Gli inganni di Barbara Frale
(2) La Sindone nella cappella imperiale di Costantinopoli nel 1201
di Gian Marco Rinaldi
Vediamo un altro inganno nel libro di Barbara Frale (I Templari e la sindone di Cristo, Il Mulino 2009). È in un passaggio di p. 202.
Della Sindone di Torino non c'è alcuna traccia nella storia prima del secolo XIV inoltrato quando la troviamo in Francia, ma la Frale, che la considera autentica, deve credere che sia sempre esistita fin dal 30 d.C. Per il periodo dal 944 fino al saccheggio della città nel 1204, colloca la Sindone a Costantinopoli in una chiesa presso il palazzo imperiale, dove gli imperatori tenevano raccolte le più preziose reliquie.
Vediamo tutto il passaggio di p. 202, poi lo commenteremo un po' alla volta perché l'inganno è molteplice. La Frale scrive:
In ogni caso, fosse o non fosse la stessa cosa del celeberrimo mandylion, la presenza della sindone nella
raccolta imperiale di Costantinopoli è documentata da varie fonti. Nel 1200/1201 la città era in preda al
caos per via del colpo di stato che aveva deposto l'imperatore Isacco II Angelo; una sommossa agitò il
palazzo imperiale e il custode in carica delle reliquie, lo storico Nicola Mesarites, fu costretto a fronteggiare
la folla dei rivoltosi onde impedir loro di profanare la cappella di Pharos. Riuscì a placare l'anima dei
soldati facendo appello alla somma sacralità del luogo: gli oggetti raccolti lì dentro formavano una nuova
Gerusalemme, qualcosa che teneva la terra in contatto con i Cieli e doveva restare fuori da qualunque
manovra politica. Nicola descrive la sindone in maniera inequivocabile come un lenzuolo funebre dove
l'immagine di Gesù si stagliava come una sagoma senza contorni: «Essa è di lino, materiale umile e
semplice, e ancora emana sentore di mirra. Non può perire perché coprì il corpo morto, dai contorni
non definiti, nudo, cosparso di mirra dopo la Passione».
[…] Quella fu l'ultima descrizione della sindone nella cappella imperiale di Bisanzio.
Il lettore viene ingannato alla grande. Che cosa può pensare leggendo questo passaggio? Necessariamente conclude che la Sindone di Torino era custodita in quella cappella a Costantinopoli e che a confermarlo c'è una precisa testimonianza del 1201 da parte nientemeno che del custode delle reliquie, quel Nicola Mesarites che doveva pur conoscere bene gli oggetti che custodiva. Mesarites “descrive la sindone in maniera inequivocabile”, secondo la Frale, come un “lenzuolo funebre dove l'immagine di Gesù si stagliava come una sagoma senza contorni”. Potrebbe esserci miglior prova di questa?
Purtroppo no, questa non è una prova. È solo un groviglio di falsità ed equivoci. Vediamo perché.
1) Le reliquie dei teli sepolcrali (bianchi)
La Frale fa credere che la presenza della Sindone nella cappella imperiale fu documentata diverse volte e da diversi autori. Infatti apre dicendo che “la presenza della sindone nella raccolta imperiale di Costantinopoli è documentata da varie fonti”. Poi chiude dicendo che quella fornita da Mesarites “fu l'ultima descrizione della sindone nella cappella imperiale di Bisanzio”, quindi ce n'erano state altre.
Questo è falso. Nella cappella non c'è mai stato niente che venisse descritto in modo tale da poter essere lontanamente paragonato alla Sindone, quella di Torino che conosciamo. La Frale fa passare per riferimenti alla Sindone quelli che in realtà erano riferimenti alle reliquie dei teli sepolcrali, che erano teli bianchi e non con figura.
