Autogol a Tucson
di Gian Marco Rinaldi
Rachel Freer e Timothy Jull volevano dimostrare che il tessuto del campione usato per la datazione del 1988 è uguale a quello della Sindone. Invece hanno dimostrato che è diverso!
I sindonologi possono esultare. Da anni cercavano di dimostrare che l'angolo del telo della Sindone da
cui fu tagliato il lembo usato per la radiodatazione non è rappresentativo perché si tratta di un rammendo
o rattoppo. Non c'erano riusciti, ma ora in loro soccorso arriva nientemeno che Timothy Jull, l'attuale
direttore del laboratorio del radiocarbonio dell'Università dell'Arizona (a Tucson) e uno degli autori della
datazione del 1988.
Jull conservava dal 1988 un pezzetto di Sindone di mezzo centimetro quadrato, che faceva parte del
campione ricevuto per la datazione ma che allora fu messo da parte. Nel 2008 ha tolto dal cassetto il
frammento di Sindone e lo ha dato da studiare a Rachel Freer, di cui ci si aspetta che sia una specialista
di tessuti archeologici. In realtà la Freer era una giovane neolaureata che usufruiva di una borsa di studio
di un anno concessa da una fondazione privata e la stava spendendo presso il museo dell'università (Arizona
State Museum) a Tucson. [1] Dopo altri due anni, Freer e Jull hanno ora pubblicato un articolo su Radiocarbon (l'importante rivista diretta dallo stesso Jull) nel numero di dicembre 2010. [2] Il loro scopo era di dimostrare
che il campione usato per la datazione non era diverso dal resto del telo della Sindone, smentendo così quei sindonologi che vorrebbero che la zona del prelievo del campione sia stata rammendata o rattoppata in
epoca medievale. Gli autori sono convinti di averlo dimostrato. In realtà hanno dimostrato il contrario
Quanti fili?
Freer e Jull hanno contato, rispettivamente per ordito e trama, il numero di fili per centimetro nel loro
frammento e riportano valori del tutto diversi da quelli forniti dagli esperti tessili che in passato a più riprese
hanno esaminato il tessuto della Sindone. Nella tabella mostriamo nella prima colonna i valori di Freer e
Jull, a confronto con quelli di Piero Vercelli, Gabriel Vial e Gilbert Raes.
Freer Vercelli Vial Raes
ordito fili/cm 30 36 37,5 37,8 38,6
trama fili/cm 40 24 25 25,8 25,7
Per Vercelli la prima colonna ha i valori misurati nel 1997 sul “campione di riserva” conservato a Torino, un
piccolo lembo che era adiacente ai campioni forniti ai laboratori per la datazione. La seconda colonna ha
una stima per i valori medi della Sindone in generale.
La Sindone ha una tessitura non uniforme con fili di spessore non costante, quindi ci possono essere
piccole differenze nella densità dei fili fra una zona e l'altra, ma una differenza così forte come per esempio,
per la trama, da 25 a 40 non è ipotizzabile. Inoltre Freer e Jull trovano che la densità dei fili di ordito è
minore di quella dei fili di trama, mentre per la Sindone vale il contrario. Quindi se ci fidassimo dei dati di
Freer e Jull, dovremmo concludere che il tessuto che fu sottoposto a datazione era diverso da quello della
Sindone. Ossia il campione del 1988 era difforme e non rappresentativo dell'intero telo. Forse quella zona
era stata rammendata o rattoppata nel corso dei secoli, o forse addirittura il campione non proveniva dalla
Sindone ma era stato sostituito con un campione da un altro tessuto. In ogni caso, la datazione medievale
sarebbe invalidata.
Dovrà essere questa la nostra conclusione? No, per fortuna non abbiamo bisogno di fidarci dei dati di
Freer e Jull perché possiamo controllare noi stessi il numero di fili sul loro frammento di tessuto.
Ma a Tucson sanno contare?
