicendo che era una testa scolpita in legno, o d'argento o altro metallo.
Raramente poteva sembrare che si trattasse di una forma umana a figura intera.
Ora la Frale, nel suo libro, sostiene di sapere esattamente che cosa fosse l'idolo dei templari: era,
nientemeno, la Sindone di Torino! Ma abbiamo appena visto che gli accusatori prospettavano l'idolo
come una testa, cioè una testa concreta e tridimensionale e non una sfumata doppia immagine di un
uomo su un telo lungo più di quattro metri. La Frale non può negare che nei verbali si parla di tutt'altro,
ma trova tre verbali, solo tre, che secondo lei descrivono e identificano la Sindone. Su oltre mille
trascrizioni di interrogatori che l’Autrice sembra avere esaminato, solo in questi tre trova qualche
(supposta) evidenza per la sua tesi. Negli altri verbali, i templari negano di aver mai visto un “idolo”
oppure lo descrivono, in maniera più o meno confusa, come una testa o una statua di vario materiale,
comunque come un oggetto tridimensionale e non un telo.
I tre templari che secondo la Frale videro la Sindone e ne diedero testimonianza durante il processo sono
Guillaume Bos, Jean Taylafer e Arnaut Sabbatier. Taylafer fu interrogato a Parigi nel 1310, gli altri due a Carcassonne nel 1307. I tre verbali sono descritti tutti a p. 81 del libro, all'interno di una sezione col titolo “L'immagine di un uomo su un telo”. Le testimonianze dei templari si riferirebbero a quanto accadde durante
la cerimonia con cui a suo tempo erano stati introdotti nell'Ordine.
Esamineremo quello che la Frale dice sulle tre testimonianze riportando integralmente le sue parole.
Testimonianza di Bos
La Frale presenta così questo caso:
Al frate templare Guillaume Bos, ricevuto verso il 1297 nella commenda templare di Perouse
presso Narbona, venne mostrato un «idolo» che aveva una forma molto particolare, un'immagine assai diversa dalle altre che erano per lo più reliquiari a bassorilievo. Si trattava di una specie di disegno monocromatico, un'immagine scura sul fondo chiaro di un panno che gli sembrava allo sguardo come una tela di cotone («signum fustanium»): |
(Per inciso, non erano “reliquiari a bassorilievo” gli idoli che venivano di solito descritti, ma teste o simulacri
in forma umana comunque tridimensionali.) Fate attenzione a quella parola, “fustanium”, che è l'unica alla
quale la Frale si appiglia per avere un riferimento a un panno. Il fustagno era un tessuto in uso nel tardo
medioevo, spesso un misto di cotone e lino. Di seguito la Frale riporta la sua traduzione di un passaggio
del verbale
:
«e immediatamente fu portato in quello stesso luogo e ostenso dinanzi a lui come una specie
di disegno su un panno di tela di cotone. Chiestogli di chi fosse la figura rappresentata lì sopra, rispose che era talmente stupefatto di quanto gli facevano fare che poté vederlo a mala pena, né riuscì a distinguere chi fosse la persona rappresentata in quel disegno: gli sembrava però che fosse fatto come di bianco e di nero e lo adorò». |
E qui finisce la parte relativa a Bos.
Naturalmente tutta la testimonianza è riportata in latino sul manoscritto, ma Frale cita due sole parole latine,
“signum fustanium”, che interpreta col significato di disegno su un panno di fustagno. Ma la parola signum,
fra i suoi vari significati, ha quello di statua (o statuetta o busto statuario) e non quello di disegno su una
superficie.
La Frale non cita una fonte e si suppone che abbia esaminato lei stessa il manoscritto originale (ne esiste
una sola copia a Parigi) e abbia fornito la sua propria lettura. La seconda parte del passo tradotto dalla
Frale (a partire da “era talmente stupefatto...”) era stata pubblicata, nel testo latino, già un secolo fa
[2, p. 323]. Per la prima parte invece, forse la Frale riteneva che fosse inedita e si è basata su una sua
lettura del manoscritto. In realtà il testo è stato edito e pubblicato in un volume del 2007 [3, pp. 40-41]
a cura di archivisti francesi. Il volume è un excursus su importanti documenti di archivio francesi, dall’alto
Medioevo al XIX secolo. Uno dei documenti trattati è il verbale degli interrogatori dei templari di
Carcassonne nel 1307 e, coincidenza imprevista e sfortunata per la Frale, nel libro compare proprio la
riproduzione di una pagina del manoscritto con le frasi che qui stiamo analizzando.
Ora, come messo bene in evidenza nella figura, le parole in questione non sono ’signum fustanium’,
come affermato dalla Frale, ma ‘signum fusteum’ [4].