A Costantinopoli (e non solo) c'erano innumerevoli reliquie e c'erano anche le reliquie più preziose, quelle relative allo stesso Gesù. Fra queste, le reliquie della passione erano tenute in gran conto. Gli imperatori ne avevano una collezione: il legno della croce, la corona di spine e così via. Fra le altre reliquie, c'erano anche i teli sepolcrali che erano naturalmente bianchi (o al più macchiati in modo informe), come è logico che fossero perché i vangeli non dicono che furono ritrovati teli con una figura. Nessun autore bizantino ha mai parlato di teli sepolcrali con una figura, quindi bisogna pensare che fossero bianchi perché quello era un dettaglio che non sarebbe passato inosservato. Parliamo naturalmente dei teli considerati come vere reliquie, cioè come teli che realmente (si credeva) erano stati a contatto col corpo di Gesù nel sepolcro. C'erano poi altri teli che portavano la figura di Gesù morto ma non erano considerati reliquie bensì semplici rappresentazioni, e sono un'altra cosa.
Le reliquie della passione della cappella imperiale, inclusi i teli sepolcrali, si trovano citate da diversi autori attorno ai secoli XI e XII. Forse è a queste citazioni dei teli bianchi che pensa la Frale quando dice che ci furono citazioni della Sindone. Ci si chiede come possa la Frale fare confusione fra le comuni reliquie dei teli sepocrali bianchi, da un lato, e la nostra Sindone dall'altro. O è talmente sprovveduta da non accorgersi che le reliquie dei teli sono un'altra cosa, oppure finge di non accorgersene. In ogni caso, non ci fa una bella figura. E siamo solo all'inizio.
È poi inutile aggiungere che anche se ci fossero state in giro reliquie di teli sepolcrali con figura, questo di per sé non basterebbe per identificarli con la Sindone di Torino.
2) Le reliquie della passione di Mesarites
Anche Mesarites, nel suo testo del 1201 al quale attinge la Frale, nomina varie reliquie di Cristo, quasi tutte riferibili alle vicende della passione. L'elenco comprende fra l'altro la corona di spine, un chiodo, un flagello, i teli sepolcrali, la lancia, il mantello di porpora, un pezzo di pietra dal sepolcro. Nell'elenco troviamo anche i teli sepolcrali.
Testi di altri autori citano come presenti in quella cappella anche il legno della croce, un flacone col sangue di Gesù, la tunica, l'iscrizione, la spugna. C'erano inoltre svariati altri pezzi, per esempio la testa e un braccio di Giovanni Battista, la testa dell'apostolo Paolo, un braccio dell'apostolo Andrea, il dito dell'apostolo Tommaso, la verga di Mosè.
È normale che fra le numerose reliquie della passione ci siano anche i teli sepolcrali, ma non è assolutamente possibile identificarli, come fa la Frale, con la Sindone di Torino.
3) Mesarites non descrive una figura
Mi direte subito che, per quanto in genere i teli sepolcrali fossero bianchi, quella volta Mesarites ci vide una figura perché la Frale parla dell'immagine di Gesù che “si stagliava” e che viene descritta da Mesarites “in maniera inequivocabile”. Infatti chi legge questa pagina della Frale è indotto, anzi costretto a pensare che la breve frase di Mesarites citata fra virgolette non sia tutto. In quella frase Mesarites dice solo che i teli avvolsero il corpo di Gesù, non dice che i teli portavano la figura del corpo di Gesù. Quindi il lettore deve pensare che ci siano altre frasi, non citate fra virgolette dalla Frale, dove Mesarites descrive “in maniera inequivocabile” la figura della Sindone di Torino.
Ebbene no, qui c'è solo un inganno della Frale. Mesarites non dice altro, del corpo di Cristo, se non quello che la Frale riporta in virgolette. Mesarites non dà alcuna descrizione di una figura sui teli e non dice che una figura ci sia. Quindi i teli sono da considerare bianchi e immacolati. Non so come sia da considerare la Frale.
4) Il plurale diventa singolare
Gli autori di quell'epoca si riferivano ai teli sepolcrali usando di volta in volta varie parole che potevano essere al singolare o al plurale. Mesarites in questo testo, citando per almeno tre volte i teli, usa sempre una parola al plurale, i teli appunto e non il telo. Ma la Frale, riportando fra virgolette dal testo di Mesarites, usa il singolare: “Essa è di lino ... ancora emana ... non può perire perché coprì ,,,”. Infatti la Frale vuole che qui Mesarite descriva la Sindone di Torino, come dice subito prima delle virgolette, “Nicola descrive la sindone”, e allora deve usare il singolare perché la Sindone è in un solo pezzo.