Gli autori non pubblicano nell'articolo di Radiocarbon una fotografia dell'intero frammento (solo un piccolo
dettaglio), ma è possibile vedere le fotografie intere del diritto e del rovescio in un video che si trova sul
sito del Museo dell'Arizona. [3] Al minuto 02,31 c'è la foto del diritto, dove sono in maggiore evidenza i fili
di ordito (orizzontali). Al minuto 01,23 c'è il rovescio coi fili di trama (verticali). Si ritrovano le foto dal
minuto 11,30 per un paio di minuti.
Pur con uno schermo del video che è molto piccolo, il numero di fili, per l'ordito come per la trama, si può
contare con tutta facilità. Si vede molto bene che la densità dei fili è maggiore per l'ordito che per la trama, contrariamente a quanto riportato da Freer e Jull. Per calcolare il numero di fili per centimetro, occorre
conoscere le dimensioni del frammento, che è a forma di rettangolo. Nell'articolo le dimensioni sono indicate
come circa 5 per 10 mm, ma si tratta di numeri approssimati e portati a cifre tonde, perché dalla fotografia
si vede che il rapporto fra le dimensioni non è di 1:2. Sfruttando una scala mostrata nelle fotografie del
video, dove è inserito un segmento indicato come equivalente a un millimetro, si può risalire a una stima approssimata delle dimensioni del frammento, che sono di circa 6 per 8/9 mm. Usando queste misure,
dopo aver contato i fili del frammento si arriva a una stima ben compatibile con i valori di circa 38/cm
e 25/cm trovati dai vari esperti ma del tutto incompatibile con quelli di Freer e Jull. Quindi non dobbiamo
temere che il campione radiodatato fosse diverso dal resto della Sindone. Possiamo piuttosto chiederci
come sia possibile che Freer e Jull siano caduti in un errore così grave.
Va notato che non è difficile contare i fili. Non è necessario essere esperti tessili. Non è necessario avere
a disposizione un campione del telo e basta una fotografia ravvicinata, sia pure molto piccola, come quella
mostrata nel video. Chiunque lo può fare, basta che sappia contare, in questo caso, da uno fino a poco
più di venti. Forse a Tucson non sanno contare fino a venti?
O hanno scambiato la trama con l'ordito?
Provando a immaginare come possano essere incorsi in un errore così grossolano, si può fare l'ipotesi che
Freer e Jull abbiano scambiato la trama per l'ordito, poi abbiano fatto un conteggio del tutto approssimativo portando a cifre tonde. Così per l'ordito hanno contato i fili di trama, hanno trovato circa 25 e hanno
arrotondato a 30. Per la trama, hanno contato i fili di ordito, hanno trovato circa 38 e hanno arrotondato a 40.
Dentro al loro frammento di tessuto non passa una linea di inversione delle diagonali dello spigato (che
indica la direzione dei fili di ordito) e probabilmente Jull non si ricordava di come fosse posizionato il
frammento rispetto all'intero campione ricevuto, dove invece la linea di inversione era visibile. Questa
non è una scusante perché gli autori dovevano fare un confronto fra il loro frammento e la Sindone in
generale, quindi dovevano conoscere il tessuto della Sindone. Per poco che lo si conosca, si sa che le
diagonali dello spigato formano un angolo più piccolo (meno di 45 gradi) rispetto ai fili di ordito che rispetto
ai fili di trama. (L'angolo rispetto ai fili di ordito è mediamente di 33 gradi, visibilmente diverso dall'angolo di
57 gradi rispetto ai fili di trama.) Quindi guardando l'inclinazione delle diagonali si capisce subito quali siano
le rispettive direzioni di trama e ordito. Si trova allora che nelle fotografie mostrate nel video (come nella
fotografia di dettaglio mostrata nell'articolo) i fili di ordito corrono orizzontalmente.