Nel latino medievale la parola fusteus aveva il significato di "di legno". Quindi l'idolo di cui parla Bos,
il "signum fusteum", non è un disegno su un panno di fustagno ma una statua o una testa o un busto
di legno.
Possiamo dare anche la seconda parte del testo latino:
«Interrogatus cujus erat dictum signum, dixit quod adeo erat stupefactus de hiis que faciebant
sibi fieri, quod vix videbat nec potuit bene perpendere cujus figure erat dictum signum, set videtur sibi quod esset album et nigrum, et adoravit illum signum». |
Nella traduzione la Frale appare influenzata dall'idea che ci sia un panno. Traduce “Chiestogli di chi fosse
la figura rappresentata lì sopra”, dove il testo latino è: “Interrogatus cujus erat dictum signum”, alla lettera
“di chi era quel signum”, mentre il “lì sopra” usato dalla Frale implica una figura su qualcosa, per lei su
un telo.
Bos dice anche che quel “signum” era di colore bianco e nero e la Frale, come abbiamo visto all'inizio,
interpreta che il disegno sul telo era monocromatico trovando in ciò un motivo sufficiente per identificarlo
nella Sindone. In realtà sarebbe difficile descrivere la Sindone come qualcosa di colore bianco e nero.
Testimonianza di Taylafer
La Frale non dà una traduzione letterale ma solo una brevissima parafrasi di un passaggio del testo del
verbale. Cita come fonte l'opera del 1841 di Jules Michelet [5, p. 190-91] dove è riportata la trascrizione
latina del manoscritto.
La Frale scrive, di seguito alla citazione dal verbale di Bos:
«Lo stesso tipo di oggetto [come per Bos] vide Jean Taylafer, ascoltato a Parigi durante la lunghissima inchiesta del 1309-1311: era anch’esso una specie di disegno dalla forma molto indefinita, fatto di una tinta che gli sembrava rossastra, e poté distinguere soltanto l’immagine di un volto che aveva le dimensioni naturali di una testa umana. Nemmeno lui riuscì a capire se fosse un dipinto oppure no, però anche in questo caso era un’immagine fatta di un colore solo». |
Tutto qui il resoconto della Frale per Taylafer. Ora la Sindone è diventata rossa e non più bianca e nera
come per Bos, ma la Frale non se ne preoccupa.
Si ha una grossa sorpresa se si va a leggere la parte corrispondente del testo latino. Ecco il testo, che è
preso dalla stessa fonte, Michelet, citata dalla Frale
:
«... requisitus, [Taylafer] respondit quod in die recepcionis sue fuit positum quoddam capud
in altari capelle in qua fuit receptus, et fuit sibi dictum quod debebat adhorare dictum capud. Requisitus, si dictum capud erat aureum, argenteum, vel eneum, vel ligneum, vel de osse aut de quo alio erat, respondit se nescire, quia non multum se appropinquabat, apparebat tamen effigies ymaginis faciei humane. Requisitus cujus coloris erat, respondit quod quasi coloris rubei. Requisitus, si erat pictum vel non, dixit se non avertisse. Requisitus, de grossitudine et quantitate dicti capitis, respondit quod erat quasi grossitudinis capitis humani. Requisitus quis fuit ille qui dixit sibi quod debebat adhorare dictum capud, dixit quod ille capellanus qui recepit eum, nec vidit illud capud ab aliquo adhorari, nec scit in cujus veneracione erat factum, nec nunquam alias vidit illud. Requisitus in qua hora fuit sibi hostensum dictum capud, dixit quod in hora dicte sue recepcionis. Item, dixit quod in dicta sua recepcione, fuit sibi tradita quedam cordulla de filo albo, qua dicebant fuisse cinctum dictum capud, et quod capellanus predictus recipiens eum, precepit sibi quod eam portaret super camisiam suam de die et nocte, sed eam non portavit, ut dixit, sed projecit eam». |
Il testo si può tradurre così:
«… interrogato, [Taylafer] rispose che nel giorno della sua accoglienza [nell'Ordine dei Templari]
fu posta una testa sull'altare della cappella nella quale si celebrava la sua accoglienza e gli fu
detto che doveva adorare quella testa. Interrogato se la detta testa era di oro, argento, bronzo,
legno, osso o di che altro materiale, rispose che non lo sapeva perché non si era avvicinato molto, sembrava comunque una effigie con aspetto umano. Interrogato di che colore era, rispose che era
rossastra. Interrogato se era pitturata o no, disse che non se ne era reso conto. Interrogato su
grandezza e dimensioni di quella testa, rispose che era quasi della grandezza di una testa umana.
Interrogato su chi fu a dirgli di adorare quella testa, disse che era stato il cappellano che lo aveva accolto,
non vide quella testa adorata da nessuno, non sa per venerare chi essa era stata fatta, né mai la vide
in altro luogo. Interrogato a che ora gli fu mostrata la detta testa, disse nell'ora della sua accoglienza.