Si può notare che in un'altra pagina del libro la Frale cita un altro passaggio dallo stesso testo di Mesarites, dove c'è di nuovo menzione dei teli sepolcrali, e li mette correttamente al plurale scrivendo appunto “i lini sepolcrali” (p. 99).
5) L'ineffabile
Se Mesarites non descrive una figura sui teli, come può la Frale dire che l'immagine si staglia “come una sagoma senza contorni”, trovando così quello che considera un inequivocabile parallelo con la Sindone di Torino? Lo trova nell'espressione che cita subito dopo fra virgolette dal testo di Mesarites: “coprì il corpo morto, dai contorni non definiti”. Anche accettando la traduzione proposta dalla Frale, è ovvio che Mesarites dice che i teli coprirono il corpo dai contorni non definiti e non dice affatto che sui teli ci sia una figura dai contorni non definiti. Ma è sulla stessa traduzione della parola greca resa con “dai contorni non definiti” che la Frale opera una forzatura. In quel punto, nel testo greco c'è la parola aperilepton, una parola che in questo contesto non è da interpretare come la descrizione di una immagine dai contorni non definiti. La parola veniva comunemente usata come attributo della divinità, con significati che si possono tradurre come “ineffabile”, “indescrivibile”, “incomprensibile”, “illimitato”, “non circoscrivibile”. È ridicolo che la Frale ci voglia vedere una descrizione della figura sulla Sindone. Ed è solo per la presenza di questa parola, aperilepton, che la Frale pretende che in quel passaggio Mesarites descriva la figura della Sindone di Torino in maniera “inequivocabile”!
6) La bilocazione della Sindone.
Se pensate che la Frale si sia già permessa troppe licenze, preparatevi ora all'aspetto più sorprendente. In questa pagina 202 del libro, come abbiamo visto finora, la Frale ha identificato la Sindone di Torino con la reliquia dei teli sepolcrali che era nella cappella imperiale assieme alle altre reliquie della passione. Ma lungo tutto il libro la Frale identifica la Sindone con tutt'altra cosa, cioè con il mandilio (mandylion) o immagine di Edessa, una immagine “acheropita” che era tenuta in gran conto a Costantinopoli dove era arrivata da Edessa nel 944. Insomma ha realizzato il miracolo della bilocazione della Sindone (e arriverà anche a una trilocazione trovando una terza Sindone in un'altra chiesa di Costantinopoli).
Il mandilio era un piccolo panno (un fazzoletto o asciugamano, come dice la parola) che portava l'immagine del solo volto di Gesù, e di un Gesù vivente. Niente che somigliasse né alla Sindone di Torino né ai teli sepolcrali bianchi di Mesarites.
Quindi la Frale tenta un azzardo che ha dell'incredibile. La Sindone di Torino sarebbe impossibile da identificare con il mandilio così come sarebbe impossibile da identificare con i teli sepolcrali bianchi, ma la Frale la identifica nello stesso libro sia con l'uno sia con gli altri!
Forse la Frale non aveva le idee chiare sulle reliquie di Costantinopoli e non si rendeva conto che il mandilio era una cosa diversa dai teli sepolcrali di Mesarites? No, non può essere, perché il mandilio veniva conservato proprio nella stessa cappella imperiale, e Mesarites nello stesso testo che abbiamo visto finora, poco più avanti, cita anche il mandilio e lo cita come una cosa ben distinta dalle reliquie della passione! Sarebbe difficile confonderli, tanto difficile come trovare una scusante per il comportamento della Frale.
La Frale non cita la parte del testo di Mesarites dove c'è il riferimento al mandilio, altrimenti ci si chiede come si sarebbe cavata dall'imbarazzo. Ma le parole iniziali del brano che abbiamo riportato rivelano forse che si sentiva un po' in colpa. Dice della Sindone: “fosse o non fosse la stessa cosa del celeberrimo mandylion”, come se volesse per il momento ignorare che nel resto del libro ha sempre considerato la Sindone e il mandilio come sinonimi.
Questo su Mesarites era un esempio di inganno particolarmente elaborato, uno dei più insidiosi nel libro della Frale, ma ne troveremo altri.