Se gli autori si fossero informati un po' sul tessuto della Sindone, avrebbero anche saputo che nella Sindone
il diritto (il lato del telo dove c'è la figura del corpo) ha un aspetto migliore, con tessitura più uniforme,
rispetto al rovescio. E che il diritto è quello che ha i fili di ordito in maggiore evidenza (i fili di ordito passano
sopra tre fili di trama e sotto uno). Bastava quindi riconoscere il diritto per capire la direzione dell'ordito.
Se poi gli autori non riuscivano a determinare quale fosse l'ordito e quale la trama, avrebbero sempre
potuto chiedere l'opinione di qualcuno che conosce il tessuto della Sindone (bastava spedire una mail in
Italia), ma non potevano inventarsi a caso quale fosse la direzione dell'ordito.
Quale confronto?
Se già è grave che Freer e Jull non abbiano saputo determinare la densità dei fili, è ancora più grave che
non si siano accorti che i valori da loro forniti sono diversi e incompatibili con quelli della Sindone, da tempo
noti e facilmente reperibili nella letteratura. Questo è imperdonabile. Il loro scopo era quello di confrontare
il loro frammento con la Sindone per vedere se si trattava dello stesso tessuto. Quindi obbligatoriamente
avrebbero dovuto confrontare i dati da loro ottenuti con quelli pubblicati in passato da diversi esperti tessili
per la Sindone.
La situazione ha dell'incredibile se si considera che Freer e Jull indicano, come testo di riferimento per il
tessuto della Sindone, un articolo del 1981 di John Tyrer [4]. Scrivono nell'introduzione:
“An excellent objective technical description of the shroud, its possible origins and weaving technologies,
is given by Tyrer (1981), to which we refer the reader.”
Ebbene, nell'articolo di Tyrer, in evidenza in una tabella a p. 22, sono forniti i valori calcolati a suo tempo
da Gilbert Raes, che, come già visto, sono 38,6 per l'ordito e 25,7 per la trama. Inoltre gli autori citano
la stessa relazione originale di Raes pubblicata nel 1976. Quindi Freer e Jull forniscono valori incompatibili
con quelli mostrati da Tyrer e da Raes negli articoli da loro stessi citati, ma non si accorgono della
discrepanza. Nella sezione sui risultati, dicono che il tessuto del frammento è un “3/1 twill” e notano che
“This is consistent with the rest of the Shroud of Turin (Tyrer 1981).” Rimandano quindi a Tyrer per un
confronto, ma immediatamente dopo danno i loro valori sbagliati di 30 fili/cm per l'ordito e 40 per la trama
e si dimenticano di fare il confronto.
Anche senza confrontare i valori numerici, è risaputo, per chi si sia occupato della Sindone, che i fili di
ordito per centimetro sono in numero maggiore rispetto alla trama. Anzi, questa è una caratteristica
generale per tutti i tessuti, almeno per quelli confezionati in epoca pre-industriale. Nella tessitura a mano,
il lavoro che richiede più tempo è quello per sistemare i fili di trama, quindi mettendo più radi i fili di trama si risparmia tempo nella lavorazione. Possono esserci eccezioni a questa regola, ma la Freer, da esperta
di tessuti antichi, avrebbe dovuto sorprendersi trovando una densità maggiore per la trama.
È anche noto che nella Sindone i fili di trama sono mediamente più spessi dei fili di ordito, un motivo in
più perché siano in numero minore.
Si può aggiungere che, con un minimo di intuito geometrico, basta dare un'occhiata a una foto della Sindone
per capire che il numero di fili per centimetro è maggiore per l'ordito. L'angolo che le diagonali dello spigato
formano con i fili di ordito è sufficiente per determinare il rapporto fra fili/cm di trama e fili/cm di ordito.
Infatti ogni “scalino” della diagonale è all'incrocio di un filo di trama con un filo di ordito. Se le diagonali
fossero a 45 gradi, ci sarebbe un uguale numero di fili di ordito e di trama per centimetro. Con un angolo
più piccolo, il numero di fili di trama è minore, nel rapporto uguale alla tangente (trigonometrica) dell'angolo.