Inoltre disse che in occasione della propria accoglienza [nell'Ordine], gli fu consegnata una certa
cordicella di filo bianco, che si diceva era stata posta intorno a quella testa, e il detto cappellano
che lo accoglieva gli ordinò che la indossasse sopra la camicia di giorno e di notte, invece non
la indossò, a suo dire, ma la gettò via».
Evidentemente qui si parla di una testa intesa come una scultura. Infatti si discute se la testa fosse
“di oro, argento, bronzo, legno, osso o di che altro materiale”. Inoltre si parla di una cordicella che era
stata avvolta attorno alla testa. La Frale altera gravemente il significato perché dà per implicito, nel
contesto di questa sezione del suo libro, che si parli di una figura su un telo. È difficile credere che
una simile alterazione sia dovuta a una svista e non sia intenzionale. Del resto può non essere un
caso che la Frale si astenga dal citare fra virgolette almeno un brano del testo originale.
Testimonianza di Sabbatier
Di seguito la Frale scrive:
Un altro templare chiamato Arnaut Sabbatier disse invece in maniera esplicita che gli era stata
mostrata la figura intera del corpo di un uomo su un telo di lino, e gli fu ordinato di adorarlo tre volte
baciandogli i piedi («quoddam lineum habentem ymaginem hominis, quod adoravit ter pedes
obsculando»).
La frase latina citata in parentesi è conforme al testo edito da Heinrich Finke nel 1907 [2, pp. 323-324]
E qui finisce l'evidenza portata dalla Frale, ma questo le basta per dire che il documento “dimostra che
ad alcuni Templari nel sud della Francia fu mostrato un «idolo» identico alla sindone di Torino”. È inutile
dire che la semplice citazione di “un lino con l'immagine di un uomo” non basta per identificare la Sindone.
Riguardo al testo della confessione di Sabbatier esiste la possibilità di una interpretazione differente.
Forse 'lineum' è semplicemente un errore del notaio e starebbe per 'ligneum', parola usata anche da
un altro templare nel corso dello stesso processo a Carcassonne (Petrus de Mossio [2, p.324]).
Possiamo supporre che in tutti gli altri interrogatori dei templari, a parte questo, non sia mai comparso
il lino, altrimenti la Frale lo avrebbe citato. Quindi quella parola 'lineum' potrebbe in effetti essere dovuta a uno sbaglio o a un malinteso.
Sarebbe interessante avere l'intero testo del verbale dell'interrogatorio di Sabbatier. Forse dal contesto,
per esempio dalle domande degli inquisitori, si potrebbe capire qualcosa di più su quel presunto lino.
Purtroppo per quanto sappiamo esiste solo la citata edizione di Finke che riporta solo un paio di brevi
frammenti. La Frale dovrebbe avere esaminato nel manoscritto originale questo verbale, che è parte
dello stesso documento col verbale di Bos, ma non risulta lo abbia pubblicato. Ci si aspetterebbe che
per la testimonianza di Sabbatier, che è il massimo di evidenza che riesce a portare per la sua tesi,
fornisse una citazione più ampia che non la riga scarsa che abbiamo visto. Forse altre parti del
manoscritto non sono leggibili, ma di questo documento che è a Parigi, e che comprende i verbali di
Bos, Sabbatier e altri quattro templari, la Frale scrive a p. 80: “Il materiale è molto scurito e non si
trova in buono stato di conservazione, ma risulta perfettamente leggibile per chi abbia dimestichezza
con le fonti del processo contro l'ordine del Tempio.”
Lo stesso Finke dava solo due brevi frammenti e li riportiamo qui. Le parole tedesche intercalate sono
di Finke e significano “a proposito della figura”, cioè dell'idolo, se scegliamo “figura” fra i vari significati
di Zeichen. Non bisogna pensare che Finke intendesse riferirsi a un disegno o pittura su una superficie.
Infatti subito dopo, per il verbale del successivo templare, ripete la stessa parola ma questa volta la
descrizione che segue si riferisce a qualcosa di legno, quindi una scultura: “Zeichen: ligneum habens
faciem hominis”.
Ecco i frammenti di Finke per Sabbatier:
«Obsculatus dictum preceptorem primum in ore, secundo in ano nudo et postea alios fratres ibidem
assistentes. Über das Zeichen: quoddam lineum habentem ymaginem hominis, quod adoravit ter
pedes obsculando et qualibet vice spuebat super cruciffixum renegando eundem».
Il primo frammento, che non ci interessa se non per sottolineare ancora l’assurdità delle confessioni
estorte, riguarda un altro dei capi d'accusa, quello dei baci osceni: «Dapprima [Sabbatier] baciò sulla
bocca il detto precettore, poi sull’ano nudo, quindi baciò gli altri frati lì presenti».