(2) La Sindone nella cappella imperiale di Costantinopoli nel 1201
di Gian Marco Rinaldi
Vediamo un altro inganno nel libro di Barbara Frale (I Templari e la sindone di Cristo, Il Mulino 2009). È in un passaggio di p. 202.
Della Sindone di Torino non c'è alcuna traccia nella storia prima del secolo XIV inoltrato quando la troviamo in Francia, ma la Frale, che la considera autentica, deve credere che sia sempre esistita fin dal 30 d.C. Per il periodo dal 944 fino al saccheggio della città nel 1204, colloca la Sindone a Costantinopoli in una chiesa presso il palazzo imperiale, dove gli imperatori tenevano raccolte le più preziose reliquie.
Vediamo tutto il passaggio di p. 202, poi lo commenteremo un po' alla volta perché l'inganno è molteplice. La Frale scrive:
In ogni caso, fosse o non fosse la stessa cosa del celeberrimo mandylion, la presenza della sindone nella
raccolta imperiale di Costantinopoli è documentata da varie fonti. Nel 1200/1201 la città era in preda al
caos per via del colpo di stato che aveva deposto l'imperatore Isacco II Angelo; una sommossa agitò il
palazzo imperiale e il custode in carica delle reliquie, lo storico Nicola Mesarites, fu costretto a fronteggiare
la folla dei rivoltosi onde impedir loro di profanare la cappella di Pharos. Riuscì a placare l'anima dei
soldati facendo appello alla somma sacralità del luogo: gli oggetti raccolti lì dentro formavano una nuova
Gerusalemme, qualcosa che teneva la terra in contatto con i Cieli e doveva restare fuori da qualunque
manovra politica. Nicola descrive la sindone in maniera inequivocabile come un lenzuolo funebre dove
l'immagine di Gesù si stagliava come una sagoma senza contorni: «Essa è di lino, materiale umile e
semplice, e ancora emana sentore di mirra. Non può perire perché coprì il corpo morto, dai contorni
non definiti, nudo, cosparso di mirra dopo la Passione».
[…] Quella fu l'ultima descrizione della sindone nella cappella imperiale di Bisanzio.
Il lettore viene ingannato alla grande. Che cosa può pensare leggendo questo passaggio? Necessariamente conclude che la Sindone di Torino era custodita in quella cappella a Costantinopoli e che a confermarlo c'è una precisa testimonianza del 1201 da parte nientemeno che del custode delle reliquie, quel Nicola Mesarites che doveva pur conoscere bene gli oggetti che custodiva. Mesarites “descrive la sindone in maniera inequivocabile”, secondo la Frale, come un “lenzuolo funebre dove l'immagine di Gesù si stagliava come una sagoma senza contorni”. Potrebbe esserci miglior prova di questa?
Purtroppo no, questa non è una prova. È solo un groviglio di falsità ed equivoci. Vediamo perché.
1) Le reliquie dei teli sepolcrali (bianchi)
La Frale fa credere che la presenza della Sindone nella cappella imperiale fu documentata diverse volte e da diversi autori. Infatti apre dicendo che “la presenza della sindone nella raccolta imperiale di Costantinopoli è documentata da varie fonti”. Poi chiude dicendo che quella fornita da Mesarites “fu l'ultima descrizione della sindone nella cappella imperiale di Bisanzio”, quindi ce n'erano state altre.
Questo è falso. Nella cappella non c'è mai stato niente che venisse descritto in modo tale da poter essere lontanamente paragonato alla Sindone, quella di Torino che conosciamo. La Frale fa passare per riferimenti alla Sindone quelli che in realtà erano riferimenti alle reliquie dei teli sepolcrali, che erano teli bianchi e non con figura.