Nel nostro caso, con un angolo di circa 33 gradi, questo rapporto è 0,65 circa, in buon accordo con i valori
forniti sopra per i numeri di filo di ordito e di trama.
Per chi abbia letto qualcosa sulla Sindone, è anche noto che una doppia banda dello spigato contiene 80 fili di
ordito ed è larga circa 2,2 cm. Dividendo 80 per 2,2 si ottiene il valore di 36,4 fili di ordito per centimetro. Moltiplicando per 0,65 (tangente di 33 gradi) si ottiene 23,7 per la trama. Questi numeri sono in accordo con
quelli indicati sopra.
Invece Freer e Jull dichiarano i valori del tutto inverosimili di 30/cm per l'ordito e 40/cm per la tarma. Con
questi valori, l'angolo delle diagonali dello spigato con la direzione dell'ordito sarebbe di 53 gradi invece di 33. Insomma Jull e Freer non avevano confidenza col tessuto della Sindone, e allora come potevano fare un
confronto con il proprio frammento?.
Altri esami
Freer e Jull danno per lo spessore del tessuto il valore di 250 micron. Vercelli ha effettuato 10 misurazioni
sul campione di riserva ottenendo una media di 390 micron con un valore minimo di 340 e un massimo di
430. John Jackson misurando in diverse zone del telo trovò valori fra 318 e 391 micron. La misurazione
dello spessore può essere delicata e non univoca e non ci si meraviglia se Freer e Jull hanno denunciato
un valore più piccolo Però potevano notare la differenza e commentarla. Altrimenti i sindonologi potranno
dire che il frammento è troppo sottile e troveranno un motivo in più per confermare la loro tesi di una
anomalia nel campione radiodatato.
Freer e Jull trovano tre fibre di cotone con le osservazioni al microscopio di alcuni fili nel loro frammento.
Non hanno tentato una valutazione della percentuale di fibre di cotone in rapporto alle fibre di lino. Non si
capisce se le fibre di cotone sono intrecciate dentro a un filo oppure se sono esterne al filo, quindi provenienti
da un inquinamento casuale. Non vengono esaminate le fibre di cotone per distinguere se si tratta di cotone
del genere Gossypium, quello usato in tutto il Vecchio Mondo fino alla scoperta dell'America, oppure se si
tratta di una varietà americana importata dopo Colombo. I sindonologi dicono che c'è cotone nell'angolo del campione usato per la datazione ma che non c'è altrove in tutto il lenzuolo, e ne traggono una prova per
la loro tesi che quell'angolo sarebbe stato rammendato. Saranno contenti perché Freer e Jull hanno pure
loro trovato il cotone.
Freer e Jull hanno anche visto fibre che non hanno identificato. Nemmeno per queste si sa se sono interne
ai fili oppure inquinamenti superficiali.
Freer e Jull dicono di avere smentito il risultato di Ray Rogers, il quale aveva trovato che la zona del prelievo
per il radiocarbonio presenta una patina ed è stata tinta di rosa. Usano il microscopio a fluorescenza, senza
fornire particolari sulla procedura, per dire che non c'è patina o tintura sul loro frammento. Non so quanto
sia decisiva la microscopia a fluorescenza per scartare la presenza di un rivestimento, ma i sindonologi
non ne terranno conto. Possono sempre dire che Rogers aveva usato al microscopio un ingrandimento
maggiore di quello, moderato, usato da Freer e Jull, e che aveva impiegato anche metodi chimici.
Appendice
Jull ha così rivelato di possedere un frammento di Sindone di cui dà il peso: 12,39 mg. La fotografia
dell'intero frammento, mostrata nel video citato, ci permette di dedurre se nel 1988 fu o non fu usato,
per la datazione, il pezzo più piccolo dei due che furono forniti al laboratorio.