Il secondo frammento descrive l'idolo e ha la frase riportata dalla Frale e inoltre in coda una frase che la
Frale ha omesso e sulla quale torneremo. Il tutto si traduce con: «Un panno di lino recante la figura di
un uomo, che [Sabbatier] adorò baciandogli i piedi tre volte e ogni volta sputava sul crocifisso
rinnegandolo».
Nel breve processo di Carcassonne, con soli sei templari interrogati, in nessun caso compare un idolo
descritto come una testa isolata e senza corpo. In altre sedi, per processi successivi, gli inquisitori si
basavano su un elenco di capi di accusa in cui veniva esplicitamente citato un idolo in forma di testa
umana barbuta, e gli accusati, quando costretti ad adeguarsi, parlavano appunto di una testa, anche
se poi non sapevano descriverla come abbiamo visto nel caso di Taylafer. Qui a Carcassonne, invece,
va supposto che gli inquisitori restassero nel vago e gli accusati si riferivano in modo confuso a una
generica forma umana. In due casi l'accusato dice di avere baciato i piedi dell'idolo, un gesto che ci
si poteva attendere da lui se doveva confessare di averlo adorato. In un altro caso si parla di un idolo
in una lunga veste. In due casi si dà un nome all'idolo, “Bafometto” (“figura baffometi”), ma non si sa
che cosa si debba intendere con quel nome. Nel caso di Bos l'aspetto dell'idolo non è definito.
Un idolo è di ottone, uno di legno, uno è dorato, oltre al 'lineum' di Sabbatier che per la Frale era
la Sindone.
Omissioni significative
Per tutti e tre i suoi casi, la Frale tralascia di citare una parte del testo che non sarebbe da trascurare.
Quei templari, durante la cerimonia per l'ingresso nell'Ordine, dovevano non solo adorare l'idolo, ma
anche rinnegare Cristo e sputare su un crocifisso. Questo, naturalmente, secondo gli accusatori che
volevano costruire le prove di eresia e idolatria che sarebbero servite per estinguere l'Ordine. Ecco
quindi che nella deposizione di Bos, subito prima della citazione fornita dalla Frale, c'è una frase dove
si legge che gli fu presentata una croce e lui sputò tre volte sulla croce e la rinnegò. Per Taylafer,
all'inizio della deposizione [5, p. 188], si dice che gli fu ordinato di rinnegare Cristo, e lui lo fece (per
quanto solo con la bocca e non con il cuore), poi che gli fu ordinato di sputare su una croce e lui
sputò (ma non proprio sulla croce). Infine per Sabbatier, come abbiamo già visto, la frase citata
dalla Frale va completata così:
«un panno di lino recante la figura di un uomo, che [Sabbatier] adorò baciandogli i piedi tre volte
e ogni volta sputava sul crocifisso rinnegandolo».
Quindi, secondo la Frale, dobbiamo immaginare un bacio alla Sindone e uno sputo al crocifisso, e di
seguito per tre volte. Se davvero i templari avevano la Sindone, dovevano accorgersi che rappresentava
Cristo. Non si capisce allora perché obbligassero i novizi a sputare sul Cristo del crocifisso e
simultaneamente a baciare il Cristo della Sindone.
È vero che la Frale in altre parti del libro spiega come, in generale, i templari durante il processo venissero
obbligati a confessare di avere rinnegato la croce, ma sarebbe stato opportuno dare una esplicita
citazione per ciascuna delle tre deposizioni. Queste tre deposizioni dovrebbero essere, secondo la Frale,
la prova della tesi alla quale il libro è dedicato, e non era il caso di fare tanta economia di spazio: i passi
dagli originali citati a p. 81 assommano in tutto a nove righe scarse!
Note
* Questa è una versione leggermente riveduta (11/11/2009) di un articolo messo sul sito il 29/06/2009.
[1] G.M. Rinaldi, Gli inganni di Barbara Frale. 1. Disinformazione sul radiocarbonio,
in http://sindone.weebly.com/frale3a.html.
Idem, Gli inganni di Barbara Frale. 2. La Sindone nella cappella imperiale di Costantinopoli nel 1201, in http://sindone.weebly.com/frale3b.html.
Idem, L’elmo vichingo (con le corna) di Barbara Frale, in http://sindone.weebly.com/frale2.html.
[2] H. Finke: Papsttum und Untergang des Templerordens, Vol. II, Münster 1907.
[3] Grands Documents de l'Histoire de France. Editions de la Réunion des musées nationaux, Paris 2007.
[4] Lettura suggerita da Antonio Lombatti. Gli autori del volume da cui è tratta la figura leggono
addirittura ‘signum sustensum’.
[5] J. Michelet: Procès des Templiers, Vol. I, Paris 1841.