A Costantinopoli (e non solo) c'erano innumerevoli reliquie e c'erano anche le reliquie più preziose, quelle relative allo stesso Gesù. Fra queste, le reliquie della passione erano tenute in gran conto. Gli imperatori ne avevano una collezione: il legno della croce, la corona di spine e così via. Fra le altre reliquie, c'erano anche i teli sepolcrali che erano naturalmente bianchi (o al più macchiati in modo informe), come è logico che fossero perché i vangeli non dicono che furono ritrovati teli con una figura. Nessun autore bizantino ha mai parlato di teli sepolcrali con una figura, quindi bisogna pensare che fossero bianchi perché quello era un dettaglio che non sarebbe passato inosservato. Parliamo naturalmente dei teli considerati come vere reliquie, cioè come teli che realmente (si credeva) erano stati a contatto col corpo di Gesù nel sepolcro. C'erano poi altri teli che portavano la figura di Gesù morto ma non erano considerati reliquie bensì semplici rappresentazioni, e sono un'altra cosa.
Le reliquie della passione della cappella imperiale, inclusi i teli sepolcrali, si trovano citate da diversi autori attorno ai secoli XI e XII. Forse è a queste citazioni dei teli bianchi che pensa la Frale quando dice che ci furono citazioni della Sindone. Ci si chiede come possa la Frale fare confusione fra le comuni reliquie dei teli sepocrali bianchi, da un lato, e la nostra Sindone dall'altro. O è talmente sprovveduta da non accorgersi che le reliquie dei teli sono un'altra cosa, oppure finge di non accorgersene. In ogni caso, non ci fa una bella figura. E siamo solo all'inizio.
È poi inutile aggiungere che anche se ci fossero state in giro reliquie di teli sepolcrali con figura, questo di per sé non basterebbe per identificarli con la Sindone di Torino.
2) Le reliquie della passione di Mesarites
Anche Mesarites, nel suo testo del 1201 al quale attinge la Frale, nomina varie reliquie di Cristo, quasi tutte riferibili alle vicende della passione. L'elenco comprende fra l'altro la corona di spine, un chiodo, un flagello, i teli sepolcrali, la lancia, il mantello di porpora, un pezzo di pietra dal sepolcro. Nell'elenco troviamo anche i teli sepolcrali.
Testi di altri autori citano come presenti in quella cappella anche il legno della croce, un flacone col sangue di Gesù, la tunica, l'iscrizione, la spugna. C'erano inoltre svariati altri pezzi, per esempio la testa e un braccio di Giovanni Battista, la testa dell'apostolo Paolo, un braccio dell'apostolo Andrea, il dito dell'apostolo Tommaso, la verga di Mosè.
È normale che fra le numerose reliquie della passione ci siano anche i teli sepolcrali, ma non è assolutamente possibile identificarli, come fa la Frale, con la Sindone di Torino.
3) Mesarites non descrive una figura
Mi direte subito che, per quanto in genere i teli sepolcrali fossero bianchi, quella volta Mesarites ci vide una figura perché la Frale parla dell'immagine di Gesù che “si stagliava” e che viene descritta da Mesarites “in maniera inequivocabile”. Infatti chi legge questa pagina della Frale è indotto, anzi costretto a pensare che la breve frase di Mesarites citata fra virgolette non sia tutto. In quella frase Mesarites dice solo che i teli avvolsero il corpo di Gesù, non dice che i teli portavano la figura del corpo di Gesù. Quindi il lettore deve pensare che ci siano altre frasi, non citate fra virgolette dalla Frale, dove Mesarites descrive “in maniera inequivocabile” la figura della Sindone di Torino.
Ebbene no, qui c'è solo un inganno della Frale. Mesarites non dice altro, del corpo di Cristo, se non quello che la Frale riporta in virgolette. Mesarites non dà alcuna descrizione di una figura sui teli e non dice che una figura ci sia. Quindi i teli sono da considerare bianchi e immacolati. Non so come sia da considerare la Frale.
4) Il plurale diventa singolare
Gli autori di quell'epoca si riferivano ai teli sepolcrali usando di volta in volta varie parole che potevano essere al singolare o al plurale. Mesarites in questo testo, citando per almeno tre volte i teli, usa sempre una parola al plurale, i teli appunto e non il telo. Ma la Frale, riportando fra virgolette dal testo di Mesarites, usa il singolare: “Essa è di lino ... ancora emana ... non può perire perché coprì ,,,”. Infatti la Frale vuole che qui Mesarite descriva la Sindone di Torino, come dice subito prima delle virgolette, “Nicola descrive la sindone”, e allora deve usare il singolare perché la Sindone è in un solo pezzo.