Infatti era noto che nel 1988 il laboratorio di Arizona ricevette il campione in due pezzi, uno grande di 39,5 mg
e uno piccolo di 14,2 mg. Il laboratorio datò quattro sottocampioni, ma finora non si sapeva come fosse
stata fatta la suddivisione, cioè non si sapeva se fosse stato usato solo il pezzo più grande o anche il
pezzo più piccolo. Ma ora, vedendo la fotografia del frammento conservato, possiamo escludere che
questo sia il pezzo piccolo o una sua parte, perché la forma non corrisponde. Quindi l'attuale frammento
è stato tagliato dal pezzo grande di 39,5 mg, lasciando un pezzo di 27,1 mg. Questo residuo non sarebbe sufficiente per dividerlo nei quattro sottocampioni che furono datati. Quindi deve essere stato usato per la
datazione anche il pezzo piccolo di 14,2 mg.
La cosa non è importante ai fini del risultato della datazione, però è rilevante in relazione a uno studio di
statistica, molto sbandierato in questi ultimi tempi, condotto da Giulio Fanti e colleghi e pubblicato nella
primavera 2010. [5] Fanti ritiene di aver dimostrato che l'età radiocarbonica del tessuto varia col variare
della posizione nell'ambito dei pochissimi centimetri della striscia che fu prelevata. In questa striscia, partendo
dal bordo del telo, l'ordine era il seguente: campione di riserva; pezzo piccolo di Arizona; Oxford; Zurigo;
pezzo grande di Arizona. Dato che Oxford ha trovato mediamente le date più vecchie e Arizona le date più
giovani, Fanti e colleghi speravano di dimostrare che c'è una variazione della data con andamento lineare. Dovevano però supporre che Arizona avesse datato solo il pezzo grande, quello all'estremità al di là di Zurigo.
Se invece, come ora si deduce, almeno un terzo del materiale datato da Arizona proveniva dal pezzo piccolo,
che era all'altra estremità della striscia e al di qua di Oxford, allora la presunta linearità non c'è più.
Dopo la pubblicazione dell'articolo di Freer e Jull, Fanti è subito (24 dicembre) intervenuto con un commento
su un blog americano [6] ma non ha accennato a questo problema, anzi ha continuato a rifarsi a quello
studio statistico. Vedremo quanto tempo dovrà passare prima che si accorga che l'articolo di Freer e Jull,
come effetto collaterale non intenzionale, gli ha guastato la statistica.
POSCRITTO (12 genn 2011)
Dopo la pubblicazione di questo articolo, Giulio Fanti mi ha scritto, in riferimento alla Appendice qui sopra, informandomi, in seguito ad una sua comunicazione diretta avuta dal prof. Jull, che il laboratorio di Arizona
non usò per la datazione la più piccola delle due parti in cui era diviso il campione che aveva ricevuto. Ringrazio
il professor Fanti per il chiarimento.
È risultato che da un lato è vero, come avevo scritto, che il frammento di 12,39 mg, di cui si parlava nell'articolo,
non coincide con la parte piccola e proviene dalla parte grande. D'altro lato, in base alla comunicazione di Jull,
Fanti ritiene che il laboratorio non usò nemmeno la parte piccola di circa 14 mg. Quindi mi preme far notare che cade l'argomento che avevo espresso circa lo studio statistico di Fanti e colleghi.
Avevo inizialmente preso in considerazione anche io la possibilità che il laboratorio avesse conservato non uno
ma due frammenti, pari in tutto alla metà quasi esatta del materiale che aveva ricevuto, ma allora restava solo
un residuo di 27 mg e mi sembrava troppo poco per le quattro (se non otto) datazioni, oltre alla misurazione del delta-C13 che veniva fatta a parte. In realtà trovo sorprendente (se la notizia verrà confermata) che il laboratorio abbia usato solo metà del tessuto disponibile. Aggiungo alcune considerazioni.