Si può notare che in un'altra pagina del libro la Frale cita un altro passaggio dallo stesso testo di Mesarites, dove c'è di nuovo menzione dei teli sepolcrali, e li mette correttamente al plurale scrivendo appunto “i lini sepolcrali” (p. 99).
5) L'ineffabile
Se Mesarites non descrive una figura sui teli, come può la Frale dire che l'immagine si staglia “come una sagoma senza contorni”, trovando così quello che considera un inequivocabile parallelo con la Sindone di Torino? Lo trova nell'espressione che cita subito dopo fra virgolette dal testo di Mesarites: “coprì il corpo morto, dai contorni non definiti”. Anche accettando la traduzione proposta dalla Frale, è ovvio che Mesarites dice che i teli coprirono il corpo dai contorni non definiti e non dice affatto che sui teli ci sia una figura dai contorni non definiti. Ma è sulla stessa traduzione della parola greca resa con “dai contorni non definiti” che la Frale opera una forzatura. In quel punto, nel testo greco c'è la parola aperilepton, una parola che in questo contesto non è da interpretare come la descrizione di una immagine dai contorni non definiti. La parola veniva comunemente usata come attributo della divinità, con significati che si possono tradurre come “ineffabile”, “indescrivibile”, “incomprensibile”, “illimitato”, “non circoscrivibile”. È ridicolo che la Frale ci voglia vedere una descrizione della figura sulla Sindone. Ed è solo per la presenza di questa parola, aperilepton, che la Frale pretende che in quel passaggio Mesarites descriva la figura della Sindone di Torino in maniera “inequivocabile”!
6) La bilocazione della Sindone.
Se pensate che la Frale si sia già permessa troppe licenze, preparatevi ora all'aspetto più sorprendente. In questa pagina 202 del libro, come abbiamo visto finora, la Frale ha identificato la Sindone di Torino con la reliquia dei teli sepolcrali che era nella cappella imperiale assieme alle altre reliquie della passione. Ma lungo tutto il libro la Frale identifica la Sindone con tutt'altra cosa, cioè con il mandilio (mandylion) o immagine di Edessa, una immagine “acheropita” che era tenuta in gran conto a Costantinopoli dove era arrivata da Edessa nel 944. Insomma ha realizzato il miracolo della bilocazione della Sindone (e arriverà anche a una trilocazione trovando una terza Sindone in un'altra chiesa di Costantinopoli).
Il mandilio era un piccolo panno (un fazzoletto o asciugamano, come dice la parola) che portava l'immagine del solo volto di Gesù, e di un Gesù vivente. Niente che somigliasse né alla Sindone di Torino né ai teli sepolcrali bianchi di Mesarites.
Quindi la Frale tenta un azzardo che ha dell'incredibile. La Sindone di Torino sarebbe impossibile da identificare con il mandilio così come sarebbe impossibile da identificare con i teli sepolcrali bianchi, ma la Frale la identifica nello stesso libro sia con l'uno sia con gli altri!
Forse la Frale non aveva le idee chiare sulle reliquie di Costantinopoli e non si rendeva conto che il mandilio era una cosa diversa dai teli sepolcrali di Mesarites? No, non può essere, perché il mandilio veniva conservato proprio nella stessa cappella imperiale, e Mesarites nello stesso testo che abbiamo visto finora, poco più avanti, cita anche il mandilio e lo cita come una cosa ben distinta dalle reliquie della passione! Sarebbe difficile confonderli, tanto difficile come trovare una scusante per il comportamento della Frale.
La Frale non cita la parte del testo di Mesarites dove c'è il riferimento al mandilio, altrimenti ci si chiede come si sarebbe cavata dall'imbarazzo. Ma le parole iniziali del brano che abbiamo riportato rivelano forse che si sentiva un po' in colpa. Dice della Sindone: “fosse o non fosse la stessa cosa del celeberrimo mandylion”, come se volesse per il momento ignorare che nel resto del libro ha sempre considerato la Sindone e il mandilio come sinonimi.
Questo su Mesarites era un esempio di inganno particolarmente elaborato, uno dei più insidiosi nel libro della Frale, ma ne troveremo altri.