1) I risultati di Arizona furono tali da suscitare perplessità per l'ampia dispersione dei dati e soprattutto per
l'enigma, a tutt'oggi mai chiarito, dei valori di sigma dichiarati. Disponendo di altro materiale, il laboratorio
poteva subito procedere a nuove datazioni per rimuovere qualche dubbio.
2) All'epoca fu tenuta nascosta la circostanza del materiale non usato. Nel resoconto di Nature del 1989, si
diceva che il laboratorio aveva diviso il campione ricevuto in quattro parti e le aveva tutte sottoposte a
datazione. Sommando alla carenza di informazione per altri aspetti, non si può dire che Tucson brillasse per trasparenza.
3) Mi chiedo se il laboratorio abbia informato la Curia di Torino sul suo possesso di materiale non utilizzato.
Forse Torino avrebbe richiesto la restituzione del materiale?
4) Forse anche gli altri due laboratori hanno messo da parte un po' di tessuto? Zurigo fece cinque datazioni
ma non è escluso che un frammento, sia pure molto piccolo, sia avanzato. Oxford fece tre sole datazioni e
in teoria potrebbe conservare una quantità notevole. I risultati dei tre laboratori mostrarono una discreta ma
non ottima concordanza. Se restava materiale disponibile, si poteva procedere a un altro giro di datazioni.
5) Chissà con quanta invidia i sindonologi guarderanno ora a Tucson! In tutti questi anni, si sono dovuti accontentare di lavorare su microscopiche fibre strappate col nastro adesivo o su minuscoli pezzettini di filo recuperati più o meno clandestinamente o su rimasugli di polveri. Se Jull mettesse all'asta i suoi due frammenti,
di dimensioni al confronto molto grandi e provenienti proprio da dentro il prelievo del 1988, ne potrebbe
ricavare una bella somma vendendoli ai sindonologi.
Note
[1] Rachel Freer aveva conseguito l'anno prima, nel 2007, un Master of Science in “Textiles, Fashion Merchandising, and Design” presso la University of Rhode Island. Nel 2008 era al museo di Tucson con
una borsa di studio di un anno della Kress Foundation per “Object conservation”. In seguito non ha assunto
ruoli in musei, università o altre istituzioni. Si è messa in proprio offrendo servizi o consulenze per la
conservazione o il restauro di tessuti o altri oggetti, tramite un Freer-Waters Preservation Services con
sede in Texas. Il secondo cognome è stato aggiunto dopo il suo recente matrimonio.
[2] Rachel A. Freer-Waters, A.J. Timothy Jull, Investigating a dated piece of the Shroud of Turin.
Radiocarbon, 52 (4), 2010, 1521-1527.
[3] http://www.statemuseum.arizona.edu/podcasts/ep033_beyond_naked_eye.shtml
Il video illustra una mostra che si tenne al Museo negli ultimi mesi del 2008.
Era intitolata “Beyond the Naked Eye: Science Reveals Nature's Art”. Come dice il titolo, si trattava di
fotografie prese durante ricerche scientifiche, in genere al microscopio, che risultavano anche belle dal
punto di vista artistico. Co-curatrice della mostra era appunto Rachel Freer (visibile in una foto al minuto 00,24)
che inserì anche variopinte immagini da lei ottenute osservando i fili della Sindone al microscopio, accompagnate
da macrofotografie del frammento.
[4] John Tyrer, Looking at the Turin Shroud as a textile. Textile Horizons, December 1981, 20-23.
http://www.sindone.info/TYRER1.PDF
[5] G. Fanti, F. Crosilla, M. Riani, A.C. Atkinson: A robust statistical analysis of the 1988 Turin Shroud
radiocarbon dating results.
È una relazione presentata al convegno di Frascati del 4-6 maggio 2010, disponibile qui:
http://www.acheiropoietos.info/proceedings/RianiWeb.pdf
Una versione simile in italiano è qui da SISmagazine:
http://www.sis-statistica.it/magazine/spip.php?article177
[6] http://shroudofturin.wordpress.com/2010/12/24/more-about-julls-paper-in-radiocarbon-journal